Sarno: tra storia e microstoria

Chi non è mai andato alla ricerca del tempo perduto? Chi non ama i ricordi? A chi non piacerebbe fare un viaggio all’indietro sulla freccia del tempo per aggiustare qualcosa di sbagliato, rivedere qualcuno “perduto” negli anni, ma sempre presente nella memoria? Chi non amerebbe rivivere in un tempo ed uno spazio magicamente ritrovati, momenti di vita inevitabilmente svaniti nella nuvola del tempo?
Se il poeta ha detto che i ricordi sono “ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”, allora vuol dire che la memoria degli uomini è destinata a sopravvivere alla fine del nostro “breve corpo”. In fondo, ogni giorno della nostra vita è costellato da frammenti esistenziali. Momenti i quali, se messi insieme, se organizzati con pazienza ed armonia, come mattoni creativi, dovrebbero servire a realizzare quel progetto di vita al quale tutti dovremmo aspirare, per dare un senso a questa nostra breve o lunga presenza terrena.
Ho usato la parola “frammenti”, un termine che, però, guarda caso, ha un etimo quanto mai fragile. Dal latino “frag-mentum”, radice di fragile, pezzo di cosa rotta, frantume, rottame, scheggia. E’ la stessa parola di cui mi occupai quando qualche anno fa, in un post sempre su questo mio spazio digitale che ormai da oltre un decennio registra i miei pensieri. L’occasione fu l’uscita di un prezioso libretto che portava questa parola riferita ad un preciso momento storico della Città di Sarno: “Frammenti di Ottocento Sarnese” scritto dall’avv. Gaetano Ferrentino.
Questa volta lo spunto per occuparmi ancora di questi “frammenti” di cui è fatta la microstoria della Città di Sarno, oltre a darmela la scrittura continuata su questi temi che il carissimo giovane amico seguita a produrre sul suo spazio social di Facebook, me la offre anche il vecchio amico poeta Gino De Filippo. Questo quasi novantenne, sfortunato poeta e scrittore ribelle sarnese mi ha atteso per tutta l’estate per offrirmi un suo personale “frammento” che aveva scritto mesi orsono.
Mentre il Ferrentino per tutta l’estate si è occupato di frammenti quali “u viente”, “‘a semmenzell”, “o panaro”, “peppino sempe è festa”, “o filone”, “o masto”, “il vicolo”, “e zeppolelle”, “a cinta di libri”, “o zuoccolo” e “a laparelle”, con l’intenzione di trasmettere alla gente semplice le provocazioni della quotidianità paesana, con spensieratezza e non per vanità di grandezza artistica, semplici “madeleine” di Proust, scritte e servite a chi ama queste dolcezze per far gustare piacevoli ricordi di un passato che non esiste più, “masta a Gino, o Piscupiare” si è limitato a darmi due fogli che qui riproduco e mi accingo a commentare.

Un foglio ritrae graficamente quello che resta della “memoria” della Frazione di Episcopio così come se la ricorda il Poeta Gino De Filippo verso la fine degli anni '40. Fa un lungo elenco di presenze e di ricordi legati non a fantasmi ma a realtà umane e produttive di un piccolo-grande mondo antico che non esiste più. Una lunga serie di arti, presenze e mestieri che davano vita ad una comunità che oggi è soltanto una lunga sequenza di fantasmi nella mente di chi se li ricorda vivi.
Il calzolaio, il sarto, la cantina-taverna, il pastificio, la merceria, i bottai, il falegname, il barbiere, il panettiere, il ramaiolo, figure umane che alloggiavano in luoghi ben precisi, scomparsi ed annientati dalla freccia del tempo: palazzo Paschitti, palazzo Origo, palazzo Landriani, palazzo Iannelli, palazzo Milone Abignente, palazzo Squitieri, palazzo Fusco, palazzo Loria, palazzo delle Monache, palazzo Nobile, palazzo Tortora, la Cattedrale, palazzo Bosco, palazzo Canonico Pace, palazzo Conte Balzerano, palazzo Vescovo Tura, palazzo Milone Cioffi e tanti, tanti cortili.
Da quel bravo disegnatore e progettista che fu, “masta a Gino” risale nella sua “memoria grafica” il viale Margherita, accede in via Duomo, passando per il Vico San Chirico dove vide la luce, percorre via Duomo e per ogni postazione individua le arti e i mestieri che gli sono ancora presenti nella memoria a distanza di oltre mezzo secolo. Li identifica con lettere e numeri e pensa a quell’età felice, se non dell’oro, che era e fu la sua amata Frazione di Episcopio.
E’ proprio il caso di dire che, nella sua mente, quella, era una vera “età dell’oro” che di “oro” non aveva proprio nulla, se non in termini di felicità, oggi perduta per sempre e ridotta a frammenti. Anzi, è il caso di dire “fantasmi”, di un passato che è meglio dimenticare. “Frammenti”, appunto di una storia andata in frantumi ...

Published on September 10, 2017 08:16
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