Eraclea Minoa
 
Il sito dell’ antica Heraclea Minoa, sulla sinistra del Fiume Platani (antico Halikos) è oggi denominato Capobianco da uno sperone marmoso proteso nel mare all’ estremità sud-occidentale dell’ altopiano su cui si estendeva la città antica. Sorta, secondo Eraclide Lembos (Fragm. Histor. Gr., ii, 220, 29), dove preesisteva il villaggio di Macara, si chiamò dapprima semplicemente Minoa, molto verisimilmente in ricordo dell’isoletta omonima presso Megara Nisea (solo più tardi tale nome sarebbe stato cuitualmente connesso con Minosse). Verso la fine del VI sec. a. C. ricevette una colonia spartana condotta da Eurileonte (Herodot., l. c.) il quale, ad onorare il mitico progenitore della sua stirpe, sembra aver aggiunto il nome di Eraclea. La leggenda narra che il nome Minoa fu messo per onorare la morte del re di Creta Minosse venuto in Sicilia per vendicarsi dell’architetto ateniese Dedalo, colpevole di aveva favorito la moglie di Minosse, Pasifae a congiungersi con un toro, dal quale accoppiamento contronatura nacque il Minotauro.
Poco dopo la sua fondazione, fu conquistata dagli agrigentini, per il suo valore economico: Heraclea Minoa era un importante centro di mercato del grano, e gli Heraclesi costruirono un seno di mare per meglio caricare e scaricare le navi. L’economia era basata sul commercio, agricoltura, pastorizia e pesca. I terreni fertili producevano cereali, frutta, vino e olio ed il territorio era ricco di boschi e forniva una produzione di legnami. mentre il pescoso fiume, che era per buona parte navigabile, forniva una grande quantità di pesce. Il territorio ricco di vegetazione mediterranea costituiva un habitat per la selvaggina presente con cinghiali, conigli, istrici e volpi. Si lavorava la palma nana, il giunco e le ristoppie del grano con le quali si producevano gerli e canestri
Terone, tiranno di Agrigento (488-473 a.C.), vi scoprì la presunta tomba di Minosse e ne restituì le ossa ai Cretesi (Diod. IV, 79, 4), e nel 465-461, nelle guerre conseguenti alla caduta dei Diomenidi, la città fu occupata da mercenari siracusani, e quindi liberata dagli Agrigentini e Siracusani. Al cadere del V sec. a.C., scoppiata la guerra tra cartaginesi e greci in Sicilia, Minoa dovette essere presa dai Cartaginesi prima della caduta di Akragas nel 406 a.C.. Durante le guerre greco-puniche il vicino fiume Platani ha segnato per secoli la linea di confine naturale tra la epicrazia cartaginese in Sicilia ed i territori sotto l’influenza siracusana Nel 277 viene tolta ai Cartaginesi da Pirro.
Secondo alcuni studiosi, la battaglia di capo Ecnomo, tradizionalmente situata nei pressi Poggio Sant’Angelo, Licata, avvenne nelle sue acque. Sotto la dominazione romana Heraclea riuscì a conservare la sua grande magnificenza. Furono disposte nuove strade e aggiunte nuove cinte murarie di rinforzo alle preesistenti difese. Nell’ordinamento della provincia di Sicilia fu dichiarata civitates decumanae, cioè tenuta a dare al governo di Roma la decima parte dei prodotti agricoli
Nel 131 a.C. il pretore Publio Rupilio vi dedusse una colonia, da cui si suppone che la città si spopolò quasi del tutto durante la prima guerra servile. Riporta Cicerone che anche Eraclea fu oggetto delle vessazioni di Verre:
Qui Verre non solo prese denaro, come negli altri luoghi, ma anche mescolò categorie e numero di cittadini vecchi e nuovi
Narra lo stesso Cicerone il suo arrivo notturno a Eraclea
Se Lucio Metello lo avesse consentito, o giudici, erano pronte a presentarsi qui le madri e le sorelle di quegli infelici. Una di queste, mentre io mi stavo avvicinando a Eraclea, mi venne incontro con tutte le donne sposate di quella città alla luce di molte fiaccole, e rivolgendosi a me con l’appellativo di salvatore, chiamando te suo carnefice, invocando fra le lacrime il nome del figlio, l’infelice si prostrò ai miei piedi, quasi che io potessi risuscitare suo figlio dai morti.
Il sito di Eraclea Minoa, a parte una breve campagna di scavo condotta nel 1907 dal Salinas, fu esplorato a fondo nel 1950, quando Ernesto De Miro vi scopre il teatro, scavato a più riprese fino al 1964. Il teatro, inserito entro il reticolo regolare della città, articolato su terrazze digradanti verso Sud-Ovest, risale al IV-III sec. a. C. rimaneggiato e ampliato in età successiva e abbandonato nel corso del II sec. a. C. Esso è sistemato nella cavità di una collinetta a N dell’abitato. La cavea, contrariamente alla prescrizione di Vitruvio (v, 32) ma sull’esempio di grandi teatri (Atene, Siracusa), è aperta verso S, di fronte al mare; essa è costruita in conci di marna arenacea mentre ricavati nella roccia sono la praecinctio, alta sull’orchestra m 8,90, e l’ambulacro antistante. Un ambulacro di servizio, ampio m o,6o, separa l’ima cavea dalla proedria, formata di un ordine di banchi con spalliera e braccioli ai limiti delle scalette e poggiante su di un anello di conci a guisa di pedana larga m 0,49. Tra l’orchestra vera e propria e questo anello di conci è un ambulacro-canale, largo m 1,75, continuantesi in un condotto il cui sbocco si apriva nello spessore della cortina muraria che nel IV-III sec. a. C. venne a costituire il nuovo limite orientale della città. Della scena si conserva una sorta di battuto (relativo alla seconda fase del teatro) sopraelevato sul livello originario di orchestra ed esteso all’interno di essa e sulle pàrodoi; vi sono ancora visibili i cavi per il fissaggio delle travi del podio scenico.
La città era protetta da una imponente cinta muraria (calcolato in Km 6 circa), che abbraccia l’intera estensione dell’altopiano, fino al fiume Platani. Le mura erano spesse m 2,50 circa, in assise di piccoli blocchi di gesso, è ricostruibile per un percorso di km 6 circa: di essa si conservano il lato settentrionale e quello occidentale sulle balze lungo il fiume; mentre interamente perduti sono il lato orientale e quello meridionale, quest’ultimo per altro verisimilmente limitato a qualche filare di parapetto sul ciglio dello strapiombo. Imponente è, per alcuni tratti, il lato settentrionale a guisa di ampia ellisse, provvisto di Otto torri quadrangolari a difesa di porte e postierle; esso è terminato all’estremità orientale, là dove era più agevole l’accesso, da un possente baluardo dello spessore di m 6 circa, provvisto di due torrioni, circolare l’uno, quadrangolare l’altro, costruito in duplice tecnica, a basamento di conci bugnati, isodomicamente disposti, ed elevato in mattoni crudi. Col IV-III sec. a. C. la città si contrae limitandosi ad occupare la parte occidentale del pianoro, dalla collinetta del teatro alle balze lungo il fiume; un nuovo muro di fortificazione, impostato sui ruderi del precedente abitato, fu allora innalzato a costituire il nuovo limite orientale della città.
Il nuovo muro di fortificazione avrebbe avuto dapprima uno spessore modesto; successivamente, nella seconda metà del II sec. a. C., in un momento di particolare necessità che possiamo identificare con le guerre servili, la cortina muraria venne rinforzata con un ispessimento alle spalle mediante un’opera a sacco di terra e pietrame, regolarizzata e rattenuta nella fronte interna con assise di piccoli blocchi di gesso. Dell’abitato è stato messo in luce un notevole settore, nel pianoro a Sud del teatro. Sono stati accertati due strati sovrapposti di abitazioni, rispettivamente riferibili al periodo ellenistico e al periodo romano repubblicano.Dell’abitato di II strato (IV-III sec.a.C., contemporaneo al teatro) sono state scavate due case, inserite in un sistema a strade parallele e ortogonali. Le due case messe in luce sono caratterizzate da una pianta semplice: struttura quadrata, chiusa intorno ad un piccolo atrio con cortile centrale.
La casa A era ad un solo piano con cortile fornito di grande cisterna in cui si convogliavano le acque del tetto a falde compluviate. A Nord del cortile era un sacello domestico (lararium), di cui si conservano l’altare quadrangolare addossato all’angolo nord-ovest e l’edicoletta per i lares nella parete est. La pavimentazione del vano è in cocciopesto decorato di tesserine bianche; le pareti conservano avanzi della decorazione a stucco (stile a incrostazione o I stile pompeiano). La casa B aveva un piano superiore con stanze destinate all’abitazione, le cui macerie (mattoni crudi delle pareti, lastroni di soglia, stucchi, intonaci, pavimento in cocciopesto decorato e mosaico), nel crollo, hanno colmato i vani del piano terra. Eccezionale lo stato di conservazione dei muri, non solo nella parte lapidea ma anche nell’elevato in mattoni crudi. Le pareti erano rivestite di intonaco dipinto, di cui rimane il sottofondo di allettamento.
All’abitato di IV-III sec.a.C. si sovrappone, nel II-I sec. a.C., l’abitato di I strato, che può identificarsi con la colonia di ripopolamento dedotta da Rupilio (Cic., Verr., II, 125) al termine della prima guerra servile (132 a. C.). E’ costituito da case costituite generalmente di due o più vani gravitanti su un cortile con focolare. I muri sono costruiti con basamento di blocchetti di pietra gessosa ed elevato in mattoni crudi. L’organizzazione in isolati inquadrati da strade nord-sud che si incrociano con strade est-ovest, ricalca lo schema della fase precedente. Verso il termine del I sec. a.C. la città fu abbandonata e cala il silenzio nelle fonti letterarie. L’area extra-urbana tornò ad essere occupata in epoca paleocristiana e bizantina (III-VII sec. d.C.), con la costruzione di una grande basilica e da un connesso cimitero.
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