Vanessa Valentinuzzi's Blog, page 4
July 7, 2014
La sposa silenziosa di A.S.A. Harrison
Titolo: La sposa silenziosa
Titolo originale: The Silent Wife
Autore: A.S.A. Harrison
Traduttore: Alisa Matizen, Irene Abigail Piccinini
Editore: Longanesi
Prezzo: 16, 60 €
Data di uscita: 22 maggio
Genere: Thriller psicologico
Pagine: 333
Jodi Brett è una donna estramente affasciante. Psicoterapeuta di professione, riceve i suoi pazienti in uno studio della casa di Chicago che condivide con il suo compagno da venti anni, Todd Gilbert. Jodi è una donna attiva, si tiene impegnata con attività che riguardano il suo lavoro (workshop, seminari, convegni) però trova anche il tempo per frequentare le sue amiche e prendersi cura di sé e del proprio aspetto. È una compagna affidabile, premurosa che lascia a Todd i propri spazi senza essere mai opprimente, in piena fiducia. Nulla farebbe sospettare che l’avvenente Jodi si appresti a diventare una femme fatale. Come viene preannuciato all’inizio del libro. Jodi ignora che «l’idea che ha di sé e di cosa sia giusto è molto meno granitica di quanto immagini, considerato che entro pochi mesi diventerà un’assassina». Certo in questo matrimonio, raccontato in terza prsona alternando la voce di Lei e Lui in ogni capitolo, di segreti ce ne sono tanti. Ma Jodi dà per scontato che: «la sua esistenza andrà avanti indefinitamente nel suo equilibrio imperfetto.»
La coppia sembra perfetta, così come la vita di Jodi, ma solo dall’esterno. La quotidianità, difatti, per la benestante coppia americana è fatta di piccole vendette, di meschini egoismi dietro i quali i due protagonisti si trincerano per non affrontare le proprie insoddisfazioni. Todd – personaggio odioso da subito – è un self-made man di grande successo nel settore edilizio, è in piena crisi di mezza età e ammette di amare ancora Jodi, solo che il desiderio gli sembra soffocato dall’abitudine. Per sentirsi vivo e dialogare ancora con le sue gonadi rattrappite dalla routine, Todd cerca una nuova passione.
La Sposa silenziosa ci lascia morbosamente intromettere nella vita di una coppia con le proprie idiosincrasie, noie, bugie, veleni che intasano le arterie della relazione. La cronaca di questa coppia che va in frantumi è fredda, scevra da ogni sentimentalismo, lucida e spietata come il sentimento che covano in modo lento e corrosivo i due personaggi. I segreti che la coppia cela nel proprio intimo risalgono anche a molto tempo prima
che Jodi e Todd si conoscessero e riguardano in particolare Jodi, il personaggio più complesso e ammaliante del libro.
A.S.A. Harrison ci racconta la progressiva, quotidiana disintegrazione di un rapporto, in cui Jodi e Todd lasciano precipitare gli eventi, schermandosi dietro ai propri egoismi, finché la siuazione degenera, prendendo una direzione crudele e inaspettata. Questo thriller psicologico ha stregato il pubblico statunitense – il passaparola gli ha permesso di scalare le classifiche del New York Times – probabilmente beneficiando del successo dell’ Amore bugiardo di Gillian Flynn, tanto che Nicole Kidman (tra le prime a leggere La sposa silenziosa) ha comprato i diritti del libro per produrne un film e interpretare Jodi.
Ciò che incanta probabilmente non risiede nell’originalità della storia, bensì nel risvolto psicologico e nei riferimenti alle teorie di Jung e Freud che l’autrice conosceva bene.
Non l’ho trovato un libro imperdibile, devo dirlo. Anzi, probabilmente è un thriller sopravvalutato, uno di quelli che guarederesti volentieri in TV, preferendo leggere altro. Ma qualcosa mi ha spinto a proseguire la lettura, qualcosa di efficace, reale e convincente nella scrittura della Harrison, che non ha nulla a che vedere con la trama, come se l’autrice avesse confessato una parte intima di sé attraverso Jodi. L’aspetto psicologico, l’indagine nel cuore e nella testa di Jodi sono la cosa più interessante di queste pagine.
Lodevole e accativante la traduzione di Alisa Matizen e Irene Abigail Piccinini.
A.S.A Harrison, che da tempo combatteva contro il cancro, è scomparsa nel 2013 poco dopo l’uscita di La sposa silenziosa, suo primo e ultimo romanzo.
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June 30, 2014
La misura della felicità di Gabrielle Zevin
Titolo:La misura della felicità
Titolo originale: The Storied Life of A.J. Fikry
Autore: Gabrielle Zevin
Traduttore: Maria Dompè
Editore: Nord
Prezzo: 16, 00 €
Data di uscita: 19 giugno
Genere: romanzo
Pagine: 313
A.J. Fikry è un burbero libraio trentanovenne dall’aria snob. Nella sua deliziosa libreria, la Island books, a Alice Island, un’ isoletta del Massachusetts (che ricorda molto Martha’s Vineyard) c’ posto solo per i libri che piaccono a lui. Conduce una vita disordinata, si nutre di junk food e spesso si rifugia nell’alcol. Ah, litiga pure con l’agente commerciale di una casa editrice e con un altro ha un feroce scambio su David Foster Wallace, che A. J. trova un autore sopravvalutato: «Infinite Jest è una gara di resistenza», (mi trema la mano solo a riportare questa opinione su uno dei mie autori di culto).
Ma non finisce qui. A.J. trova ripugnanti le biografie sportive, i libri per ragazzi o bambini, niente sopra le quattrocento pagine, gli esordienti, i libri tradotti, il post-modernismo, i chick-lit, i fantasy, i libri con vampiri e Proust lo annoia a tal punto che il libraio si dichiara persino contento di non dover leggere tutta la Recherche. Ma esiste un motivo, oltre al gusto personale, per tanta asprezza caratteriale: due anni prima A.J. ha perso sua moglie Nic, una poetessa oltre che libraia e donna affascinante, in un incidente d’auto.
Da allora vive isolato, niente più presentazioni di libri, né amabili chiacchiere con i clienti. Così la sua piccola libreria indie, visto il suo caratteraccio, fa pochissimi incassi. Gli unici amici di A.J. sono un rara copia del Tamerlane di Edgar Allan Poe, sua cognata Ismay con il marito Daniel, e il detective Lambiase che, frequentando la Island books, diventerà un forte lettore e organizzatore di un Book Club. Una sera il destino riserverà un imprevisto che indurrà A.J. a cambiare totalmente vita, permettendogli di tornare a sorridere e amare incondizionatamente. La cosa più importante è che A.J. ritroverà non solo la sua sensibilità di lettore, imparando ad allargare i suoi orizzonti letterari, ma quella di uomo.
Ogni capitolo si apre con un invito alla lettura di un racconto scritto da A.J. , una scheda che non è solo il consiglio di un libraio ma il lascito di un padre alla
persona che ama di più al mondo. Un romanzo ricco di colpi di scena, dove la morte compare di frequente e arriva improvvisamente, e denso di misteri che alla fine verranno tutti svelati.
La Zevin sa tenere alta l’attenzione del lettore con una trama intricata dove ogni personaggio ha un ruolo incisivo nella vita degli altri. Ironia, romanticismo e suspense vi faranno venire sicuramente voglia di trasferirvi almeno per un po’ a Alice Island. Molto divertente la parte che riguarda uno scrittore ospite a una presentazione, in effetti il libro rivela da parte dell’autrice una profonda conoscenza del mondo editoriale. Gabrielle Zevin è al suo ottavo libro pubblicato, e con questo romanzo ha voluto scrivere un piccolo omaggio dedicato alla letteratura.
I personaggi della Misura della felicità sono ciò che leggono e grazie ai libri smettono di essere soli. Le donne di questa storia, in particolar modo, credono nella volontà di comunicare la loro passione, restituendo a A.J. vivacità e flessibilità intellettuale, perché: «Nessun uomo è un’ isola. Ogni libro è un mondo». L’amore per la lettura va condiviso e, soprattutto, trasmmesso. E poi: «nessuno posto è un bel posto senza una libreria».
In America il libro è piaciuto per il suo messaggio positivo sul futuro dei libri e delle librerie, difatti La misura della felicità – che ho letto nella scorrevole traduzione di Maria Dompè – è un romanzo contagioso che stimola e invita a leggere per vivere meglio, e per scrivere meglio. La sensazione quando si finisce l’ultimo capitolo è di correre in libreria a cercare i racconti di Roald Dahl, Richard Bausch, J.D. Salinger, Raymond Carver, Fannery O’Connor, Katherine Mansfield, Ernest Hemingway, Amy Hempel, Grace Paley, Aimee Bender, Mark Twain, Francis Scott Fitzgerald, Bret Harte, Irwin Shaw, ZZ Paker, citati da A.J. (Scusa, A.J., ma io continuo anche con Wallace e Proust).
Un libro per chi ama i libri e pensa che siamo ciò che leggiamo. Munitevi di carta e penna per segnarvi una serie di titoli interessanti da andare a scovare in libreria.
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June 25, 2014
Roderick Duddle di Michele Mari
Titolo:Roderick Duddle
Autore:Michele Mari
Editore: Einaudi
Prezzo: 22 €
Data di uscita: 15 aprile 2014
Genere: romanzo
Pagine: 485
Roderick Duddle è un romanzo di Dickens scritto da Michele Mari. Sì, avete letto bene. Se dalla copertina non fosse evidente che l’autore è lo scrittore e filologo milanese, attribuirei la paternità di Roderick al grande scrittore inglese.
Il libro si apre come un classico romanzo d’avventura: con una mappa grazie alla quale seguiremo le vicende di Roderick, – un ragazzino di dieci anni, figlio di una prostituta di un equivoco locale, L’Oca Rossa − , che scopriamo essere un giovanotto di Grandi Speranze, ovvero erede inaspettato di una grossa fortuna, quella della famiglia Pemberton. Naturalmente, essendo una storia dickensiana, non possono mancare i cattivi, una serie di loschi figuri interessati al patrimonio dell’orfano Roderick, che viene coinvolto in avventure rocambolesche tra Cork, Castlerough e Glerenmouth. Il ragazzo difatti possiede un medaglione, indispensabile per determinare l’identità dell’erede di casa Pemberton, attorno al quale si dipana la trama. Roderick verrà inseguito da terribili suore, assassini, furfanti senza scrupoli come il cattivo ma divertente Jones, propietario dell’Oca Rossa; si imbatterà in ubriaconi e prostitute, manigoldi e marinai che daranno vita ad una galleria divertentissima di sordidi quanto irresistibili personaggi.
Prendete un pizzico di Sterne, un po’ di Conrad e Stevenson, una generosa manciata di Dickens e otterrete il sorprendente Roderick Duddle. La scrittura di Mari è un’operazione di recupero filologico di quella lingua usata per tradurre la letteratura di ambientazione marinaresca, i grandi romanzi di Richardson, Poe e Melville, aggiuggendo anche un po’ di gusto per lo scabroso comico attraverso un ambiguo personaggio.
Mari ha scelto il punto di vista di un narratore onniscente che si rivolge continuamente al pubblico − con cui assiste allo svolgersi della storia − , ricorrendo a diversi appellativi: «Non farmi dire di più ipocrita lettore, e col favor della notte vieni meco lungo la strada che porta all’Oca Rossa». Altre volte lo blandisce come «paziente lettore» o gli ricorda il suo ruolo di spettatore speciale: «Così vedi anche tu, privilegiato lettore, che è ben difficile stabilire chi fra quelle due creature nel buio fosse più ignorante, più persa, più sola».
Perché leggere un romanzo che ricalca una tradizione letteraria già così ricca? Semplicemente perché Roderick Duddle è un romanzo che nasce dalla contaminazione e da una scrittura “avvelenata” da tante letture, che ha assorbito talmente tante voci da trovarne una propria. Michele Mari ci dimostra che si può rendere omaggio a certe letture, amate a tal punto da diventare una vera e propria ossessione per l’autore, facendo tesoro di un immenso patrimonio letterario per creare un’opera inconsueta e un mondo affascinante. Inattuale e controccorrente, Roderick Duddle è un mirabile esempio di sortilegio narrativo, da ammirare e dal quale lasciarsi incantare pagina dopo pagina.
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June 18, 2014
Elizabeth è scomparsa di Emma Healey
Titolo
: Elizabeth è scomparsa
Titolo originale: Elizabeth is Missing
Autore: Emma Healey
Traduttore: Manuela Faimali
Editore: Mondadori
Prezzo: 17, 00 €
Data di uscita: 6 maggio
Genere: romanzo
Pagine: 285
Maud è una deliziosa signora inglese con qualche problema di memoria. Io, non appena l’ho scoperto, mi sono subito affezionata; quasi fosse proprio mia nonna – anche se la mia si rircordava tutto sempre, pure gli zii cattivi che l’avevano sgridata a cinque anni. Volevo aiutarla, Maud, ma poi ho scoperto che ha già una figlia, Helen, e una nipote, Kate, anche se sono un po’ troppo distratte dai loro impegni e non la prendono mica sul serio.
La cosa buffa è che Maud tempesta la loro casa di foglietti su cui appunta tutto ciò che ritiene importante e che non vuole dimenticare, una su tutte: «Elizabeth è scomparsa». Frequentando Maud ho capito che per lei Elizabeth è una persona fondamentale: è la sua amica del cuore – Ah! Anche mia nonna ce l’aveva, era la signora… be’, mi verrà in mente! – e teme che possa essere in pericolo perché non si trova da nessuna parte e, diciamocelo francamente, Helen e Kate non le danno proprio retta. Sbuffano, alzano gli occhi al cielo e le ripetono di non preoccuparsi, lasciandola sola in un mondo pieno di dubbi, immagini confuse, un limbo silenzioso, tormentato dal dolore per la sorella Sukey, scomparsa nel
lontano 1946.
Maud però è una donna speciale, magari si scorda di aver comprato o meno i barattoli di pesche sciroppate (e ormai ne ha una tale scorta…), ma non dimentica mai di cercare le persone a cui vuole bene, coinvolgendo finalmente anche Helen, che la aiuta a indagare nel mistero delle due donne scomparse.
Anche se tutti inizialmente sembrano giudicare Maud una nonna stralunata, mi sono accorta che il mondo, visto attraverso gli occhi della tenera signora inglese, che ha vuoti di memoria ma anche tanto amore da offrire, è ancora più assurdo e soprattutto molto cinico.
Sono rimasta incantata non solo da Maud ma anche della scrittura di Emma Healey e dalle sue frasi asciutte, dalle descrizioni dettagliatissime, dalla narrazione senza inutili fronzoli, ma di grande impatto emotivo (anche grazie alla splendida traduzione di Manuela Faimali).
Cosa stavo dicendo? Ah, ecco sì. Elizabeth è scomparsa è un gran bel libro. Memorizzatelo.
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June 14, 2014
Interview With Jami Attenberg
I recently spoke with the lovely and talented Jami Attenberg, acclaimed author of Instant Love, The Kept Man, The Melting season and The Middlesteins, the story of a suburban dysfuncional jewish family. Edie Middlestein, the family’s larger-than-life overweight matriarch is a food addict who is eating herself to death. The novel is a funny, tragic, tender and always juicy portrayal of extreme behaviours and the messy attempts we make to take care to the people we love.
What books are on your nightstand?
Right now I’m reading Long Division by Kiese Laymon and The Land of Steady Habits by Ted Thompson. I just finished this lovely debut by Catherine Lacey called Nobody is Ever Missing.
Three writers who influenced your prose?
I always cite Raymond Carver (for the minimalism), Grace Paley (for the voice) and Flannery O’Connor (for the explosiveness), but I could probably talk for days about the many great writers who have influenced me in my life.
How much time do you devote to writing everyday?
When I’m actually working on a book, the first draft in particular, I set myself on a schedule of writing 1000 words a day. However long it takes to write those 1000 words is how I long work that day. Usually I can get that done in a morning.
How did it all started with The Middlesteins? Which part did you start writing first?
I started writing the second chapter first. (Though of course I thought it was the first chapter at the time.) I heard the voice of someone complaining about having to take care of their sick mother and it went from there.
The Middlesteins is sometimes tragic , sometimes tender and extremely ironic. Do you think that there is always a funny side? Is this the only way to rescue ourselves from the tragedies of life?
I am the kind of person who laughs her way through the tears, and this book reflects that sentiment.
Can you tell us something about your next novel, Saint Mazie.
It’s inspired by the life of a real person: Mazie Phillips. A writer named Joseph Mitchell originally wrote about her in 1940 in the pages of The New Yorker. (The essay later appeared in the classic collection of Mitchell’s essays, Up in the Old Hotel.) She ran a movie theater for twenty years in lower Manhattan, through the Depression and beyond, and led a very unconventional existence. She was a boozy, bawdy broad, but also worked tirelessly to help the homeless. She felt like a real hero to me.
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June 11, 2014
Intervista a Jami Attenberg
Domande e risposte sulla scrittura
Jami Attenberg è la talentuosa autrice di I Middlestein, romanzo ironico ma anche tanto, tanto commovente su una famiglia ebraico-americana del Midwest di cui ho parlato ampiamente qui. L’autrice, che al momento dell’intervista è in Illinois ad insegnare scrittura in una serie di conferenze, ha risposto a qualche mia domanda sulla scrittura e sul suo prossimo romanzo.
Quali libri si trovano sul tuo comodino?
In questo momento sto leggendo Long Division di Kiese Laymon e The Land of Steady Habits Ted Thompson. Ho appena finito il bel libro di esordio di Catherine Lacey: Nobody is Ever Missing.
Tre scrittori che hanno influenzato la tua scrittura?
Cito sempre Raymond Carver (per il minimalismo), Grace Paley (per la voce narrante) e Flannery O’Connor (per la sua esplosività), ma probabilmente potrei andare avanti giorni interi a parlare di autori che hanno influenzato la mia prosa.
Quanto tempo dedichi alla scrittura giornalmente?
Quando lavoro ad un libro, soprattutto alla prima stesura, mi impongo un programma di 1000 parole al giorno. Continuo finché non ho finito di scrivere quelle 1000 parole. Di solito ci riesco in una mattinata.
Come hai cominciato a scrivere I Middlestein? Quale parte è arrivata inzialmente?
Ho iniziato dal secondo capitolo (anche se ovviamente pensavo che fosse il primo). Ho sentito una voce che si lamentava di doversi occupare delle madre malata e sono andata avanti da lì.
I Middlestein è un romanzo divertente, ma anche tragico e con momenti di grande tenerezza. Pensi che ci sia sempre un lato ironico in tutte le cose? È una visione che ci salva dalle tragedie della vita?
Sono una persona che cerca sempre di scacciare le lacrime con una risata e I Middlestein rispecchia proprio questo tipo di atteggiamento.
Puoi dirci qualcosa sul tuo prossimo romanzo, Saint Mazie?
È ispirato alla vita di Mazie Phillips. Uno scrittore, Joseph Mitchell, ha scritto di lei nel 1940 sul The New Yorker. (Il saggio è apparso più tardi in una sua raccolta intitolata The Up in the Old Hotel). Maizie ha gestito per vent’anni un cinema a Lower Manhattan, attraversando e superando anche il periodo della Depressione e ha vissuto in modo decisamente anticonvenzionale. Era un’ubriacona, una donna decisamente sconcia, ma lavorava instancabilmente per aiutare i senzatetto. Mi è sembrata una vera eroina.
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June 8, 2014
Il sogno di Schroder di Amity Gaige
Titolo: Il sogno di Schroder
Titolo originale: Schroder
Autore: Amity Gaige
Traduttore: Laura Noulian
Editore: Einaudi
Prezzo: 19,50€
Data di uscita: 11 febbraio 2014
Genere: romanzo
Pagine: 280 p.
Erik Schroder è apparentemente un pessimo marito e un pessimo padre. Dentro di sé forse è pieno d’amore, animato da buoni sentimenti, ma di certo fino a questo momento non ha saputo esternarli. Ora, ad esempio, è in prigione e ha deciso di spiegare con un resoconto dettagliato perché ha rapito sua figlia.
Così inzia questo bellissimo, commovente romanzo di Amity Gaige: con una lettera e una vera e propria apologia che Erik, il narratore e il protagonista della vicenda, indirizza a sua moglie Laura, da cui si è separato, per farle capire quali circostanze lo abbiano portato a reagire alla battaglia per custodia della figlia Meadow, con il rapimento della loro bimba di sei anni. Nel corso della storia, Erik rivelerà un segreto tenuto nascosto per anni che gli ha impedito di reclamare i suoi diritti di padre. Il protagonista infatti non è esattamente un self made man americano come la moglie e i loro conoscenti pensano.
Eric è abiutato a vivere nella menzogna da quando aveva quattordici anni e per essere ammesso ad un campo estivo aveva assunto un nuovo cognome, il più americano e democratico di tutti: Kennedy. Con quella nuova identità Erik ha potuto lasciare una tetra cittadina operaia – Dorchester nel Massachiusetts – si è laureato, ha trovato lavoro, si è sposato e ha vissuto per qualche anno il suo sogno americano ad Albany, tentando di dimenticare le sue origini. Erik, difatti, non è propriamente un cittadino statunitense. Quando aveva cinque anni è scappato dalla Germania dell’Est, la DDR, con suo padre.
Leggendo l’apologia di Erik e seguendolo nel suo picaresco viaggio con Meadow in auto da Albany attraverso il Vermont, le Green Mountains, il New Hampshire fino a Boston, apprendiamo che in realtà è un padre affettuoso e disperato con un passato pesante. La figlia, intelligente a tal punto da diventare una sorta di confessore del padre, è una bimba straordinaria: forte, saggia, brillante.
In alcuni momenti di tenerezza tra padre e figlia, ci sentiamo quasi sollevati, perché Erik non è l’irresponsabile che pensavamo inzialmente. Ma Amity Gaige non ci da tregua, crea un personaggio ambiguo, oscuro al quale ci si affeziona, ma che sul più bello si dimentica
delle figlia dimostrandosi distratto, costringendoci a ribaltare il nostro giudizio.
Amity Gaige ci trasporta nei pensieri di Eric con una scrittura avvincente in grado di creare un personaggio a volte freddo e disposto a tutto – anche a non vedere più il padre per paura di mettere a repentaglio la nuova identità – altre volte amorevole e affettuoso con la figlia. Nonostante ciò, alla fine non possiamo fare a meno di amare il protagonista.
Come ha detto Jonathan Franzen:«La misura dello straordinario talento narrativo di Gaige sta nella sua capacità di convincerci a credere quel che non sarebbe credibile, e ad amare un protagonista che non dovrebbe essere amabile. Di rado un’idea di romanzo tanto azzardata ha trovato una voce narrante cosí irresistibile».
La vita di Erik, il suo tentativo di realizzare il sogno americano – ostentando un perfetto inglese e inventando un’infanzia dorata in un’ immaginaria cittadina vicino a Cape Cod – , è una bolla d’illusione che scoppia quando il suo matrimonio naufraga, portando a galla i resti di un’esistenza vuota e inautentica.
L’autrice ci descrive attraverso una confessione – in stile Lolita di Nabokov – l’America degli immigrati, la provincia operaia piena di sogni, il falso mito che la felicità sia a portata di mano in una nazione che si nutre di speranze e iprocrisie.
Ho amato molto il Sogno di Schroder sia per lo stile fresco e scorrevole dell’autrice sia per l’abilità di dipingere un personaggio fosco, a volte ossessivo ma anche tenero e in cerca di redenzione. Cosa c’è di più empatico di un uomo divorato dai rimpianti che si mette a nudo e confessa, dalla cella di una prigione, di aver sognato troppo in grande, di aver pensato che non ci fosse altro all’infuori della conquista?
Last but not least, nota di merito alla splendida traduzione di Laura Noulian.
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