L’Arco di Sisto V
 
Molti abitanti dell’Esquilino se ne scordano, ma i confini del Rione non coincidono con la Stazione Termini, ma con le Mura Aureliane: per cui, l’Arco di Sisto V o l’Arco delle Pere è uno dei monumenti che vi parte. L’Arco, che segna i confini tra il Rione XV, Esquilino, e il XVIII, Castro Pretorio, costituisce il proseguimento dell’Acquedotto Felice, che er Papa Tosto aveva fatto costruire per alimentare le fontane della sua villa, chiamata Perretti, dal nome della sua famiglia.
Questa villa, ne ho parlato altre volte, occupava parte dei colli Viminale, Quirinale ed Esquilino e aveva un perimetro di circa sei chilometri. I confini della villa corrispondono al terreno circoscritto dalle moderne Via del Viminale / Viale Enrico Nicola, e Via Marsala (che corre accanto alla stazione di Roma Termini), fino a Porta San Lorenzo e a Via Agostino Depretis, comprese tutta le strutture
Sisto V, all’epoca solo cardinale, si era arricchito in maniera spudorata, però, per non pagare le tasse, millantava di essere povero in canna, tanto, da ricevere, un’indennità dalla Curia pari a 100 scudi al mese: per non farsi identificare come evasore fiscale, utilizzò una serie di biechi trucchi: fece comprare i terreni da prestanome e costrinse Domenico Fontana a dichiarare che non solo stava eseguendo i lavori pro bono, ma addirittura che li stava pagando di tasca propria.
I due edifici principali della villa erano il palazzo di fronte alla strada, prima chiamato “delle terme” e poi “a termini” per la vicinanza alle Terme di Diocleziano, noto come “Palazzo di Sisto V alle Terme”; l’altro era il palazzo che sorgeva all’angolo della moderna “Via Cavour” con “Via Farini”, noto come “Casino Felice”. Fontana era anche responsabile del paesaggio del giardino: di proporzioni enormi, il giardino era diviso in terrazze e intersecato da viottoli che offrivano splendide viste, alcune fiancheggiate da cipressi ed era decorato da numerose opere d’arte e più di trenta fontane, che ovviamente dovevano essere alimentate.
Per farlo, appena eletto papa, fece costruire il primo nuovo acquedotto dai tempi dell’Antica Roma: il 28 maggio 1585, nello stesso mese della sua elevazione al pontificato, Sisto V acquistava da Marzio Colonna, per la somma di 25.000 scudi, i terreni in cui erano presenti le sorgenti dell’Aqua Alexandrina, l’ultimo dei grandi acquedotti di Roma antica, ai tempi di Alessandro Severo. Terreni che erano situato a Pantano Borghese, sulla via Prenestina, alle falde del colle di Sassolello, a 3 km dall’odierno comune di Colonna
Il progetto di convogliamento delle acque fu affidato a Matteo Bortolani, di Città di Castello, millantato “esperto architetto di quel tempo ed in tali affari versato”, i cui errori di calcolo sulla pendenza delle condutture dell’acquedotto impedirono tuttavia il regolare efflusso dell’acqua: questa infatti “si faceva retrograda al suo disegno, tornando indietro”.
Dopo avere speso invano 100.000 scudi, il papa affidò allora il progetto all’architetto Giovanni Fontana, fratello del più noto Domenico, uno dei grandi esperti d’idraulica dell’epoca, che in vecchiaia divenne frate domenicana. Scrisse il Fontana, in una sua relazione sui lavori, che fu “forzato a ricercar altre acque per quelli monti di maggior livello, facendo molte migliaia di tasti, sin tanto che in numero di 50 e più luoghi rinvenni la desiderata quantità d’acqua, altrimenti il detto Pontefice aveva buttato tutta la spesa”, che assommerà alla fine a quasi 300.000 scudi. Nell’agosto del 1586 Camilla Peretti, sorella del papa, portò all’augusto fratello la bottiglia con la prima acqua immessa nelle condotte la quale, analizzata dai farmacisti di Castel Sant’Angelo, fu trovata – forse con una qualche cortigianeria – la migliore delle acque potabili sgorganti in Roma. I lavori furono completati nel 1587 e il percorso si sviluppava, date anche le notevoli capacità tecniche dell’epoca, in buona parte su grandi arcuazioni lungo la curva di livello pedemontana dei Castelli, mentre i tratti sotterranei erano limitati a cunicoli (di 0,80 m di larghezza per 2 di altezza) per oltrepassare le alture
Il condotto, che superava la via Tuscolana scorrendo sopra la cosiddetta Porta Furba, entrava a Roma presso la porta Tiburtina (allora porta San Lorenzo) passando sopra l’Arco di Sisto V e terminava con l’alquanto brutta Fontana del Mosè, oggi visibile in piazza San Bernardo. Come accennato, l’arco è noto anche come Arco delle Pere, a causa di alcune decorazioni, situate nei due fornici più piccoli, raffiguranti un grappolo di pere, emblema araldico di papa Sisto V Peretti. Lo stemma di famiglia, originariamente, era costituito soltanto da un leone d’oro in campo azzurro attraversato da una banda rossa trasversale: quando Felice Peretti divenne papa con il nome di Sisto V modificò lo stemma, aggiungendo alla zampa anteriore destra del leone tre pere, in riferimento al suo cognome, mentre alla banda aggiunse tre monti (probabile riferimento alla sua terra d’origine Montalto) ed una stella, che in araldica rappresenta la mente rivolta a Dio.
L’Arco è costruito in blocchi di peperino, con riquadri in travertino. Ha tre fornici, di cui il centrale, più grande, ha sulla chiave di volta una testa marmorea di leone, simile a quella posta sulla Porta Furba. Due ampie volute, terminanti in acroteri a forma di monti, inquadrano sull’attico una grande targa marmorea per lato, Su quella affacciata su via di Porta San Lorenzo vi è l’iscrizione
  SIXTVS · V · PONT · MAX · VIAS VTRASQ· ET AD S· MARIAM MAIOREM ET AD S · MARIAM ANGELORUM AD POPVLI
COMMODITATEM ET DEVOTIONEM LONGAS LATASQ SVA IMPENSA STRAVIT
ossia in italiano
Sisto V Pontefice Massimo, per favorire la comodità e la devozione del popolo, aprì a proprie spese in lunghezza e in larghezza, entrambe le strade sia verso Santa Maria Maggiore che verso Santa Maria degli Angeli
In effetti, papa Peretti non doveva aver pensato molto a rendere più agevole il cammino di pellegrini e devoti, quanto piuttosto a migliorare la viabilità verso la Villa Montalto, che le due strade cingevano sui entrambi i lati. La prima delle due arterie, che arrivavano in linea retta nei pressi della chiesa di Sant’Antonio Abate, venne sommersa dopo l’Unità d’Italia dai caseggiati umbertini e fu snaturata dagli ampliamenti per la Stazione. La seconda corrispondeva all’attuale via Marsala e correva per oltre un chilometro, fino a piazza dei Cinquecento. Sulla facciata dell’arco rivolta verso piazzale Sisto V, una targa apposta sull’attico riporta l’incisione
SIXTVS V PONT MAX DVCTVM AQVAE FELICIS RIVO SVBTERRANEO MILL · PASS · XIII · SVBSTRVCTIONE ARCVATA VII
SVO SVMPTV EXTRVXIT
ossia
Sisto V Pontefice Massimo realizzò a sue spese la conduttura sotterranea dell’Acqua Felice per tredici miglia su sostruzioni arcuate per sette miglia
Il termine “MILL PASS” è l’abbreviazione di milia passuum, migliaia di passi, ossia un miglio romano, equivalente a circa 1482 m. ossia stimava la lunghezza dell’acquedotto pari a 19,266 km, di cui 10,374 Km su archi. Sempre sul lato rivolto verso nord ovest, subito al di sotto dell’attico, un’iscrizione sul peperino permette di identificare l’anno di realizzazione del monumento:
ANNO DOMINI MDLXXXV PONTIFICATUS I
corrispondente a
Anno del Signore 1585, nel primo anno del pontificato
Analoga iscrizione doveva trovarsi anche sul lato opposto dell’arco ma oggi risulta completamente illeggibile ad eccezione delle lettere “ANN”. Nell’Ottocento la costruzione della stazione Termini impose lo smantellamento di parte dell’acquedotto preservando tuttavia l’arco di Sisto V che oggi appare quasi appoggiato alla parte posteriore del grande edificio della stazione.
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