Tic Tac Horror 10 - Visita alla nonna oscura

Non sta bene dirlo, e di certo non dovrei, ma odio davvero andare dalla nonna.
Innanzitutto perché significa lasciarsi alle spalle ogni traccia di…
Stavo per dire civiltà – espressione abbastanza trita – ma è molto più di così. Molti, moltissimi al mondo non lo sanno: esistono posti dove non solo la civiltà non è mai arrivata, ma è la normalità stessa, a mancare. La cara, vecchia, prevedibile realtà, dove quando la luce ti accarezza senti un certo tepore, anche nel pallido sole d’autunno di questi giorni, e non brividi sempre più profondi. Dove non pare che gli alberi abbiano l’inspiegabile capacità di mettere in soggezione chi si trovi a camminarvi in mezzo, fra tronchi possenti che trasudano muschio e secoli, come immoti sacerdoti di un culto antico. Dove il terreno non è così morbido e cedevole da sembrare vivo. Dove non si ha l’impressione che anche solo respirare sia una sorta di… sacrilegio.
Ma la nonna ha fame e non può badare a se stessa, per cui eccomi qui, come quella famosa bimbetta col cappuccio rosso, con un cestino che ballonzola al mio fianco – dall’odore non così gradevole – a guardarmi intorno circospetta, mentre mi addentro su questo sentiero che di solito non esiste, e che di tanto in tanto compare e diventa di giorno in giorno sempre più evidente, quando a lei viene fame, finché non possiamo più fingere di non vederlo. Nessuno si azzarda a confessarlo, soprattutto a me, ma so che lo temono. Temono sia lei a venire da noi, seguendo il sentiero, se lo ignoriamo.
Stavolta dev’essere molto affamata, perché la cesta è tanto pesante che per sollevarla, in principio, ho dovuto usare entrambe le mani.
«Non sono sicura di farcela» ho detto, implorante, fissando mia madre negli occhi. Non mi mandare, non mi mandare, pregavo intanto fra me e me. Ma…
«Spetta a te e basta. Lo sai» ha sentenziato, voltandomi le spalle.
Anche se ormai sono quasi adulta, mi chiedo se tema di non vedermi tornare. A giudicare da quante volte mi ha ripetuto Le Regole, credo impazzisca di apprensione tutto il tempo.
Dunque mi inoltro, nell’ombra sempre più fitta, senza arrischiarmi a mettere nemmeno la punta di un piede fuori dal cammino che mi si snoda chiaro davanti, come recita la Prima Regola: “Mai abbandonare il Sentiero.”
Il motivo è chiaro: lei verrebbe a saperlo. E mi punirebbe, anche. L’alluce destro della mamma ha una dura e spessa scaglia nera, al posto dell’unghia. Non ho mai osato chiederlo, ma so perfettamente perché. Così come so che la nonna mi aspetta, arrotando le gengive nude, sbavando e fregandosi le mani, piena di golosa aspettativa. Il tintinnio irreale che producono i suoi palmi, mentre lo fa, è una delle ragioni per cui odio doverla andare a trovare.
L’altra è questo profondo gelo che mi entra dentro, man mano che il sole cala e le ombre si infittiscono e aumenta la sensazione di essere l’unica preda appetibile, in un mondo fatto di oscurità e nebbia e rumori indistinti e sussurri misteriosi, quando il vento si solleva agitando foglie e aghi, lassù in alto.
Arrivo sempre al crepuscolo, guidata, nell’ultimo tratto, dall’acciottolio dei sonagli di ossa appesi ai quattro angoli della sua catapecchia. Per rispetto alla Terza Regola: “Dopo il giorno, prima della notte.”
C’è una sorta di steccato che corre tutto intorno alla casa, e un cigolante cancelletto a chiuderlo.
Chiedi il permesso” recita la Quarta Regola – Oh, se solo la smettessi di temere così tanto di dimenticarne una! – perciò appoggio il cestino a terra, finalmente, e grido: «Nonna, sono arrivata! Posso entrare?».
Il cuore mi batte all’impazzata nel petto: un sasso grande quanto un pugno che sbatte contro le costole, e su fino in gola, PUM, PUM, PUM, sempre più forte, eppure la sento ugualmente: «Ma certo, piccina! Vieni! Vieni dalla nonna!».
La voce è sottile, la stessa di una persona molto anziana. Il tono accattivante, gentile. Mi chiedo, me lo chiedo ogni volta, quanti ingenui sia riuscita ad attrarre, prima che finisse per dipendere del tutto da noi. Da… (le offerte) la merenda nel mio cestino.
Potrei… scappare. Non tornare più a casa. Perdermi in una grande città, fra le luci abbaglianti che annientano la notte, nel rombo dell’umanità in continuo movimento, nel frastuono che rende quasi impossibile pensare, pensare davvero… Ma vivrei il resto dei miei giorni nel timore della sua vendetta.
Simili pensieri mi danno le vertigini, mentre apro il cancello che cigola assurdamente, rimbombando nel silenzio profondo della foresta, nel freddo notturno che, oltre quella prima soglia, mi assale con dita gelide e implacabili.
Sollevo gli occhi, guardo le prime stelle affacciarsi. Non ho tardato, ma sarà buio, dentro. Un pietoso buio, sufficiente a tenere al sicuro la mia mente.
Arrivata al primo gradino, sputo a terra alle mie spalle, per liberarmi dei cattivi pensieri che qualcuno potrebbe nutrire per lei, e che forse mi sono rimasti incollati addosso. È la Quinta Regola.
Dal fondo del tugurio, fra le assi sconnesse della vecchia, vecchissima porta, la sento schioccare le labbra, più e più volte. L’odore della mia saliva ha risvegliato il suo appetito.
Per favore, fa’ che possa andarmene prima che cominci a mangiare, prego fra me e me, afferrando il batacchio per spingerlo piano, e oltrepassare la soglia.
Istintivamente trattengo il respiro, ma è inutile. La Sesta Regola mi impone di salutarla come si conviene, e già le parole della formula di rito premono contro le mie labbra.
Sospiro, mi abbevero all’aria fetida interna alla capanna, e, tenendo gli occhi fissi sul fondo della stanza, dove la immagino in attesa, nell’oscurità – ma non a terra, a terra è inutile guardare – sussurro: «Ti ho portato la merenda, cara nonnina. Ho attraversato il bosco senza mai lasciare il sentiero e le fiere e gli spiriti silvani non hanno osato avvicinarsi».
«Lo senti, il profumo di queste buone cose?» aggiungo muovendo un passo, per allungarmi e appoggiare il cestino sulla tavola accostata alla parete.
Mi risponde un rauco, basso raspare, una lunga vocale sabbiosa: «Ooooh…». E poi, ancora, nella sua vera, sgradevole voce, pungente come ortica: «Lo sento sì, quel buon profumo!». Annusa rumorosamente, schioccando la lingua, ed io la immagino, quella lingua lunga e nera, non so impedirmelo. Ma poi la nonna aggiunge una frase terribile, che mi precipita in un abisso di orrore ancor più profondo.
«Mi avete trascurata; avete tardato, ed è stato difficile attendere, stavolta, non cedere alla tentazione di mangiare anche l’ultimo boccone, quella candela ricavata dal grasso che ora accenderò, proprio perché tu possa vedermi bene, piccina mia! Mi vedrai e non scorderai più di venire a trovare la tua anziana nonnina ben per tempo. Ne sono… certa».
Fra le ultime due parole odo un fruscio forte, come di un fiammifero. Vorrei chiedermi in che modo e dove se lo sia procurato, ma la mia mente è un bianco vuoto di puro raccapriccio: vedo la fiammella, accosto alla mano che si allunga dall’alto, per raggiungere la candela posata a terra. Quest’ultima è sformata, scura e corta, un mozzicone ridicolo, ma è sufficiente a illuminare la capanna, a illuminare lei, magra e nuda, simile a un grosso ragno dalle zampe color ruggine. Non può toccare terra: è parte della sua condanna; non può calpestare lo stesso suolo di chi ancora è innocente. Pertanto, anche in questa sua catapecchia, è condannata a restare aggrappata alle pareti, a muoversi nel modo che le è peculiare: come un insetto, o un serpente strisciante.
Spostarsi è doloroso, per lei. Quando comincia ad avvicinarsi vorrei distogliere lo sguardo, ma non oso, e allora lo vedo chiaramente: le sue carni aderiscono al legno delle pareti; per riuscire ad avanzare, ad arrancare fino a me, deve staccarle a forza, con un suono strappato e liquido che le volte precedenti mi atterriva, ma che riuscivo a dimenticare, annegandolo nel crogiolo degli incubi che sempre mi tormentano. Invece, adesso…
«Sì…» gracida la nonna. «Sono vecchia, ormai. Molto vecchia. Faccio fatica… a vivere».
Si spinge ancora in avanti, lungo la parete alla mia destra, mi viene vicina, tanto vicina, troppo. Sento la nuca formicolare, diventare pesante, come se il cervello stesse tentando di rannicchiarvisi, per starle lontano. Sono assurdamente contenta di essermi allungata il più possibile, prima, per posare il cestino, ma ormai sento non solo il fetore che emana. Inspiro l’aria contaminata dalla colpa che lei espira. La nonna raggiunge la tavola, dove cade come un mucchio di stracci e ossa. I suoi lunghi, lunghi capelli, sporchi e unti, le si distendono intorno. Ma sono radi e non bastano a coprirla.
Quando apre il cestino, quando scorge le guance pallide e le labbra delicate della prima offerta – vuole solo la testa, il resto va gettato nell’acqua corrente – mi è così vicina che li vedo: vedo i denti da latte che le sono spuntati ovunque; sul dorso e sul palmo delle mani, sulle gambe, sul seno, sul ventre e sul viso, tagliandole la pelle, producendo ferite infette e suppuranti, dall’odore immondo. Sono quel che non riesce a digerire, quel che resta delle tante vittime che un tempo si procurava da sola e che ora, fin da quando ero piccola, sono costretta a portarle col mio cestino. Sono la parte peggiore della sua condanna: a centinaia la mordono da dentro per poi affiorare e rimanere lì, incistati nella pelle.
«Posso… posso andare, ora, nonna?» sussurro, fissando l’ombra nera dei suoi occhi.
Lei annuisce ed io scappo via, appena in tempo; mi chiudo la porta alle spalle e poi corro e corro, nel bosco buio, fissando la luna che occhieggia fra gli alberi, che mi farà da guida fino a casa.
Vorrei fare tutta una corsa, ma presto sono costretta a fermarmi. Un po’ perché mi manca il fiato. Un po’ perché comincio a sentirla e voglio esserne certa.
Una cunetta dura e dolente, al centro del mio palmo sinistro. Possibile basti così poco? So di aver violato la Seconda Regola. Ma è stato… poco più di un boccone.
Il cestino era pesante e avevo fame.
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Published on October 13, 2023 11:54 Tags: halloween, racconto-gratuito, racconto-horror
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message 1: by Rossella (new)

Rossella Romano Se ti è piaciuto puoi richiedere:

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message 2: by Francesca (new)

Francesca   kikkatnt 'Free Palestine, Stop Genocide' Questo racconto è veramente elettrizzante :-O e spaventoso!

Grazie Rossella!


message 3: by Rossella (new)

Rossella Romano Francesca wrote: "Questo racconto è veramente elettrizzante :-O e spaventoso!

Grazie Rossella!"


Grazie! Mi sono fatta paura da sola... 😐


message 4: by Ajeje (new)

Ajeje Brazov Altro Tic Tac... da urlo XD
(view spoiler)


message 5: by Rossella (new)

Rossella Romano Ajeje wrote: "Altro Tic Tac... da urlo XD
[spoilers removed]"


(view spoiler)


message 6: by Ajeje (new)

Ajeje Brazov Ahhhh (view spoiler)


message 7: by Rossella (new)

Rossella Romano (view spoiler)


message 8: by Ajeje (new)

Ajeje Brazov Grazie!


message 9: by Iophil (new)

Iophil Wow, questo racconto colpisce veramente. Gran bel colpo di scena finale e sei riuscita a creare in così poco spazio un'ambientazione alienante e diverse immagini molto disturbanti. Brava Rossella! ;D


message 10: by Rossella (new)

Rossella Romano Iophil wrote: "Wow, questo racconto colpisce veramente. Gran bel colpo di scena finale e sei riuscita a creare in così poco spazio un'ambientazione alienante e diverse immagini molto disturbanti. Brava Rossella! ;D"

Grazie Iophil, è una bella sorpresa trovarti qui. Visto che credo sia il primo che leggi, ti informo che puoi richiedere la raccolta dei Tic Tac Horror in ebook. Vorrei tenerla sempre gratuita, ma Amazon non me lo permette, per cui la regalo ogni volta che ho l'occasione. È sufficiente un indirizzo email, qui per messaggio o sul mio sito.
Grazie ancora davvero, per le belle parole e soprattutto per aver letto il mio racconto.


message 11: by Iophil (new)

Iophil Figurati, do solo il mio parere spassionato! :) Credo di aver letto anche il racconto precedente, però mi farebbe piacere leggere anche i precedenti, ti mando volentieri un pm! :)


message 12: by Iophil (new)

Iophil Uhm... sulla pagina autore non riesco a trovare dove va mandato il messaggio! ._." Chiedo scusa per l'ignoranza, come devo fare?


message 13: by Rossella (new)

Rossella Romano Iophil wrote: "Uhm... sulla pagina autore non riesco a trovare dove va mandato il messaggio! ._." Chiedo scusa per l'ignoranza, come devo fare?"

Dovrebbe esserci un menu a cascata proprio accanto al pulsante follow author in cui si può scegliere send message.
Altrimenti puoi riempire il form che compare in home page sul mio sito. Per trovarlo cerca rossella romano autrice su Google.
(Bastano nome, email e formato preferito nel messaggio)
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message 14: by Claudia (new)

Claudia Piano wow, Ross, terrrrrribile... °° Per fortuna mi avevi avvisata di non leggerlo di sera... ;)


message 15: by Rossella (new)

Rossella Romano Claudia wrote: "wow, Ross, terrrrrribile... °° Per fortuna mi avevi avvisata di non leggerlo di sera... ;)"

Lo avevo detto io! 😃


message 16: by Andrea (new)

Andrea Magistris Letto adesso. Molto, molto carino! Alcune cose mi hanno ricordato, più che altro come atmosfera, The Village di Shyamalan. La nonna è davvero inquietante; sarei curioso di sapere cosa ne è stato del nonno...
Complimenti!


message 17: by Rossella (new)

Rossella Romano Andrea wrote: "Letto adesso. Molto, molto carino! Alcune cose mi hanno ricordato, più che altro come atmosfera, The Village di Shyamalan. La nonna è davvero inquietante; sarei curioso di sapere cosa ne è stato de..."

Povero lui! In realtà il racconto nasce da un incubo molto recente, è farina del mio inconscio!


message 18: by Andrea (new)

Andrea Magistris Rossella wrote: "Inserisco easter eggs nei miei libri da sempre: nel primo erano oggetti e particolari della mia vita reale (per poter dimostrare di averlo scritto), ma dal secondo in poi mi sono divertita a farle ..."
Bellissima l'espressione "quando il vento fa parlare il bosco" ;)


message 19: by Eric (new)

Eric Bucci Racconto molto, molto carino.
Ti tiene con la voglia di arrivare subito alla fine, di capire il perché questa nipote sia così terrorizzata dalla nonna... e poi la "sorpresina" finale!


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