La "luce" di Leonard Cohen

"There Is a Crack in Everything, That’s How the Light Gets In" - "Cè una frattura in ogni cosa ed è da lì che entra la luce". Una frase illuminante che può benissimo condensare l'arte di questo poeta, musicista e cantante che solo qualche giorno fa ci ha lasciato, all'età di 82 anni, dopo una caduta che gli è stata fatale. Ditemi se questa non è poesia in musica. Ovviamente non potete sentire le note che il compianto cantante, poeta e musicista ha scritto per questa poesia che dà anche il titolo al suo ultimo album e sulla quale scrivo questo post. Solo per questo avrebbe meritato il Nobel. Ma c'è anche altro.
Leonard Cohen, un poeta che sembrava nato con la laurea in pessimismo, è scomparso a distanza di poche settimane dopo l'uscita del suo splendido album "You Want It Darker" . Una frase premonitrice caratterizza la sua scomparsa e fa pensare una risposta che viene anche data: "Signore sono pronto". Artista vero e contraddittorio, sempre oscillante tra realtà e azzardo poetico visionario, avvertiva forte dentro l'urgenza di raccontare non solo in versi. L'angoscia, l'alienazione, il dubbio sono stati i suoi temi preferiti, sempre suonati con le stesse note, la stessa cadenza, le medesime risonanze.
Sapevi subito che quella canzone, quella musica che ti poteva capitare di sentire per strada, alla radio, in tv, era sua. Tra malinconia e tristezza, ma sempre in maniera leggera, tanto che spesso sembrava comica, con un timbro di voce tra il caldo e il rauco. Del resto, una volta ebbe a dire che, nonostante quello che tutti potevano pensare della sua poesia e della sua musica, lui riteneva di avere un temperamento, un'anima "comica". La sua creatività è stata sempre legata a precise motivazioni riferite alla vita reale, sia quelle soggettive che quelle comuni a tutti.
In più di una occasione ha avuto modo di dire che non ha mai saputo spiegare da dove nascono. La sola cosa che sapeva dire è che aveva sempre sognato di suonare la chitarra, uno strumento nobile e che gli sembrava si ispirasse al movimento manuale di chi lavora. Le sue ispirazioni erano sempre imprevedibili ed impreviste. Potevano venire da qualunque parte, in forme diverse, suoni o parole e immagini.
Poteva essere la Bibbia o Cervantes, forse più spesso i francesi come Camus o Sartre, ma anche inglesi o irlandesi, come Yeats. Qualunque l'origine della sua ispirazione, Cohen faceva suo il pensiero di Sylvia Plath: una poesia, una volta scritta e pubblicata è nelle mani del lettore e della sua interpretazione. Le sue canzoni potevano essere, perciò, cantate o recitate da altri, sarebbero state così trasformate e lui ne sarebbe stato felice. Nessun altro artista l'ha mai pensata così!
Nato in Canada, quando come scrittore pubblica il romanzo "Beautiful Losers", il critico di un giornale di Boston scrive nella recensione del libro che "James Joyce non è morto. Vive a Montreal e si fa chiamare Cohen". Dopo questa esperienza comincia a scrivere poesie ispirandosi a Bob Dylan. I due si incontrarono la prima volta nel '69. Cohen lo definì "un Picasso", mentre l'altro rispose che una delle persone in cui gli sarebbe piaciuto trasformarsi, era proprio Cohen. Quando un suo amico professore annunciò agli studenti: "Sapete che Leonard farà il cantautore?" questi risposero in coro: "Ma se non sa cantare?". Fu proprio la sua voce cupa e recitativa, educata a bere whisky e a fumare terribili sigarette "Gitanes", a trasformarlo nel cantore del cuore che abbiamo imparato ad amare.
"Non ho mai percepito in me delle contraddizioni", diceva beffardo, mentre viveva cercando la spiritualità e l'amore femminile. "La realtà è una donna trasformata dall'orgasmo. Tutto il resto è finzione. Ogni donna che incontro mi stende", è una delle sue massime. Per contro, la sua spiritualità è complessa, se è vero che da sempre "nuota nella radice ebraica".
Negli anni '90 segue il monaco zen Seasaky Roshi trasferendosi nel suo isolato monastero, dove trova la pace dello spirito e il gusto dell'alcool. Ma la sua spiritualità non va messa in dubbio, è solo un'altra faccia del suo personaggio che si esprime attraverso la commovente introspezione di "Hallelujah" o nelle pagine poetiche della sua "confessione" - "Libro della misericordia".
"Tu che dispensi misericordia all'inferno - scriverà in quelle pagine - unica autorità dei mondi supremi e infimi, fa che la tua collera disperda la bruma in questo luogo senza scopo, dove perfino i miei peccati non colgono il bersaglio".Per lui musica e scrittura sono un unicum, così come nella tradizione giudaica c'è unità tra legge orale e legge scritta. Per questo forse, a ben guardare, il suo corpus di testi, che spazia dalla Bibbia ai beatnik, quel cinico cronista di spirito e materia (I'm Your Man), la coscienza inquieta che lo proietta negli anni duemila con dischi intensi e ponderati, non hanno perso nulla della sua forza ieratica, come "Old Ideas" (2012) o "Popular Problems" (2014). Avrebbe davvero meritato il Nobel. Ma, forse, sarà meglio pensare che il Nobel, scaduto com'è, non meritava lui.
Introverso e chiuso in se stesso, nel 1970, con capelli lunghi e barba incolta, al festival sull'isola di Wight fu il ribelle che incitò mezzo milione di hippie ad accendere un fiammifero per illuminare la notte e, viste le poche fiammelle, osservò: "È una grande nazione, ma ancora debole". Dopo quell'avventura qualcuno gli chiese: "Sarai il Mosè di qualcuno?". "Non so se sarò mai il Mosè di qualcuno, ma potrei essere il loro Leonard". Idolo di una certa sinistra politica culturale ed intellettuale, Leonard Cohen aveva poco a che fare con la politica o peggio, l'ideologia fatta politica.
Pochi giorni prima di morire, Cohen ha inciso il suo quattordicesimo album, con un disco magico, intenso e profondo che contiene questa poesia. Prodotto dal figlio Adam, il nuovo disco di Leonard vede il coinvolgimento di Cantor Gideon Zelermyer e "the Shaar Hashomayim Synagogue Choir" di Montreal. Con le loro voci evocano i suoni con cui Leonard è cresciuto. Chitarre, organo, e archi sono il tappeto sonoro su cui si muovono tutti i brani. Il fulcro sono la voce ipnotica e avvolgente di Cohen e le voci delle coriste coinvolte nel progetto.
La vita, l'amore, il viaggio e la morte sono i temi di "You want it darker", titolo del disco, ma anche della canzone più emozionante e spirituale. La storia di un viaggio, tanto quello dell'uomo comune, quanto quello suo, di Cohen, alla ricerca di qualcosa che si conclude oltre il buio, quando le candele saranno spente.
Unanime il giudizio della critica musicale mondiale: capolavoro. Purtroppo l'ultimo. Quella che segue è la traduzione impropria di questa poesia che resta per me il suo testamento artistico. Traduzione "impropria" ho detto, la vera poesia non va mai tradotta, perché ogni traduttore è un traditore.
Tu vuoi più buio
Se tu dai le carte Io non sto al gioco Se sei il guaritore Significa che sono zoppo e a pezzi Se tua è la gloria Allora mia dev’essere la vergogna Tu vuoi più buio Noi spegniamo la fiamma
Magnificato e santificato Sia il Santo Nome Vilipeso e crocefisso Nelle sue sembianze umane Un milione di candele accese Per quell’aiuto mai giunto Tu vuoi più buio
Hineni Hineni Sono pronto, mio Signore
C’è un amante nella storia Ma la storia è sempre la stessa C’è una ninna nanna per chi soffre E un paradosso cui dar colpa Ma è inciso nelle Scritture E non è un’affermazione vuota Tu vuoi più buio Noi spegniamo la fiamma
Stanno allineando i prigionieri E le guardie prendono la mira Ho lottato con alcuni demoni Erano borghesi e mansueti Non sapevo di avere il permesso Di uccidere e mutilare Tu vuoi più buio
Hineni Hineni Sono pronto, mio Signore
Magnificato e santificato Sia il Santo Nome (3) Vilipeso e crocefisso Nelle sue sembianze umane Un milione di candele accese Per quell’amore mai giunto Tu vuoi più buio Noi spegniamo la fiamma
Se tu dai le carte Fammi uscire dal gioco Se sei il guaritore Io sono zoppo e a pezzi Se tua è la gloria Mia dev’essere la vergogna Tu vuoi più buio
Hineni Hineni Sono pronto, mio Signore
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You want it darker
If you are the dealer I’m out of the game If you are the healer Means I’m broken and lame If thine is the glory Then mine must be the shame You want it darker We kill the flame
Magnified and sanctified Be Thy Holy Name Vilified and crucified In the human frame A million candles burning For the help that never came You want it darker
Hineni Hineni I’m ready, my Lord
There’s a lover in the story But the story’s still the same There’s a lullaby for suffering And a paradox to blame But it’s written in the scriptures And it’s not some idle claim You want it darker We kill the flame
They’re lining up the prisoners And the guards are taking aim I struggled with some demons They were middle-class and tame I didn’t know I had permission To murder and to maim You want it darker
Hineni Hineni I’m ready, my Lord
Magnified and sanctified Be Thy Holy Name Vilified and crucified In the human frame A million candles burning For the love that never came You want it darker We kill the flame
If you are the dealer Let me out of the game If you are the healer I’m broken and lame If thine is the glory Mine must be the shame You want it darker
Hineni Hineni I’m ready, my Lord
"Hineni" significa in ebraico antico “eccomi” e si riferisce al versetto della Torah ”Dopo queste cose Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose «Eccomi (hineni)!» (Genesi 22,1). Ricordiamoci che Cohen è di origine ebraica ... ‘Darker’ è un termine che ha più significati, perciò quasi impossibile da tradurre. ‘Dark’ letteralmente significa ‘scuro, buio", ma la parola ‘dark’ viene usata con molti altri significati metaforici. Sta a chi legge e ascolta a costruire la sua realtà, i propri riferimenti. Comunque, si tratta di un mondo immorale, in sfacelo che può essere quello personale o quello globale.
Il tono è apocalittico e senza scampo. Preferisco tradurre ‘buio’ per creare una specie di contrasto con l’immagine delle candele e della fiamma che viene spenta, evidentemente per volontà del Signore. E' la luce della vita che viene spenta, è Lui che lo vuole, Lui che vuole il "buio", perchè, forse, ci sia, dopo, la "luce". Bisogna essere pronti, comunque. E Leonard, per quello che ha scritto e cantato, ed anche fatto in vita, possiamo dire è stato "pronto". Una canzone-poesia che è anche un invito per ognuno di noi. Grazie Leonard!

Published on November 21, 2016 03:22
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