“Volevo essere un uomo”…

Credit@Dagospia
”Non volevo essere un uomo per il potere, ma per la libertà di essere me stessa senza limiti." E’ un aforisma che ben si adatta all’idea di questo libro. Offre uno spunto profondo e attuale per riflettere sul concetto di identità, libertà e autodeterminazione. Scrivere un articolo su questa frase, che dà il titolo a un libro appena pubblicato e che ho letto in un paio di ore in versione Kindle, significa non solo esplorare temi come il genere, la fluidità identitaria, le aspettative sociali, il desiderio di emancipazione da schemi precostituiti, ma anche molte altre cose. Vedremo.

Va detto innanzitutto che su questa faccenda, fatta tutta di libertà e diritti, gli uomini e le donne, in quanto esseri umani, hanno ben poca influenza. Non spetta ad essi, infatti, scegliersi il sesso, non è un loro diritto e quindi non ne può conseguire una impossibile libertà. Soltanto dopo, noi esseri umani, maschi o femmine, possiamo decidere per l’una o per l’altra realtà dell’essere.

Partiamo con una riflessione iniziale sull’aforisma, sottolineando come esso racchiuda questa verità universale: il desiderio di libertà e autenticità. Il tema dell’identità di genere va introdotto come punto di partenza soltanto dopo l’evento che chiamiamo nascita, allargando il discorso a una metafora più ampia sulla libertà di essere se stessi: Uomo o Donna. Solo tra la 18a e la 22a settimana di gravidanza si può identificare il sesso. Soltanto allora può avere inizio la costruzione della identità di genere.

Io sono nato uomo. Sono felice di esserlo e non posso immaginare cosa sarei stato se fossi stato donna. Confesso che mi sono molto divertito a leggere questo libro. Una donna che parla e scrive dialogando con se stessa, contraddicendola e contrastandola Allo stesso tempo, si contraddice con se stessa, rivivendo il suo vissuto. Una lettura senza dubbio stimolante.

Ma le ragioni per leggere questo starno libro sono anche altre. Riguardano una scrittrice che nel 1976 pubblicò insieme a Marco L. Radice un libro che fece furore: Porci con le ali. A distanza di trenta anni, Lidia Ravera ne ha 74, tira le somme e dichiara il fallimento. Non è come la ritrae Dagospia qui sopra nella mia immagine del post. Non mi piace il body shaming. Rimando il lettore al link su YouTube che ritrae la scrittrice oggi, com’è apparsa in una recente intervista.

Se leggerete fino in fondo questa recensione, capirete perchè parlo di fallimento. Riguarda non solo la questione maschio/femmina, ma anche una scelta di vita legata non solo alla scrittura di identità, ma sopratutto a quelle idee che si fanno Ideologia Politica, con la maiuscola, quando attraverso l’ideologia si è convinti di sapere come cambiare il mondo.

"Volevo essere un uomo” di Lidia Ravera è un’opera che si distingue per la sua profondità e intimità, raccontando una storia che è al contempo personale e politica. Questo libro non è un romanzo tradizionale, ma piuttosto una confessione che esplora il femminismo e le sue battaglie, sia vinte che ancora in corso.

La scrittura è caratterizzata da una sensibilità esasperata, che permette di immergersi nelle emozioni e nelle riflessioni di chi scrive, ricordando. Il libro è un viaggio attraverso le esperienze personali e le lotte femministe, offrendo una prospettiva unica sulla vita e sulla società.

La struttura del libro, che lei definisce “un oggetto misterioso”, suggerisce che si tratta di un’opera innovativa e originale, che sfida le convenzioni letterarie tradizionali. Ravera ci invita a riflettere sulle identità di genere e sulle aspettative sociali, creando un dialogo profondo con il lettore. “Volevo essere un uomo” merita di essere letto per la sua capacità di raccontare storie personali e collettive con una voce autentica e coinvolgente.

È un libro che lascia il lettore con molte domande e riflessioni, stimolando una discussione importante sulle questioni di genere e identità. A distanza di tre decenni, la Ravera si rende conto che non è possibile cambiare il mondo con la politica nè tantomeno con i bias, le ideologie e gli esperimenti. Il tempo scorre, passa e trasforma anche la presunzione di identità. Sconvolgente, a mio parere, la conclusione del libro. Nel dialogo che ha con se stessa, l’espediente letterario con il quale ha scritto il libro, lei dice a chi la legge e al suo alter ego:

Dovresti emanciparti dalla materialità del femminismo del secolo scorso, così irto di rivendicazioni minime e massime. Dovresti volare con le ragazze, sognando invece di pretendere. Dovresti immaginare una sociatà di persone, libera da condizionamenti vecchi di duemila anni. Una società senza uomini nè donne. Forse una società di corpi uguali, forse una società senza corpi. Dovresti pensare che fra non molto non saranno più le donne ad ospitare nel proprio ventre gli esseri umani in formazione. Dovresti sapere che l’utero sarà una macchina sofisticata, che lo sperma si comprerà in farmacia e gli ovuli saranno prodotti in laboratorio. La scienza ci libererà da ogni obbligo corporale. Dovresti pensarci. Dovresti incominciare da subito a immaginare modi diversi di amarsi, fra persone cangianti, liquide e illuminate. Tu non ci sarai più, d’accordo. Ma ti resta un pò di tempo per immaginare una nuova ondata di disordine fecondo. La prima ti è piaciuta, ma avevi sedici anni. Vediamo adesso, come tela cavi.”

Se questo non è fallimento, il suo fallimento, ditemi voi cos’è. “Donna non si nasce, lo si diventa” ha scritto un’altra esimia femminista, Simone de Beauvoir. Il titolo del romanzo di Lidia Ravera, “Volevo essere un uomo” richiama alla mente e al tempo stesso ribalta la celebre affermazione di Simone de Beauvoir da “Il secondo sesso”, del 1949. Entrambe le opere, pur distanti nel tempo e nel contesto, affrontano il tema della costruzione dell’identità di genere, ma da prospettive diverse.

Simone de Beauvoir sostiene che il genere non è un dato biologico, ma una costruzione sociale. La società impone alle donne ruoli, aspettative e comportamenti che le definiscono come “l’altro” rispetto all’uomo, considerato il soggetto universale. La sua analisi si concentra sulla critica del patriarcato e sulla lotta per l’emancipazione femminile.

Lidia Ravera tenta di trascendere i ruoli. Nel suo pseudo romanzo, dialogando con se stessa, esplora il desiderio di una donna di sperimentare la libertà e il potere attribuiti agli uomini. Non vuole tanto cambiare sesso, quanto liberarsi dai vincoli imposti dal suo genere. Il suo desiderio di “essere un uomo” è una metafora della sua aspirazione a una vita più piena e autentica.

Entrambe le scrittrici riconoscono che il genere è una costruzione sociale, non un dato naturale. Sia de Beauvoir che Ravera criticano le strutture patriarcali che limitano la libertà delle donne. Entrambe le opere esprimono il desiderio di trascendere i ruoli di genere imposti dalla società. de Beauvoir si concentra sulla lotta per l’emancipazione collettiva delle donne, mentre Ravera esplora il desiderio individuale di una donna di vivere una vita diversa. de Beauvoir scrive in un’epoca in cui il femminismo era incentrato sulla conquista dei diritti civili, mentre Ravera scrive in un’epoca in cui il dibattito sul genere è più fluido e complesso.

Volevo essere un uomo” può essere letto come una rilettura contemporanea e personale del pensiero di de Beauvoir, che riflette le sfide e le aspirazioni delle donne di oggi. In ogni caso la Ravera registra il suo fallimento che non è un fallimento di gender, in quanto donna, bensì un fallimento ideologico in quanto politico. Il fattore tempo ha gestito tutto senza che Lei se ne rendesse conto, tutta chiusa nei suoi effimeri bias di origine ideologica e politica.

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Published on February 28, 2025 06:56
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Antonio   Gallo
Nessuno è stato mai me. Può darsi che io sia il primo. Nobody has been me before. Maybe I’m the first one.
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