NON ABITIAMO PIÙ QUI – ANDRE DUBUS

Voto: 8/10
Edito: Mattioli 1885
Tre racconti lunghi che vorticano intorno alle vite di due coppie, raccontando tre momenti diversi e parlando un po’ di tutta l’umanità.
Nel primo racconto, Jack è sposato con Terry, e Hank è sposato con Edith, ma la monotonia e la frustrazione e la voglia di qualcosa di nuovo si insinua nelle loro vite, rimescolando le carte in tavola, aggiungendo nuovi tradimenti e svelandone di vecchi.
Nel secondo racconto, Jack è ancora sposato con Terry, e i due hanno trovato una pace con cui affrontare la loro vita famigliare, così come Hank ed Edith, che dopo tentativi e discussioni, hanno deciso di vivere le proprie vite con più libertà, senza nascondere al proprio coniuge le nuove ed eventuali relazioni e senza mentirsi, ma continuando ad amarsi e a rimanere uniti per Sharon, la loro unica figlia; ma la vita e la morte si insinueranno nelle loro vite, cambiando questa nuova normalità.
Nell’ultimo racconto, Hank ed Edith hanno ormai divorziato da anni, e lui ha una nuova relazione con un’altra delle sue studentesse, e sta ancora cercando di trovare un nucleo che riesca a ridargli quella sensazione di stabilità che aveva trovato con Edith, e anche questa volta la vita e la morte torneranno ad intrecciarsi per spingerlo a prendere una decisione.
Dubus è stato una vera e propria scoperta.
Questa volta non posso prendermene il merito, non mi è piovuto per caso fra le mani, ma mi è stato consigliato caldamente. Che viaggio incredibile nell’animo umano!
Questi racconti sono stati scritti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, eppure riescono ancora a gridarci con forza dalle pagine del libro.
Dubus parte da quattro personaggi come tanti, due coppie giovani e sposate, due coppie di amici, ognuna con i propri problemi e le proprie gioie, e riesce a smascherare almeno in parte qualcosa che si nasconde in tutti noi. Con sguardo quasi cinico ci parla di tradimenti e disillusioni, quotidianità e gelosie e rimorsi, senza mai nascondere la propria sensibilità.
Quando la sua attenzione si concentra con forza su uno dei personaggi, tutta la luce si riversa sul suo capo, mettendolo completamente a nudo di fronte ai nostri occhi.
Nel primo racconto Jack si sente un uomo pieno di vitalità, vorrebbe liberarsi dalla sua vita monotona e piena di rancore, dalla sporcizia che invade la sua casa e il risentimento che prova nei confronti di sua moglie; l’attenzione del lettore è su di lui, e su Edith, così giovane e bella e piena di passione, ma con la coda dell’occhio riusciamo ancora a notare Terry, che Dubus lascia volontariamente indietro per aumentare questo senso di disparità che si solleva dalle pagine; e quando Terry inizia la sua breve relazione con Hank, allora Dubus ci ricorda che anche lei è un personaggio a tutto tondo, che non è soltanto una macchietta, e noi lettori, proprio come Jack, ritroviamo la strada di casa.
Edith è l’amante, è giovane e sensuale, e Terry è la moglie, è stanca e sfiorita, eppure Hank compie la scelta inversa di Jack, e Dubus ci mostra come il punto di vista di ognuno di noi sia soggettivo e le cose possano cambiare modificando appena il punto di osservazione.
Ed è così per ogni racconto: nel secondo Hank ed Edith sembrano aver trovato un loro equilibrio, ma noi possiamo osservare Edith da vicino e conoscere i suoi pensieri, e sappiamo che qualcosa bolle in pentola (cosa che Hank riuscirà a comprendere definitivamente soltanto nel terzo racconto, chiudendo alla perfezione il circolo e donando pace al rapporto fra i due personaggi).
Nel terzo Hank ha trentacinque anni, eppure continua a frequentare ragazze diciannovenni del suo corso, ma possiamo anche vedere tutti gli altri rapporti che ha avuto dalla fine del suo matrimonio. Hank è sicuramente il personaggio che mi è piaciuto di meno, con la sua retorica da grande uomo e piccole donne, ma nonostante questo l’ho apprezzato molto, nella sua crescita e nei suoi rapporti interpersonali, e pur non conoscendo bene l’autore l’ho visto un po’ come un suo alter ego, questo professore di inglese e scrittore, e le sue riflessioni sulla scrittura e la vita sono davvero meravigliose e brillanti.
Lo stile di Dubus è denso e sofisticato, sensibile e profondo; ci sommerge da ogni lato, ogni parola ci rivela un mondo nuovo, ed è come scavare con uno di quei picconcini da archeologo, e ci sembra di avanzare lentamente ma ad ogni colpo emerge uno spiraglio su un universo intero, ed è impossibile arrestarne l’avanzata.
(Unica nota negativa, davvero: Edith e Hank che continuano a notare, in diverse fasi della sua crescita e contesti differenti, i seni di Sharon. Boh, certe cose me le aspetto solo da Murakami, e mi lasciano sempre un po’ di amaro in bocca.)
I personaggi e le storie sono profondamente umani e realistici, veri e complessi, e Dubus sa indirizzare il lettore esattamente dove vuole lui, senza mai perdere il contesto generale della situazione; creando le giuste zone d’ombra e allargando le chiazze di luce, con occhio critico dai toni amari ma sempre in grado di provare pietà e mostrarsi clemente, ci ritroviamo immersi fino al collo in tre racconti dalla forza prorompente, in due matrimoni che sono l’inizio e la fine di tutto, vagando nella provincia americana che si fa ricettacolo di poche e piccole vite che racchiudono tutta l’umanità.
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