I calchi. Quando l’italiano in realtà è inglese (o francese, spagnolo…)
In principio fu Faletti.
O meglio, la polemica secondo cui Faletti non avrebbe scritto di suo pugno il thriller Io sono Dio, ma avrebbe tradotto l’opera di un misterioso ghostwriter anglosassone. Correva l’estate 2009 e sui quotidiani si era scatenata una polemica sull’argomento grazie alla quale il termine “calco” divenne noto anche a chi non bazzicava ambienti linguistici o letterari.
Il problema? Nel libro di Faletti comparivano espressioni originali e spesso incomprensibili che richiamavano in modo molto sospetto espressioni invece di uso comune nella lingua inglese.
Esempi?
– Girare intorno al cespuglio, dove in inglese si dice to beat about the bush e in italiano menare il can per l’aia.
– Sciogliersi fra la gente, dove in inglese si dice to melt into the crowd ma in italiano si direbbe dileguarsi tra la folla.
– Carta da visita, dove in inglese si dice card e in italiano biglietto da visita.
– Tavolino da notte, dove in inglese si dice bedside table e in italiano comodino.
– E, forse la frase più sibillina di tutte: “pensavo che una ventina di grandi vi avrebbero fatto comodo”, chiara solo a chi sa che in inglese grand significa mille dollari o mille sterline.
Il mio intento oggi, però, non è processare di nuovo Faletti, ma fare due chiacchiere su un elemento delle traduzioni che forse chi non è addetto ai lavori non conosce. Il CALCO, appunto.Il calco è la traduzione di una parola, di una frase o di un’espressione, che non rispetta le regole e le consuetudini della lingua italiana ma che si “conforma” che “copia”, che “ricalca” appunto, quella straniera. Ne possono derivare tre situazioni: il lettore non percepisce niente di strano perché il calco è minimo o è ormai entrato nell’uso; il lettore percepisce il calco come un nuovo modo originale per dire qualcosa che in italiano diremmo diversamente; il lettore non capisce un tubo di quello che legge (come nell’esempio di Faletti, dove chissà cosa saranno mai i “grandi”).
Monica Pareschi, che ha tradotto, fra gli altri, autori come Doris Lessing e Bernard Malamud, ha stilato un elenco divertente di calchi in cui compaio (cito testuale):
– “fa la differenza”, ormai infettivo e resistente ai vaccini.
– Il possessivo-ossessivo, per esempio in palestra: rilassate la vostra pancia, rilasciate i vostri glutei… ma quali, quelli de tu’ sorella sennò?
– Seduttivo invece di seducente, emozionale invece di emotivo. purtroppo dilaganti.
– Il crollo del sistema delle preposizioni, esempio: “te lo so dire in un ora”, “ci vediamo in Brera”, “lavora in Deloitte, in Telecom, in Bocconi, e va sempre a lavoro tardi” (rinvenuto “a lavoro” in autore italiano contemporaneo peraltro apprezzabile, editor evidentemente assente, o dormiente).
Isabella Zani, altra autrice di un numero incalcolabile di traduzioni da Asimov a Zeltersman, rincara la dose: basico anziché basilare o fondamentale; supportare anziché appoggiare, sostenere, favorire; luce verde anziché semaforo verde; fare sesso anziché andare a letto; ragione anziché motivo; lista anziché elenco; i libri una volta ci piacevano e adesso li amiamo; le notizie una volta erano belle o brutte e adesso sono buone o cattive.
E, per quanto mi riguarda, nelle ultime letture ho rinvenuto: opere di delizia invece di prelibatezze, per tradurre works of deliciousness; proprietà, invece di decenza/decoro per tradurre propriety.
Una voce in difesa dei calchi, o quanto meno a sostegno della loro possibile utilità è quella di Leonardo Marcello Pignataro, traduttore che si occupa fra l’altro di tradurre i dialoghi de Il Trono di Spade. Per quanto riguarda il cinema e le serie televisive, spiega Leonardo, spesso si adottano traduzioni che in realtà sono a tutti gli effetti dei calchi per una pura questione labiale. La traduzione in italiano corretto sarebbe un’altra, ma nel doppiaggio si scelgono soluzioni che non vanno in contrasto con le immagini. Per esempio, la A è una lettera insidiosa, perché se l’attore non apre la bocca per pronunciarla e nell’audio compare, i telespettatori lo notano di più.
Ecco perché, per esempio, il termine inglese EVER, che in italiano andrebbe tradotto con che mai, in assoluto, nel doppiaggio viene reso con la traduzione letterale di sempre che ormai sta entrando nell’uso comune anche se si tratta di un calco evidente, in frasi tipo: il libro più brutto di sempre, il film più costoso di sempre, laddove invece una volta avremmo detto il film più costoso in assoluto, il libro più brutto in assoluto.
Come regolarsi quindi? In generale i calchi sono una specie di infiltrato sgradito nella nostra lingua. Qualcosa che vuole farsi passare per italiano ma non lo è. Ma, come dicevo all’inizio, possono anche rappresentare un modo piacevole o originale di dire la stessa cosa in modo diverso.
La scelta traduttoria però deve essere consapevole. Il calco non deve scappare, deve essere scelto.
E voi, avete mai trovato in qualche libro un’espressione, una parola che non “suonava italiana” ma non sapevate perché? Forse era un calco.
La prossima volta che leggete un libro, provate a farci caso, e se ne trovate uno particolarmente divertente, segnalatemelo. Potremmo fare una piccola classifica dei calchi più buffi o originali!