La fortuna di Colombo

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Quando ero alle elementari, il maestro di raccontò la storia della discussione tra Colombo e la commissione costituita dai professori dell’Università di Salamanca, i quali sarebbero opposti al progetto portando come obiezione che la Terra fosse piatta, e che quindi fosse impossibile raggiungere il Giappone passando dall’oceano.


Storiella carina, che ha sicuramente generato nel sottoscritto una profonda antipatia per terrapiattisti e i comitati di qualsiasi genere e risma, ma falsa come una moneta da tre euro.


Fu infatto un parto della fantasia di uno scrittore americano, Washington Irving, che se lo inventò di sana pianta: i dotti di Salamanca era qualcosa di ben diverso dei tontoloni che infestano facebook, ed erano tra le persone più colte che l’Europa potesse offire all’epoca.


Tra i dotti dell’autunno del Medioevo, il concetto della sfericità della Terra era acclarato e di pubblico dominio. Si pensi, almeno, al matematico e astronomo inglese Giovanni Sacrobosco: nel 1230 egli scrisse il Tractatus de Sphaera, emblematico già dal titolo. Il trattato del Sacrobosco ebbe una diffusione ampissima, tanto che fu uno dei primi testi ad essere pubblicati a stampa. Oppure, per parlare che dovrebbe essere nota a ogni italiano, nella Divina Commedia di Dante Alighieri la Terra è descritta come una sfera, dentro cui si articola il regno infernale.


Le obiezioni dei professori, in realtà, erano di due diverse tipologie, in qualche modo, fondate entrambe. La prima, che dovrebbe essere abbastanza nota, riguardava la dimensione del globo terreste. Colombo, ispirato da un matematico Paolo dal Pozzo Toscanelli, che aveva compiuto i suoi calcoli basandosi sugli errori compiuti da Tolomeo, la riteneva assai più piccola di quanto fosse in realtà; secondo lui, la distanza tra Spagna e Giappone sarebbe stata pari a circa 4500 Km.


I professori di Salamanca, che conoscevano il lavoro di Eratostene, affermarono come questo numero non fosse né in cielo, né in terra e come la distanza, dovesse essere almeno cinque volte più grande di quanto affermato dal genovese. Sembra strano, ma avevano ragione loro: tra Madrid e Tokio ci sono circa 22000 Km.


L’immagine che accompagna il post, in cui la geografia reale e quella che aveva in mente Colombo sono confrontate, rende bene l’entità dell’errore del genovese


La seconda obiezione, meno nota a più, è legata alle idee che si avevano nel 1400 sulla geografia dell’oceano Atlantica, basate sia sulle fonti classiche, sia sull’esperienza concreta dei viaggi. I geografi dell’età ellenistica, come Ipparco, Posidonio e Seleuco di Babilonia si erano accorti di come il regime delle maree dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano fossero notevolmente notevolmente diverse (in particolare perché le disuguaglianze diurne, vistose nell’oceano Indiano, non sono visibili nell’Atlantico).


Per spiegare tale stranezza avevano ipotizzato come i due Oceani fossero divisi da istmo di terra, su cui dovevano essere presente, per evitare il contatto tra le acque, un’immensa catena montuosa: senza saperlo, avevano immaginato, il complesso costituito dalle Montagne Rocciose e dalla Cordigliera delle Ande. Tale istmo, di fatto, avrebbe reso impossibile qualsiasi circumnavigazione del globo.


Tale idea, tramite Strabone e tramite i geografi arabi, era giunta alle persone colte del Quattrocento e veniva considerata attendibile. Sempre le fonti classiche, come Diodoro Siculo,Tolomeo, Plinio il vecchioo Plutarco, affermavano l’esistenza nell’Atlantico di un arcipelago subtropicale, le cosiddette Isole Fortunate, distanti dall’Africa circa 10.000 stadi (circa 2000 km), caratterizzato da una vegetazione lussureggiante.Ora che fossero un’invenzione puramente letteraria o in citazione distorta delle Canarie o di Madeira, è difficile dirsi.


Però, questo, unito alla conoscenza dell’esistenza di Vinland, cosa che non era nel Medio Evo un segreto per nessuno, aveva portato ipotizzare come l’Atlantico, dalla Groenlandia all’Equatore, fosse pieno di arcipelaghi, più o meno civilizzati.


Le isole ipotetiche più famose erano Antillia, simmetrica come posizione dimensione e forma al Portogallo, Hy-Brasil e Mam, a centinaia di miglia dall’Irlanda, Mayda, poco più a sud del Vinland e l’arcipelago costituito da Saluaga, Sallia, Ymana, Rosellia e Taumar. In queste ultime, secondo la leggenda, vi si erano rifuggiati, per sfuggire all’ìnvasione arabe l’ultimo re visigoto della Spagna e sette vescovi cristiani, fondando 7 città, in cui i loro discendenti sarebbero vissuti in santa pace.


Ipotesi, quella dell’abbondanza di arcipelaghi,paradossalmente supportata dalle scoperte geografiche dell’epoca: le Canarie sono esplorate tra il 1312 e il 1335; Madeira tra il 1339 e il 1425; le Azzorre dopo il 1427. Scoperte che potevano fare pensare come queste isole non fossero le prime di una lunga serie


Per cui, i dotti spagnoli, per farla breve, nel contestare la proposta di Colombo, affermarono che il suo viaggi, nel caso peggiore o avrebbe fatto morire di fame e sete il suo equipaggio, oppure, nell’ipotesi migliore, avrebbe scoperto terre e isole, alquanto sfigate, su cui al massimo sarebbe stato possibile coltivare vite e canna da zucchero, ma non certo l’Asia ricca d’oro e spezie.


Se non fosse stato per le raccomandazioni di Padre Juan Pérez e del vescovo Alessandro Geraldini, entrambi confessori di Isabella la Cattolica, Colombo non avrebbe ottenuto dalla Spagna, dal Banco di San Giorgo e dal mercante fiorentino Giannotto Berardi i 50000 euro, in valuta attuale, necessari a finanziare l’impresa…


Ma come si sa, la fortuna aiuta gli audaci e la Realtà spesso è più complicata e sorprendente di quanto qualsiasi ipotesi, per quanto razionale e ben congegnata, possa contemplare…

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Published on April 10, 2019 14:00
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Alessio Brugnoli
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