Angkor (Parte III)

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Prima di godermi le meritate, almeno spero, ferie a Reggio e in Grecanica, nella speranza anche di fare una capatina al festival Paleariza, riprendo la mia chiacchierata su Angkor. Come raccontavo, la situazione nell’Impero Khmer, già tesa sotto Udayadityavarman II, divenne critica sotto il suo successore Harshavarman III, che dopo una fallimentare sconfitta subita in una guerra con i vicini Cham, vide prevalere le spinte centrifughe nei suoi domini, tanto che il suo dominio si ristrinse solo alla zona di Angkor.


Di questo ne approfittò l’ennesimo homo novus khmer, Jayavarman VI, che era un grosso proprietario terriero della zona nord-occidentale del regno, con un ampio latifondo nei pressi di Phimai, nella valle del fiume Mun, attualmente l’ odierno Isan thailandese. Jayavarman, per crearsi una sorta di legittimità presso i suoi seguaci,nelle iscrizioni del primo periodo del suo regno, si vantava una discendenza dalla mitica coppia di principi Kambu Swayambhuva e sua sorella (e sposa) Mera, anziché da predecessori reali.


Impegnato in una lunga guerra civile per riunificare l’Impero e contro i seguaci di Udayadityavarman, non svolse una grande attività di edificazione di templi e conquistato il trono, fu probabilmente ucciso da una congiura organizzata dal fratello maggiore Dharanindravarman I nel 1107. Il quale, però, fece l’errore di non uccidere il nipote Suryavarman, figlio di Jayavarman VI, il quale nel 1110 vendicò il padre. Secondo un’iscrizione, saltò in cima all’elefante dello zio Dharanindravarman I e uccidendolo come fece il dio Garuna che nelle sembianze di un uccello catturò un serpente con gli artigli, facendosi incoronare subito dopo.


Suryavarman fu un diplomatico, mandò un’ambasciata nella lontana Cina e un guerriero indomabile. Conquistò a nord-ovest diversi territori dei mon di Dvaravati. Dopo aver definitivamente preso il controllo del Regno di Lavo, che si era reso indipendente dai khmer,attaccò invano l’altro regno mon di Haripunjaya,l’attuale Lamphun nella Thailandia del Nord. Conquistò altri territori ad ovest, verso il confine con i birmani del Regno di Pagan, a sud, nella penisola malese, ripristinò la suzeraineté, la potestà feudale, Khmer sul regno di Tambralinga (corrispondente più o meno all’odierna provincia

thailandese di Nakhon Si Thammarat), ad oriente si impadronì di diverse province del Champa, mentre a nord si espanse fino ai confini meridionali dell’odierno Laos.


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E soprattutto fu un grande amante dell’arte: fu lui a fare edificare lo splendido Angkor Wat, combinazione unica tra il tempio-montagna, cioè il progetto standard per i templi nazionali dell’impero, e il successivo piano di gallerie concentriche. Il tempio è la rappresentazione del Monte Meru, la casa degli dei: le cinque torri centrali simboleggiano i cinque picchi della montagna, mentre le mura e il fossato simboleggiano le montagne e l’oceano che la circonda. Per sottolineare la sua rottura con il passato e proclamare una nuova era di prosperità,Suryavarman non dedicò il tempio a Shiva, ma Visnù, Signore dei Mondi e del Dharma. Per questo, l’Angkor Wat è orientato ad Ovest, non a est, come buona parte dei templi della città.


Il muro più esterno del tempio, lungo 1 25 metri per 802 metri di larghezza e alto 4,5 metri, è circondato da una fascia di terreno libero e da un fossato, che ha il compito di accogliere le acque monsoniche stabilizzando la falda sottostante. L’accesso al tempio da est è lungo un declivio di terra, e attraverso un passaggio rialzato in pietra arenaria da ovest; quest’ultima è l’entrata principale ed è un’aggiunta successiva probabilmente al posto di un precedente ponte. In ogni punto cardinale ci sono delle entrate (gopura); la più grande è quella a ovest con tre torri in rovina, che in una sorta di frattale, richiama perfettamente la forma dell’Angkor Wat.


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Sotto la torre più meridionale c’è una statua di Vishnu, conosciuta come Ta Reach, che probabilmente occupava in precedenza il sacrario centrale del tempio e che fu spostata qui quando l’Angkor Wat fu dedicato al culto buddista. Tra le torri corrono delle gallerie che arrivano fino alle due entrate ai lati del gopura, dette anche “porte degli elefanti”, perché sono abbastanza grandi da permettere il loro passaggio. Queste gallerie hanno dei pilastri quadrati nella parte esterna (ovest) e sono chiuse da pareti nella parte interna (est). Il soffitto tra i pilastri è decorato con fiori di loto; la parte ovest del muro

con figure danzanti e la parete a est con finestre balaustrate, con figure maschili danzanti e animali rampanti, con devata, inclusa l’unica nel tempio che mostra i propri denti (a sud dell’ingresso).


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Un viale rialzato di 350 metri unisce il gopura occidentale al tempio vero e proprio, con dei naga a balaustra e sei gruppi di scalini che su ambedue i lati conducono verso la città. Tempio che è composto da tre gallerie che si alzano verso la torre centrale; ogni livello è più alto di quello precedente e sono probabilmente dedicati a Brahma, alla luna a Vishnu. Ogni galleria ha un gopura a ogni punto cardinale, e le due gallerie interne hanno delle torri agli angoli, in modo da creare la configurazione a cinque elementi, in onore del mitologico monte Meru, che gli studiosi di architettura Khmer hanno

definito quincunx


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La galleria più esterna misura 187 per 215 metri, con agli angoli dei padiglioni invece che delle torri e i suoi muri sono decorati con un’estesa serie di bassorilievi, con scene tratte dai poemi indiani Ramayana e dal Mahabharata. Partendo dall’angolo a nord-ovest in senso antiorario, la galleria più occidentale mostra la battaglia di Lanka (tratta dal Ramayana, dove Rama sconfigge Ravana) e la battaglia di Kurukshetra (tratto dal Mahabharata, che mostra l’annientamento reciproco dei clan Kaurava e Pandava). Seguono poi delle scene storiche nella galleria più meridionale, una processione di

Suryavarman II, e poi i 32 inferni e i 37 paradisi della mitologia indù. Glaize scrive di


queste anime sfortunate che stanno per essere gettate giù all’inferno a soffrire con crudeltà così articolate che a volte sembrano del tutto sproporzionate rispetto al crimine commesso. Così succede che alle persone che hanno danneggiato l’altrui proprietà vengono rotte le ossa, gli ingordi sono spaccati in due, i ladri di riso tormentati da ventri enormi di ferro incandescente, coloro che raccolsero fiori nel giardino di Shiva hanno le teste trafitte da chiodi, e i ladri sono lasciati nel gelo più intenso.


Nella galleria a est c’è una delle scene più rinomate, la grande creazione del mare di latte, e mostra 92 asure e 88 deva che usano il serpente Vasuki per far ribollire il mare sotto la direzione di Vishnu. La galleria a nord mostra la vittoria di Krishna su Banasurae una battaglia tra gli dei induisti e asure. I padiglioni agli angoli nord-ovest e sud-ovest contengono ambedue delle scene in scala ridotta, alcune non identificate, ma per lo più tratte dal Ramayana o dalla vita di Krishna.


Più oltre, le gallerie più interne immediatamente seguenti sono connesse tra di loro e alle due biblioteche che le fiancheggiano da un terrazzamento a croce, aggiunto in seguito, sempre in occasione della riconversione a tempio buddista.Salendo dal secondo livello in poi, sulle pareti abbondano i devata, singolarmente o in gruppi di quattro. Il cortile al secondo livello è di 100 per 115 metri, e può darsi che fosse in origine riempito d’acqua a rappresentare l’oceano intorno al Monte Meru.


Tre gruppi di scalini su ciascun lato conducono in alto verso le torri angolari e gopure della galleria più interna. La scalinata molto ripida rappresenta la difficoltà di salire nel regno degli dei. La galleria più interna, detta Bakan, è un quadrato di 60 metri di lato con gallerie che connettono i gopura con il sacrario centrale e gli altri sacrari secondari situati sotto le torri angolari. Le coperture delle gallerie sono decorate con corpi di serpente che terminano in teste di leone o di garuna. Dei frontoni scolpiti decorano gli ingressi delle gallerie e dei sacrari. La torre sopra il sacrario centrale si eleva per 43 metri a un’altezza di 65 metri dal piano del terreno; diversamente dai precedenti templi-montagna, la torre centrale si eleva sopra le quattro torri che la circondano.


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Nel tripudio di bassorilievi, Suryavarman II, forse anche alquanto vanitoso, si fece ritrarre più volte:un bassorilievo nella galleria sud di Angkor Wat lo ritrae mentre conduce la corte reale. È seduto su un elaborato palchetto con tutto il telaio scolpito in modo da somigliare ad un serpente naga. Sulla testa porta un diadema a punta, e ha dei ciondoli alle orecchie. Indossa delle cavigliere e dei bracciali. Nella mano destra tiene quello che sembra un serpente morto (non se ne conosce il significato). Ha il dorso che si curva dolcemente, con le gambe incrociate sotto di lui. L’immagine è di generale serenità e sicurezza della sua posizione e del suo potere. È circondato da assistenti, e sopra la testa ha una moltitudine di parasoli, ventagli e scaccia mosche, che nella società di Angkor fungevano da simbolo di alto rango, così come di conforto. Ai lati ci sono dei consiglieri, alcuni dei quali con la mano sul cuore in segno di lealtà.In altri rilievi, il re è mostrato in tenuta da guerra, in piedi sopra un elefante. Tiene un’arma nella sua mano destra, e uno scudo rotondo nella sinistra. Vari ranghi di soldati sono allineati dietro di lui.


Come in una tragedia greca Suryavarman fu la sua hybris, la sua tracotanza, la volontà di compiere azione che trascendono i limiti dell’Umano, attirandosi così l’ira e l’invidia degli dei.


L’ultima iscrizione che accenna al suo nome è del 1145 in relazione a un’invasione pianificata del Regno Champa. Probabilmente morì durante una spedizione militare tra il 1145 e il 1150. Seguì quindi un altro periodo in cui molti re regnarono brevemente e furono rovesciati con la violenza dai successori. Le armate dei Cham approfittarono dell’instabilità creatasi nel 1177, sconfiggendo la Kambuja in una battaglia navale sul lago Tonle Sap e annettendola come provincia del Regno Champa.

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Published on August 10, 2018 11:57
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Alessio Brugnoli
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