LA TUA ASSENZA è TENEBRA – JÓN KALMAN STEFÁNSSON

Voto: 9/10

Edito: Iperborea

Un uomo apre gli occhi ed è come se si risvegliasse per la prima volta: si trova all’interno di una piccola chiesetta di un villaggio sperduto lungo la costa occidentale dell’Islanda, non sa come ci sia arrivato ma, soprattutto, non sa chi è.
Vagando per un cimitero si imbatte in due lapidi che attirano la sua attenzione: una riporta la dolcissima frase “Il tuo ricordo è luce, la tua assenza è tenebra” e l’altra una citazione del filosofo Kierkegaard.
Le persone intorno a lui sembrano conoscerlo, ricordarlo da un passato condiviso, il “poeta” tornato a trovarli, ma l’uomo è sempre più perso.

E così, con il passare del tempo, mentre lui cerca sé stesso, affiora di fronte ai nostri occhi la storia di quell’angolo di mondo, di una famiglia come tante altre, di uomini e donne abituati al freddo e alle avversità, una storia lunga quasi 150 anni, che serve a portare a galla tutto l’amore del mondo.

Questo non è semplicemente un romanzo: questo è un inno alla vita, all’amore, alla morte, alla rinascita e alla perdita, alla luce e alle tenebre.

Con voce chiara e cristallina, Stefánsson ci accompagna in un viaggio di cui non vorremmo mai giungere al termine.

Chi mi conosce sa del mio amore per l’Islanda: quella terra fredda e dura ha sempre avuto un fascino particolare su di me, non a caso alcuni dei miei artisti preferiti di sempre provengono da lì (Sigur Rós, Ólafur Arnalds, Of monsters and men, Low Roar) e, per un breve periodo, nel 2018, ho tentato di imparare l’islandese da autodidatta. Ovviamente la cosa non è finita nel migliore dei modi, ma quei semplici primi passi in quella lingua e in quel mondo hanno cementato in me l’amore per l’Islanda.

E poi arriva Stefánsson, con la sua prosa dolce e tagliente, il suo sguardo da poeta e la sua penna in grado di evocare le immagini vivide di verdi brughiere e venti di tempesta, e io non posso fare altro che inchinarmi.
Questo libro mi ha spezzato, semplicemente.
Non mi aspettavo una lettura tanto dolce e romantica, tanto amara e catartica.
Non mi aspettavo niente, perché come al solito affronto le letture a scatola chiusa, e mi ha donato tutto.

Un romanzo che mi ha fatto sorridere e a tratti ridere, riflettere e piangere di una sofferenza pura e reale. Un romanzo che è un’ode alla vita stessa.

In quasi 150 anni, Stefánsson ci mostra una vasta gamma di personaggi: Guðríður, che trova Dio nei lombrichi, ama la cultura e il pastore Pétur, ma non vuole abbandonare le proprie figlie e suo marito Gísli; Jón, che cerca ciò che non si vede nell’universo e nel fondo di una bottiglia; Skúli, che passa tutta la sua vita ad amare Hafrún; Páll, laureato in filosofia e con un amore segreto; Halldór, che perde l’amore della sua vita e si ritrova con un figlio; Eiríkur, che si getta nella musica per trovare un modo per entrare in contatto con un padre che sente distante e finisce per utilizzarla un po’ come scusa per fuggire dal fiordo, ma che non riesce a sfuggire alla propria malinconia.
I personaggi sono tanti, e le loro storie sembrano intrecciarsi in maniera un po’ confusa di fronte ai nostri occhi, e a quelli del narratore stesso, che ne è testimone e fautore, che li accompagna e ci accompagna in questo viaggio fra gli universi, ma alla fine i fili si dipanano e creano un quadro chiaro e perfetto.

Tutti i personaggi devono affrontare le difficoltà della vita quotidiana, ma questo non impedisce loro di continuare a cercare costantemente la felicità. Stefánsson ci mostra un popolo aperto, alle altre lingue e ai cambiamenti, che non vuole farsi fermare da nessuna barriera.

Mi è piaciuto moltissimo il modo in cui Stefánsson inserisce le canzoni, sia le musiche che i testi, all’interno del romanzo; questi brani vanno a comporre un filo che è possibile seguire con l’udito e con il cuore, aggiungendo un altro strato a questa storia meravigliosa.
Alla stessa maniera, cita poeti e filosofi (primi fra tutti Hölderlin e Kierkegaard), mostrando al lettore tutto ciò che si nasconde sotto la superficie, sotto la terra indurita dal freddo invernale, sotto alla facciata di una noiosa vita da contadini.

L’autore ha composto, con estrema maestria, un quadro surreale ed iper-realistico, ha riunito tutti i più piccoli dettagli di tante piccole vite, per creare qualcosa di straordinario, per parlare dell’immensità della vita, di ciò che sappiamo e vediamo, e ciò che è invisibile agli occhi.

A tratti è stata una lettura difficile, molto dolorosa, ma con una nota costante di dolcezza in sottofondo, a lenire le asperità della vita.

La perdita è al centro della narrazione, e di come la morte cammini sempre al fianco della vita, e a volte le due combacino. Le persone, da sempre, devono affrontare scelte che sembrano impossibili, per poter continuare a vivere, e a volte commettono degli errori, e le loro vite cambiano per sempre.

E c’è un tale senso di verità nelle parole di Stefánsson, nel modo in cui descrive l’umanità tutta parlando delle difficoltà di un povero contadino islandese, nel suo stile così carico di metafore brillanti e pungenti, nel suo sguardo così pieno d’amore e di tenebre, che con un abbraccio sembra stringere tutto il mondo.

E ora che ho terminato la lettura, e sono distante dalla sua poesia luminosa, la vita sembra essere un po’ più tetra.


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Published on December 05, 2023 01:53
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