Vanessa Valentinuzzi's Blog, page 2

December 9, 2014

‘La ferocia’ di Nicola Lagioia

ferocia


Titolo: La ferocia

Autore: Nicola Lagioia

Editore: Einaudi

Data di uscita: 23 settembre 2014

Pagine: 411

Genere: romanzo

Prezzo:19,50


Clara Salvemini, bellissima rampolla di una potente famiglia di costruttori pugliesi, viene ritrovata morta su una strada statale che collega Bari a Taranto in seguito ad un incidente. Le circostanze del decesso rimangono misteriose. Cosa ci faceva Clara nuda su una strada alle due di notte? Per qualcuno, nulla di strano. Clara aveva una pessima reputazione, una giovane donna viziosa e frivola. Probabilmente è stato un suicidio.

La morte della ragazza getta una luce oscura sulla sua famiglia riunita in occasione del funerale a casa Salvemini: il padre Vittorio,  imprenditore edile, sua madre, salottiera signora della Bari bene, il fratello Ruggero, affermato chirurgo,  Alberto, il marito di Clara, abituato ormai ad accettare la vita dissipata e i tradimenti della moglie. Infine li raggiunge Michele, l’ultimogenito, che dopo un periodo turbolento si è trasferito a Roma. Michele è il più fragile e tormentato dei figli, non si dà pace per la misteriosa fine di Clara e scava nella nella propria memoria ripercorrendo il rapporto profondo che legava i due fratelli, le insoddisfazioni interne alla famiglia, il loro comune senso di inadeguatezza. Pian piano, verranno dissotterrati segreti lungamente custoditi di cui i fragili e gli innocenti spesso pagano il prezzo; e a volte quel prezzo è la follia oppure la morte.

Denaro, potere, ostentato benessere economico sono solo la superficie del mondo; sotto si nasconde una zona d’ombra fatta di imbastardite relazioni familiari, corruzione, vizio e ferocia interiore. La ferocia è un romanzo della disperazione, un’indagine sulle ripercussioni delle azioni dei padri sui figli, tara che grava inesorabilmente sui personaggi.  Lo stile impeccabile di Nicola Lagioia e il ritmo perfetto della narrazione sono accompagnati dalla grande capacità di saper scavare profondamente nella psicologia dei personaggi; così l’autore riesce commuovere profondamente soprattutto nelle pagine dedicate alle vicende di Michele.

La figura della bella e dannata figlia dei Salvemini mi è parso un bellissimo omaggio letterario a Lady Madeline, sorella di Roderick Usher – deceduta per via di una malattia –  in La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe. Clara invade e turba come un fantasma delle cose passate la memoria di Michele e di chi l’ha conosciuta. Suo fratello è l’unico a non credere all’ipotesi del suicidio, il solo a sapere quali angosce nascondesse la mondanissima Clara quando era in vita: «Io e lui sprigionavamo l’energia dei morti… In un futuro inaccessibile ma certo quanto la spiga di un seme già interrato, Clara sentiva che Michele avrebbe srotolato mentalmente la missiva, le avrebbe dato voce Allora lei capiva fino in fondo. Si ricordava di essere un fantasma, e non avrebbe avuto pace fino a quando le cose non fossero tornate a posto».

Il male è descritto nelle pieghe più oscure, ma anche nelle sue banali manifestazioni: genitori anaffettivi, sesso violento, l’indifferenza dei tanti amanti di Clara. La crudeltà non risparmia nessuno, neanche chi la usa per edificare dorati e chimerici villaggi, e conduce lentamente alla caduta di casa Salvemini.

Ma questo splendido libro racconta anche la speranza e il desiderio di liberazione, la volontà di purezza e luce. Sarà Michele, il ribelle, il malato – come malata a causa delle sue dinamiche familiari è casa Salvemini – a voler capire cosa è realmente accaduto alla sorella. Suo il compito di riportare ordine e fare giustizia affilando pian piano gli artigli, trasformandosi da vulnerabile agnellino in temibile tigre –  Tiger tiger burning bright… recita la poesia di William Blake che Michele leggeva con la sorella da ragazzino. Le atmosfere lunari, la volontà di mostrare la verità dietro le ipocrisie, i gatti, gli allocchi, la notte, la follia, la guarigione, la grandissima, completa padronanza della scrittura: per tutti questi motivi  La ferocia è uno dei tre libri più belli che ho letto quest’anno.


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Published on December 09, 2014 02:42

December 1, 2014

‘Lacci’ di Domenico Starnone

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Titolo: Lacci

Autore: Domenico Starnone

Editore: Einaudi

Data di uscita: 10 ottobre 2014

Genere: Romanzo

Pagine: 133 pp

Prezzo:   € 17,50 euro


 


«Se tu te ne sei scordato, egregio signore, te lo ricordo io: sono tua moglie». Un incipit potentissimo ci permette di entrare e di ripercorrere, in poco più di 130 pagine, l’intera vita di una famiglia con intensità e profondità e soprattutto con uno stile degno di un narratore eccezionale. Domenico Starnone ci racconta una crisi di coppia e le sue più o meno tragiche conseguenze sui figli.

Cosa accade ai legami familiari, ai lacci a cui fa riferimento il titolo, quando la stabilità emotiva, i riti quotidiani vengono improvvisamente turbati? Che effetto hanno gli equilibri e squilibri di una coppia sui rapporti con i  figli e tra fratello e sorella? Questi i quesiti che i personaggi del romanzo si trovano ad affrontare in una storia apparentemente semplice – perché ci riguarda tutti in quanto figli o genitori – ma complessa per via dei risvolti psicologici e i drammi interiori nascosti nelle dinamiche famigliari.


All’inizio del libro Vanda e suo marito sono una coppia in crisi  e cercheranno, ognuno a modo suo, di riconciliarsi ricostruendo una famiglia felice nel modo in cui lo sono tutte le famiglie felici. Conserveranno però una ferita aperta, segreti coniugali che nell’intimo sono grandi come voragini e in alcuni momenti devastano il cuore – se solo ci si sofferma silenziosamente e in disparte nel ricordo dei tempi perduti, di ciò che non si è vissuto  – anche a chi ritiene la parola Amore roba da ‘romanzetto’ di genere, come afferma il marito di Vanda. Starnone ci accompagna nella vita di coppia e famigliare dei due protagonisti mostrandoceli trentenni, ma già in un momento di profondo dissapore coniugale – crisi matrimoniale alla quale i due figli piccoli assistono in qualità di involontari e imbarazzati testimoni – e in seguito settantenni quando, tornati da una vacanza, trovano il loro appartamento messo a soqquadro. Cosa ancor più grave, Labes, l’adorato gatto di Vanda, è sparito. Che sia opera di qualche scaltro ladro pronto a raggirarli e a chiedere un riscatto per l’amato felino? O queste sono solo paranoie di chi si sente invecchiato, vulnerabile e tormentato da qualche assurdo senso di colpa? E quanto sanno i due figli, ormai adulti  e dalla vita piuttosto incasinata, che avevano l’incarico di badare a Labes?


Lacci è un capolavoro, con un bel colpo di scena finale, che attraversa un’ intera vita ‘normale’ portando alla luce sconcertanti verità sui meccanismi che fanno funzionare l’apparente placida vita di un matrimonio borghese. Domenico Starnone è un magnifico narratore in grado di svelare con grande classe, e in modo originale, la verità dietro ogni convenzione e i solidi legami che ci tengono uniti nonostante le nostre fragilità.


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Published on December 01, 2014 07:40

November 25, 2014

‘Spillover’ di David Quammen

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Titolo: Spillover

Titolo originale:
Spillover. Animal infection and the Next Human Pandemic

Autore: David Quammen

Traduttore: Luigi Civalleri

Editore: Adelphi

Prezzo:   € 29 euro

Data di uscita: 27 giugno 2006

Genere: Saggio

Pagine: 608 pp.


Mentre scrivo il primo medico italiano infettato dal virus dell’ebola in Sierra Leone è appena arrivato all’Ospedale  Spallanzani di Roma. Esiste del personale specializzato e addestrato pronto a prendersi cura del paziente. Nulla di cui preoccuparsi, dunque, non è il caso di farsi prendere dal panico e di non accettare dei bimbi a scuola, come è successo a Fiumicino poche settimane fa, solo perché rientravano da un viaggio in Africa. Il contagio, le zone a rischio sono controllate e limitate. L’unica cosa che dovremmo fare realmente è informarci, perché la lettura e la conoscenza, in questo caso, sono il miglior antidoto al panico da ebola. Spillover, meraviglioso saggio che indaga sull’origine e il futuro delle epidemie, dovrebbero distribuirlo come vaccino per creare anticorpi contro il virus dell’ignoranza e della paura che ne consegue.


Letteralmente spillover significa “tracimazione”. Nel potentissimo libro dello scrittore scientifico David Quammen il termine indica il passaggio di un patogeno  da una specie ospite a un’altra. Così avviene la zoonosi: il manifestarsi di una malattia infettiva nell’uomo per trasmissione da un virus latente in un’altra specie animale. Quammen ci spiega che l’ebola, la legionella, la peste bubbonica, la poliomelite, l’antrace, la malaria, l’AIDS sono appunto zoonosi; ne traccia l’origine dei primi focolai e ripercorre gli studi scientifici che hanno portato a debellare alcune infezioni o se non altro a controllarle. Quammen ci racconta chi sono i cacciatori di virus, tutti quei medici che negli anni hanno dedicato la loro vita a studiare questi terribili virus nel tentativo di trovare vaccini, mettendo a repentaglio la loro salute in nome del progresso scientifico.

Il risultato è un saggio scritto con grande intensità, forza e capacità narrativa tanto da appassionarci come un romanzo, perché il vero protagonista è l’uomo con il suo senso di precarietà in un mondo di cui fanno parte in modo naturale milioni di patogeni, molti dei quali a noi sconosciuti, nascosti ovunque: nell’erba, in un’ apparentemente innocua zanzara, nei pipistrelli della frutta, nell’acqua contaminata che scorre nelle tubature di molti hotel e normalissime abitazioni.

Spillover  è un saggio avvincente e affascinante, uno dei più bei libri che abbia letto quest’anno; ci ricorda semplicemente che studiare e conoscere ci può aiutare a diventare esseri umani migliori, che è inutile rimanere in balìa sei sentimenti come la paura, perché esiste un solo modo per contrastarla ed è conoscere ciò che ci minaccia, sapere quali precauzioni prendere, nei limiti del possibile; solo così saremo in grado di combattere le prossime pandemie, perché come ci avverte David Quammen: «Siamo davvero una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia».


Spillover fa luce su un aspetto fondamentale: l’abuso di risorse naturali, lo sfruttamento e l’intervento massiccio dell’uomo sulla natura fino a modificarne i ritmi – a sconvolgerne l’intero sistema – è solo un atto violento, arrogante e controproducente: «Come fanno questi patogeni a compiere il  salto dagli animali agli uomini e perché sembra che ciò avvenga con maggiore frequenza negli ultimi tempi?… Da un lato la devastazione ambientale causata dalla pressione della nostra specie sta creando nuove occasioni di contatto con i patogeni, e dall’altro la nostra tecnologia e i nostri modelli sociali contribuiscono a diffonderli in modo ancora più rapido e generalizzato».

L’uomo dunque è il primo colpevole, il vero responsabile morale di ogni attuale e prossima epidemia. Cosa dobbiamo aspettarci da l futuro, come prepararci?

Spillover è un viaggio avventuroso, spietato e avvincente nel cuore di tenebra del nostro futuro.


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Published on November 25, 2014 07:59

November 17, 2014

Racconti di cinema: Tradurre Dalia Nera & Rosa Bianca di Joyce Carol Oates

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Titolo: Racconti di cinema

A cura di: E. Morreale, M. Pierini

Autori: AA.VV. (tra cui J.C. Oates, D. Starnone, M. Soldati, D. DeLillo, R. Bolaño, I. Némirovsky)

Traduttori: vari (V.Valentinuzzi, F. Aceto, C. Durastanti)

Editore: Einaudi

Data di uscita: 18 novembre 2014

Genere: Antologia di racconti

pagine: 407

prezzo: 22 €


Dalia Nera & Rosa Bianca è un meraviglioso racconto di Joyce Carol Oates, – all’interno della raccolta Racconti di cinema, curata da Emiliano Morreale e Mariapaola Pierini – che ho avuto la fortuna di tradurre per Einaudi. Per me è stato un vero onore perché si tratta di una magnifica autrice. Ma è stata anche una sfida: la scrittura della Oates è fatta di periodi lunghi, frammentati al loro interno da numerosi incisi. Inoltre, le voci narranti del racconto sono ben tre, con tre personalità distinte, che raccontano la versione dell’omicidio dell’aspirante attrice Elizabeth – “Betty” – Short,  nota come la Dalia Nera. La Oates è dunque partita da un fatto di cronaca, immaginando cosa possa essere accaduto ad una ragazza di vent’anni ritrovata a pezzi in un campo desolato, una mattina di gennaio del 1947 .

Chi di voi ha letto il libro di James Ellroy sa di cosa sto parlando: la polizia di Los Angeles lavorò duramente per risolvere il caso, ma il colpevole del macabro assassinio non fu mai scoperto. Le pagine dei giornali si riempirono di foto, pettegolezzi/ipotesi sull’omicidio per lungo tempo, dato che il caso mostrava il lato glam & oscuro di Los Angeles – la vita della ragazze che inseguivano il dorato mondo hollywoodiano poteva essere falcidiata crudelmente in una sola sera.

La prima voce narrante è di K. Keinhardt, cinico fotografo creato dalla Oates sul modello di tre  famosi colleghi realmente esistiti che lanciarono sul mercato i calendari, inventando le pin-up. La seconda è quella di Norma Jeane Baker, ovvero la meravigliosa Marilyn Monroe prima di diventare Diva. La Oates si lascia dunque affascinare da una leggenda metropolitana sulla Dalia Nera e ipotizza che le due ragazze – mentre si davano da fare per partecipare a casting e mantenersi – fossero compagne di stanza in una lussuosa villa di un noto produttore. La terza voce è proprio quella della Dalia Nera che, da un immaginario oltretomba, ci racconta cosa le accadde, svelando persino l’identità dell’assassino.


oatesTrovare il tono giusto per ogni personaggio in una storia noir narrata in stile postmoderno è stata dunque la prima sfida: Norma Jeane e Elizabeth sono due ragazze di umili origini che hanno lasciato presto gli studi; la prima è tenera, ingenua & infantile, ma anche seria e disciplinata (non salterebbe mai le sue lezioni di recitaizione e danza); la seconda è mondanissima e più smaliziata all’apparenza, ma con delle ferite interiori che la rendono fragile come la sua ‘amica’ (c’è un po’ di invidia/risentimento tra le due, come vedrete). La Dalia Nera è anche un bel po’ arrabbiata perché, per colpa di un folle, non ha avuto neanche l’occasione di vedersi sul Grande Schermo.

Ho deciso  di mantenere il più possibile questi tratti distintivi nella scelta delle frasi, rispettando anche la punteggiatura originale (pochissime virgole o punti, come se i personaggi si stessero sfogando, parlando tutto d’un fiato, usando frasi spezzate, sconvolti dall’orrendo crimine perpetrato sull’innocente Betty).

Il fotografo, invece, ha una sfumatura di voce narrante tipicamente noir e rappresenta perfettamente il cinico artista frustrato di Hollywood, a cui importano solo soldi & successo. Nel suo caso ho tradotto termini come Fifty bucks con  ‘cinquanta verdoni’ mantenendo un tono un po’ rétro, perchè lui è un tipo che parla così:«Ragazze giovani a corto di denaro per vivere e uomini più grandi con i soldi – a L.A. – bella combinazione, eh? È stato così e sempre lo sarà – è la natura umana & la base della Civiltà».


Mi sono talmente appassionata alla storia della Dalia Nera che sono andata a leggere ogni cosa che ho trovato in rete, anche dei documenti dell’FBI. E grazie a questo racconto, ho scoperto moltissimo anche su Marylin, passando serate intere a leggere interviste finché non mi è sembrato di conoscerle, queste due ragazze. Alla fine della traduzione, mi è capitato addirittura di sognare Betty Short. So cosa state pensando: è davvero utile questo esercizio di documentazione? Vi rispondo citando la grandissima traduttrice Susanna Basso: a volte è giusto concedersi il lusso di esplorare i personaggi perché «ci si cala nei buchi profondi della scrittura». La traduzione non è una scienza, non è una corrispondenza tra parola e parola;  a volte il tono, lo stile, la voce narrante si trovano perdendosi nella storia.

Un altro scoglio grande è stato l’uso dei verbi: in inglese si risolve tutto con il passato remoto, in italiano a volte abbiamo bisogno del passato prossimo. Dopo le prime stesure mi sono accorta che avevo usato il passato prossimo in troppi casi, e ho riportato di nuovo tutto al passato remoto, tranne in un paio di eccezioni. (Grazie alla bravissima, preziosa Federica Aceto che con un bel post sul suo blog mi ha aiutato a riflettere sull’argomento).


Infine, un’altra cosa geniale della Oates è stata tratteggiare una Los Angeles oscura, spaventosa. Dal racconto di Betty scaturisce un senso di minaccia strisciante in tanti piccoli dettagli, parole che contribuiscono a creare un’atmosfera di pericolo e disagio. Un termine sul quale mi sono soffermata a questo proposito è «glittery glasses» usato per descrivere gli occhiali di un misterioso uomo che un giorno avvicina la Dalia Nera offrendole un passaggio in auto. Inizialmente ho pensato di tradurre con qualcosa tipo occhiali scintillanti/luccicanti Ma in revisione ho optato per un più creativo riverberanti.

Immaginate la Dalia Nera. Sta uscendo dallo studio fotografico, indossa un vestito attillato e tacchi alti. Su di lei il sole bianco, accecante di Los Angeles talmente intenso che le fa lacrimare gli occhi. Un uomo dall’aspetto elegante, la macchina pulitissima, le scarpe perfettamente lucidate, il colletto inamidato, le offre un passaggio: «& quando lo vidi, gli occhiali riverberanti come quelli di un politico o di una personalità pubblica, il sorriso teso ma educato, mi balenò un pensiero Questo qui è benestante & affidabile – & forse mi venne in mente Questo qui è benestante & può essere gestito, da Betty Short».

Ma quanto si deve sentire il traduttore nella frase, fino a che punto si può/deve essere creativi? A dirvi la verità temevo che la matita rossa dei fantastici revisori Einaudi (che ringrazio vivamente) si abbattesse sul mio povero aggettivo, ma per fortuna è piaciuto e ci ha evitato di ripetere troppe volte termini come ‘splendente’ o ‘luccicante’ che riccorono nel testo. Insomma, non c’è una formula, ogni volta bisogna cercare il giusto compromesso tra l’originale e l’idioma di arrivo.


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Published on November 17, 2014 02:34

November 10, 2014

‘A pesca nelle pozze pi�� profonde’ di Paolo Cognetti

 


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Titolo: A pesca nelle pozze pi�� profonde

Autore: Paolo Cognetti

Casa editrice: Minimum Fax

Genere: saggio

Pagine: 130

Data di uscita: 23 ottobre 2014

Prezzo 13�����


Luogo/data: Roma, luned�� 10 Novembre, ore 9.30. Sala d’aspetto della Dott.ssa D’A***, medico chirurgo specialista in odontostomatologia.


Se siete curiosi di sfogliare il taccuino privato di uno scrittore e rubare qualche segreto, troverete preziosissimi consigli e grandissima soddisfazione nel leggere��A pesca nelle pozze pi�� profonde;��imperdibile ultimo libro di��Paolo Cognetti,��composto da una serie di riflessioni sull’arte del racconto, sui Grandi Scrittori Americani, ma anche da personali aneddotti sulla sua vita di autore in cerca di costruire storie. Comprendiamo, attraverso le sue annotazioni, che la scrittura �� un viaggio solitario, senza un tempo definito. Cercare storie e personaggi �� un po’ come immergersi in acque profonde, scure e insidiose, tentando continuamente di orientarsi �����ci sono voluti cinque anni, ad esempio, per completare Sofia si veste sempre di nero, la precedente raccolta di racconti dell’autore �����anche grazie all’eredit�� lasciata dai grandi narratori esaminati in queste splendide pagine.

Paolo Cognetti ci accompagna cos�� in un’affascinante, emozionante esplorazione nel cuore di alcuni capolavori di Salinger, Carver, Hemingway, Fitzgerald, Hawthorne, David Foster Wallace��, D’Ambrosio, Andre Dubus, Melville, Cheever, Flannery O’Connor, Alice Munro e Grace Paley, facendocene innamorare di nuovo attraverso la sua intrigante chiave di lettura. L’autore sceglie la metafora della pesca a mosca per ribadire che la scrittura non �� altro che il tentativo di cercare storie dentro le acque pi�� profonde, dove abita il mistero, dove si nascondono personaggi e racconti che, se abbiamo un po’ di fortuna, riusciremo a intraverdere e catturare. Scrivere un racconto significa porsi delle domande, innamorarsi di un personaggio, fotografarlo con le sue ombre e luci, conoscerlo lentamente, scavare nel suo passato. E, soprattutto, significa imparare ad ascoltare ma anche a coltivare un sentimento che ci nobilita non solo come scrittori, ma come esseri umani: la compassione. E per Paolo Cognetti l’autore pi�� icastico in questo senso �� Raymond Carver. A proposito del racconto��Una cosa piccola ma buona �����in cui un pasticcere offre conforto a una coppia che ha perso il figlio accogliendola, ascoltandola e offrendo i suoi dolci ��� , Cognetti scrive un meraviglioso passaggio, che vi invito caldamente a leggere, di cui riporto solo un breve frammento:����Se la disperazione �� nel silenzio… la compassione �� nell’ascolto… Un personaggio si ama ascoltandolo e offrendogli il poco che sappiamo fare: se non una torta, un racconto scritto onestamente pu�� andar bene��.


Affrontare la pagina bianca obbliga a fare i con se stessi, con la propria memoria, e con la coscienza, che spesso �� uno specchio severo: in certi giorni riflette solo incertezze, e se ti parla �� solo per ripeterti che la storia che hai in mente l’ha gi�� scritta qualcun altro, e probabilmente molto meglio di te. Con simili cupi pensieri, lato oscuro di questo mestiere, scrivere in certe giornate �� quasi impossibile. Per fortuna a volte capita che uno scrittore decida di scrivere un interessantissimo libro��(la mia copia �� quasi interamente sottolineata!) con delle splendide meditazioni sugli autori a cui vuole bene, includendo una serie di preziose domande da porsi quando si scrive e un invito a tenere a bada i dubbi, recuperando la capacit�� di meravigliarsi: ��Per cominciare a mettere una parola dopo l’altra, seguirle e vedere dove ti portano, devi essere capace di fartene meravigliare: e raccontare una storia come se fossi il primo in questo mondo a farlo��.

A pesca nelle pozze pi�� profonde����� bellissimo saggio corredato da quattro appassionanti racconti in cui l’autore riprende Sofia, la protagonista��della sua ultima raccolta����� �� uno di quei libri che ti conquista il cuore, che hai voglia rileggere e tenere sempre sul comodino (accanto a��On writing di Stephen King). A me ha dato coraggio per scrivere, persino qui, nella sala d’aspetto della Dott.rssa D’A***, medico chirurgo specialista in Odontostomatologia.

Tocca a me ora. Ciao.


Nota 1: Cognetti parla di una cosa che si chiama�� E’ tutto verde, ma anche di Per sempre lass��, racconti splendidi contenuti rispettivamente in La ragazza dai capelli strani�� e Brevi interviste con uomini schifosi.
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Published on November 10, 2014 04:09

‘A pesca nelle pozze più profonde’ di Paolo Cognetti

 


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Titolo: A pesca nelle pozze più profonde

Autore: Paolo Cognetti

Casa editrice: Minimum Fax

Genere: saggio

Pagine: 130

Data di uscita: 23 ottobre 2014

Prezzo 13 €


Luogo/data: Roma, lunedì 10 Novembre, ore 9.30. Sala d’aspetto della Dott.ssa D’A***, medico chirurgo specialista in odontostomatologia.


Il/La paziente segnala: gengiva infiammata, un anticipo di mezz’ora sull’appuntamento (evidente sintomo di ansia odontoiatrica).


Se siete curiosi di sfogliare il taccuino privato di uno scrittore e rubare qualche segreto, troverete soddisfazione nel leggere A pesca nelle pozze più profonde: interessanti meditazioni di Paolo Cognetti che ha consegnato, a chi ama la scrittura e lettura, una serie di riflessioni sull’arte del racconto e sui Grandi Scrittori Americani che tutti abbiamo tentato di imitare – dài, chi è che non custodisce segretamente delle storie à la Hemingway dentro qualche file con nomi tipo “I 19 racconti molto brevi sul lago Michigan”? (Che poi imitare è una forma ottima di esercizio mentre si cerca la propria voce).

Paolo Cognetti ci accompagna in una piacevole, rapida esplorazione nel cuore di alcuni capolavori di Salinger, Carver, Hemingway, Fitzgerald, Hawthorne, David Foster Wallace¹, D’Ambrosio, Andre Dubus, Melville, Cheever, Flannery O’Connor , Alice Munro e Grace Paley. L’autore sceglie la metafora della pesca a mosca per ribadire che la scrittura non è altro che il tentativo di cercare storie dentro le acque più profonde, dove abita il mistero, dove si nascondono personaggi e racconti che, se abbiamo un po’ di fortuna, riusciremo a intraverdere e catturare. Scrivere un racconto significa porsi delle domande, fotografare i personaggi con le loro ombre e luci, imoarare a conoscerli, scavare nel loro passato. E soprattutto significa imparare ad ascoltare e a coltivare un sentimento che ci nobilita non solo come scrittori, ma come esseri umani: la compassione. E per Cognetti l’autore più icastico in questo senso è Carver. A proposito del racconto Una cosa piccola ma buona – in cui un pasticcere offre conforto a una coppia che ha perso il figlio accogliendoli, ascoltandoli e offrendogli i suoi dolci – , Cognetti scrive: «Se la disperazione è nel silenzio… la compassione è nell’ascolto… Un personaggio si ama ascoltandolo e offrendogli il poco che sappiamo fare: se non una torta, un racconto scritto onestamente può andar bene».


Affrontare la pagina bianca obbliga a fare i con se stessi, con la propria memoria, e con la coscienza, che spesso è uno specchio severo: in certi giorni riflette solo incertezze, e se ti parla è solo per ripeterti che la storia che hai in mente l’ha già scritta qualcun altro, e probabilmente molto meglio di te. Con simili cupi pensieri, lato oscuro di questo mestiere, scrivere in certe giornate è quasi impossibile. Per fortuna a volte qualcuno ci regala un interessante libro con delle meditazioni, delle domande utili da porsi quando si scrive e un invito a tenere a bada i dubbi recuperando la capacità di meravigliarsi: «Per cominciare a mettere una parola dopo l’altra, seguirle e vedere dove ti portano, devi essere capace di fartene meravigliare: e raccontare una storia come se fossi il primo in questo mondo a farlo».

A pesca nelle pozze più profonde – bellissimo saggio corredato da quattro meravigliosi racconti dell’autore in cui riprende Sofia, la protagonista della sua ultima raccolta – mi ha messo una gran voglia di scrivere, persino qui, nella sala d’aspetto della Dott.rssa D’A***, medico chirurgo specialista in Odontostomatologia.

Tocca a me ora. Ciao.


Nota 1: Cognetti parla di una cosa che si chiama  E’ tutto verde, ma anche di Per sempre lassù, racconti splendidi contenuti rispettivamente in La ragazza dai capelli strani  e Brevi interviste con uomini schifosi.
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Published on November 10, 2014 04:09

November 3, 2014

Guarigione di Cristiano de Majo

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Titolo: Guarigione

Autore: Cristiano de Majo

Editore: Ponte alle Grazie

Data di uscita: 23/10/2014

Pagine:241

Genere: memoir

Prezzo:16,50


La vita può far male in un milione di modi, inaspettatamente; nessuno di noi sa bene perché, crescendo capiamo che accade e basta. Però – e per fortuna c’è un però – si può guarire, o meglio  cercare la guarigione in tanti modi, ogni istante. I pessimisti staranno già scuotendo la testolina cinica, quelli che invece vedono il bicchiere mezzo pieno (tipo il protagonista del libro Guarigione di Cristiano de Majo) annuiscono pensando a una recente guarigione da qualche delusione affettiva o lavorativa. E qui veniamo al punto: guarigione da cosa esattamente? Il narratore di questa storia è proprio Cristiano de Majo; l’Autore ci spiega coraggiosamente la sua esperienza con tante guarigioni, mettendosi in gioco sia stilisticamente che umanamente, raccontandoci le perdite e gli abbandoni, la malattia e il modo in cui ha cercato di affrontare il dolore. «Dopo i primi controlli avevo iniziato a pensare che non si guarisce mai per sempre, che tutti noi viaggiamo da una guarigione all’altra, e persino che la guarigione fosse una forma di occultamento temporaneo». Ma soprattutto de Majo ci racconta in modo commovente la paternità: la scoperta di un legame profondissimo – di una forza inaspettata non più esclusiva dell’universo femminile –,  con i suoi gemelli, che rivoluziona tutta la sua vita: dai ritmi poco-sonno-tanta-veglia al grande senso di responsabilità che la paternità comporta.

Nel libro ci sono anche altre guarigioni: quella dalle ferite derivate dal divorzio dei genitori, dalle difficoltà economiche – così è per tutta la nostra generazione, per cui vivere di scrittura significa essere costretti alla Vita Agra di bianciardiana memoria. E poi il centro del testo, la speranza di guarigione di uno dei gemelli nato con una rara malattia della pelle, l’epidermolisi bollosa.

Sentirsi pronti e in dovere di proteggere la propria prole e scontrarsi invece con un senso di impotenza devastante di fronte alla malattia diventa una grande frustrazione dalla quale i genitori protagonisti cercano di guarire in modo diverso e conflittuale. Detestano, ad esempio, l’idea di separarsi dal figlio malato, ma dopo i primi giorn di vita sono costretti a lasciarlo nel nido dell’ospedale per accertamenti: «Non poteva restare lì da solo, doveva per forza essere in mezzo a noi. Ci saremmo occupati noi di lui, dicemmo, ritornando in stanza affranti e laciandolo invece solo».


Tramonto su L.A. di Cole Younger

Tramonto su L.A. Foto di Cole Younger


Rapido stacco su un altro protagonista del romanzo: Il Tempo. Il narratore lo rende una materia malleabile, la memoria ripercorre i suoi spensierati anni a Roma, le frequentazioni nel milieu di aspiranti scrittori, le notti infinite nei locali, l’inizio della relazione con la sua compagna, il ritorno a Napoli, un viaggio come guarigione emotiva in California seguendo le indicazioni della guida Lonely Planet (una parte del romanzo che ho amato particolarmente). Insomma, un tempo perduto che in modo intermittente ritorna nel libro sottolineando un cambiamento nel protagonista: la consapevolezza della responsabilità nei confronti dei figli – che diventa, quasi per naturale estensione, un dovere morale verso i più bisognosi incontrati per motivi di lavoro. Il senso di colpa, l’ombra dell’imperfezione del nostro Dna che si ripercuote sui figli, e la luce della speranza si alternano nella vita di un adulto, non più solo figlio ma padre.

Ricordi, pensiero magico, digressioni (su David Foster Wallace, Stephen King, Luciano Bianciardi)  si intrecciano grazie a una voce narrativa ineccepibile, che dimostra grande controllo, misura nell’armonizzare cose diverse come il reportage, il saggio e il memoir. Ogni passaggio è perfettamente fluido, anche se lo stile cambia: è ricco e dettagliato nelle parti saggistiche e si fa, per evidente scelta, più asciutto quando de Majo affronta il dolore, le speranze di guarigione del figlio, descrivendo un atlante di emozioni molto toccante.

Guarigione lo definirei un libro postfiction, tanto per ribadire che la letteratura, soprattutto quella americana, sta abbattendo vecchi confini, dirigendosi verso forme ibride (cahier de voyages, flusso di coscienza, nonfiction che l’Autore fonde in modo naturale con l’autobiografia) estremamente interessanti, mi riferisco in particolare a 10:04 di Ben Lerner di cui vi ho parlato qui.

Cristiano de Majo è riuscito a scrivere di sé senza cedere al narcisismo né tentare di nascondere la parte meschina che tutti coviamo nel nostro animo. Il libro si regge sulla forza della scrittura con cui l’autore riesce a parlare di cose delicate/private, impresa che spaventerebbe molti autori. Ma la maturità di uno scrittore si misura anche dalla capacità di mettere la propria vita a servizio della letteratura come in questo potentissimo memoir.


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Published on November 03, 2014 00:54

October 20, 2014

Democracy di Joan Didion

democracy


Titolo: Democracy

Titolo originale: Democracy

Autore: Joan Didion

Traduttore: Rossella Bernascone

Editore: Edizioni E/O

Data di uscita: 17 settembre 2014

Genere: Romanzo

pagine: 166

prezzo: 14, 50 €


Perché mi sono innamorata di Joan Didion? Sentite qui: «La luce dell’alba durante i test nel Pacifico era qualcosa da vedere… Il cielo era di un rosa che nessun pittore avrebbe potuto riprodurre». Così si apre il quarto libro della scrittrice americana, pubblicato per la prima volta nel 1984 in America. Voglio essere sincera con le persone che stanno leggendo questo post: dopo un approccio difficile con J. D., ora non posso più fare a meno di lei. L’immagine di un cielo rosa in un mondo impazzito e crudele, è una cosa che mi commuove e che probabilmente si apprezza soprattuto quando si rilegge.

Siete avvertiti: la sensazione che vi lascerà Democracy non sarà per nulla confortante. La Didion, come tutti i Grandi Autori, parla di cose brutte & scomode, che ci fanno paura e non vorremmo accadessero mai.

Però accadono. E allora, per non impazzire, bisogna tentare di capire.

Cosa c’entra tutto questo con la democrazia evocata dal titolo? Proviamo a cercare una spiegazione.


joan-didions-quotes-7 A raccontarci la storia è la Didion stessa in un sublime gioco letterario postmoderno di metafiction in cui la scrittrice non diventa un vero e proprio personaggio, ma è la narratrice. «Chiamatemi l’autore», afferma con echi alla letteratura classica americana (allusione al «Chiamatemi Ismaele», incipit di Moby Dick). La Didion si dichiara amica della protagonista, la super glam Inez Victor – moglie del senatore democratico Harry Victor – che intrattiene una relazione con un agente della CIA, Jack Lovett. Joan Didion dunque ci racconta di aver cominciato a ripensare a Inez e Jack nel 1975 mentre insegnava a Berkley, ma di non sapere che tipo di romanzo desideri scrivere. Ciò che leggeremo è la storia della vita sia privata sia pubblica di Inez, che come moglie di un aspirante candidato alla Presidenza degli Stati Uniti deve dedicarsi a vita mondana e raccolte fondi continue; però la donna avverte il grave peso del suo ruolo: «il prezzo più alto della vita pubblica? La memoria». Insoddisfatta della sua situazione, Inez è divisa tra suo marito – uomo cinico, infedele, freddo e ambizioso – e Jack: sensibile, avventuruoso, complesso e imprevedibile.

Ambientato tra Honolulu e il Sud-est asiatico Democracy copre un arco di tempo che va dagli anni ‘50 ai ’70, seguendo lo stile frammentato e non lineare di cui vi ho parlato in Diglielo da parte mia. Ci racconta un’America folle sullo sfondo della guerra in Vietnam, in cui le tragedie personali di Inez si intrecciano con la grande storia.  Il folle padre di Inez uccide sua sorella e un deputato democratico, Wendell Omura; Jessie, la figlia, scappa a Saigon costringendo Inez a prendere una decisione drastica riguardo al suo matrimonio e alla storia con Jack e  a riesaminare la propria coscienza.


Torniamo alla democrazia: per la Didion è una parola vacua dietro alla quale sidemen nascondono corruzione e nefandezze di ogni tipo nel mondo politico. È diventato un concetto astratto sfruttato solo per ottenere il consenso pubblico, i politici che inneggiano alla democrazia adottano uno stile di vita falso in cui il reale interesse per il bene dell’umanità è assente.

Forse la soluzione (utopica? Spero di no!) è nella scelta individuale: nel credere come Inez in una coscienza globale in cui tutti cerchiamo di applicare un pensiero democratico e ci adoperiamo per aiutare chi sta peggio di noi.


Il libro ha una struttura enigmatica, complessa. Insomma per leggere la Didion bisogna impegnarsi, tenere botta e collegare bene le sinapsi, entrare nel suo modo ‘scomposto’ di vedere le cose, ma in cambio vedrete sempre meravigliosi, infiniti cieli rosa sopra questo mondo fatto di virus letali e teste tagliate che a confronto (la favolosa serie) Walking Dead è una favoletta. O forse viviamo già in una puntata di Walking Dead?


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Published on October 20, 2014 07:08

October 16, 2014

Diglielo da parte mia di Joan Didion

downloadTitolo: Diglielo da parte mia

Titolo originale: A Book of Common Prayer

Autore: Joan Didion

Traduttore: Adriana Dell’Orto

Editore: Edizioni e/o

Data di uscita: 23 ottobre 2013

Genere: Romanzo

pagine: 267

prezzo: 15 €


Terzo libro della Didion, pubblicato per la prima volta nel 1977, Diglielo da parte mia (nella traduzione di Adriana Dell’Orto) è la storia di Charlotte Douglas, affascinante quarantenne sposata ad un avvocato di successo di San Francisco, Leonard Douglas, invischiato nel traffico internazionale di armi. Charlotte ha una figlia, Marin – nata da una precedente relazione – , che prende parte ad un attentato insieme ad un gruppo terrorista. I federali la identificano, ma la ragazza fugge. La madre parte alla ricerca disperata di Marin e finisce a Boca Grande, sperduta città dell’America Centrale. Ma, oltre al dolore per il destino della figlia, Charlotte deve affrontare il matrimonio in crisi con Leonard, e il rapporto irrisolto con il primo marito, Warren.

Tragedia personale e corruzione sociale sono al centro del romanzo la cui narratrice è Grace Strasser-Mendana, l’altra norteamericana di Boca Grande, un’antropologa sessantenne originaria di Denver che ha sposato il figlio della famiglia politicamente più influente della zona. La cosa interessante e destabilizzante è che Grace è una narratrice inaffidabile –  come Nick Carraway in Il grande Gatsby – , ammette di non essere una testimone fedele della storia di Charlotte, dando vita ad un romanzo sulla memoria intermittente. E nel tentativo di Grace di ricomporre dei ricordi non si può non sentire l’eco di Proust – altro indizio: la Didion chiama Jockey Club un locale di Boca Grande, proprio come l’elegante circolo di cui è membro Swann nella Recherche.


didion 2La Didion ha dichiarato in un’intervista di essersi voluta concentrare su cosa accade a dei ragazzi ai quali i genitori non hanno insegnato le regole sociali. E la figlia diciottenne di Charlotte è l’emblema di una generazione  che improvvisamente avverte il bisogno di rivoluzione, ma sa solo opporsi in modo violento al sistema con rabbia e crudeltà verso l’ambiente borghese in cui ha vissuto. Charlotte, cresciuta in un ambiente rassicurante della media borghesia, è una donna ingenua che non ha mai avuto un vero dialogo con la figlia e non riesce inzialmente a capire come Marin possa essere diventata una terrorista ricercata dall’FBI (vent’anni dopo ritroveremo lo stesso dramma in Pastorale Americana di Philip Roth). La Didion da sempre attratta dalla stupidità e dalla crudeltà, ha voluto raccontare, come ha scritto Martin Amis, la Geat Californian Emptiness – una società ricca di contrasti dove convivono le star di Hollywood e i serial killer, il lusso di Beverly Hills e i quartieri poveri e violenti come Inglewood. Uno Stato ambiguo in cui già a fine anni ‘70 il numero dei divorzi è il doppio della media nazionale, dove dilagano ferocia, ignoranza, omicidi senza motivo, genitori che danno peyote e LSD ai figli.


L’atteggiamento di Charlotte verso la politica rappresenta il lato naïf della California, la protagonista ha sempre creduto che i mali della società si sarebbero aggiustati miracolosamente in qualche modo da soli, e che alla fine vincono i buoni. Invece, Charlotte finisce a Boca Grande, località senza storia, capitale di un governo instabile.


Joan Didion in una foto di Julian Wasser del 1972

Joan Didion in una foto di Julian Wasser del 1972


Il mondo è arido in questo ambizioso romanzo della Didion; ironia e scetticismo dominano la prosa in un racconto aspro sulla fine delle illusioni. Non c’è spazio per la felicità: Charlotte ama disperatamente sua figlia ma non è ricambiata, Grace sta morendo di cancro, l’amore sia con Leonard che con Warren è impossibile. La morte incombe sulla storia fin dalla prima pagina. E anche la tragedia più grande viene raccontata senza indugiare nel sentimentalismo. Nulla è esplicito, lo stile della Didion gioca sul non detto, sulla narrazione asciutta che segue una struttura non lineare. Il mondo è violento, impazzito, e la prosa che ce lo racconta è frammentata, piena di ripetizioni, i dialoghi surreali. Disillusione e follia perseguitano Charlotte, innocenza e male si scontrano e nessuna preghiera, né speranza riescono a salvarla o a ricostruire la sua vita; il titolo del libro si riferisce all’unica sorta di privata preghiera ripetuta  dalla protagonista: «Dì a Marin che si sbagliava. Diglielo da parte mia».

A breve uscirà una versione cinematografica diretta da Campbell Scott con Christina Hendricks (la bravissima, bellissima protagonista di Madmen) nel ruolo di Charlotte Douglas.


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Published on October 16, 2014 01:37

October 6, 2014

Io sono Jonathan Scrivener di Claude Houghton

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Titolo: Io sono Jonathan Scrivener

Titolo originale: I am Jonathan Scrivener

Autore: Claude Houghton

Traduttore: A. Ricci

Editore: Castelvecchi

Data di uscita:  24 settembre 2014

Genere: Romanzo

pagine: 277

prezzo: 18 €


Confesso: come molti di voi ho un debole per i libri dimenticati. Non per atteggiamento snobistico nei confronti dei best seller, ma perché sono quasi sempre ingiustamente dimenticati dal Mercato, e invece riservano grandi sorprese. E poi, quanto è appagante la sensazione di scoprire un vecchio libro. Sembra quasi di averlo tirato fuori dalla soffitta letteraria, soffiando via polvere e ragnatele! In questo caso, il repêchage è merito in primis di Castelvecchi che ha ripubblicato Io sono Jonathan Scrivener di Claude Houghton (traduzione di Allegra Ricci), romanzo accolto subito favorevolemente da Gian Paolo Serino che ne ha scritto qui.

Ma chi è Jonathan Scrivener? Be’, spiegarlo è un problema persino per il trentanovenne londinese protagonista del libro: James Wrexham. E’ un tipo solitario, figuratevi che ha un noiosissimo lavoro e nel tempo libero ha scelto di starsene per i fatti suoi; peraltro non ha praticamente amici ed è anche orfano. Un giorno, leggendo il Times, nota un annuncio di lavoro come segretario. Risponde immediatamente candidandosi alla posizione ed ecco che accade una cosa incredibile – nel nostro paese oggi & anche nell’Inghilterra degli anni ‘30 in cui è ambientato il romanzo – , ovvero James viene assunto senza nessun colloquio, perfino senza incontrare il suo datore di lavoro. Viene informato che Jonathan Scrivener, il suo capo, è dovuto partire all’improvviso e che James avrà accesso illimitato alla sua casa in Pall Mall con ottima cuoca, al suo palchetto a teatro, a uno stipendio favoloso; riceverà gli amici di Scrivener, potrà usufruire del sarto, e il suo lavoro consisterà nel curare la corrispondenza e catalogare la biblioteca. Strano, vero? E’ quello che pensa anche Wrexham.

Il romanzo comincia a seguire un sentiero psicologico inquietante, a far sorgere domande metafisiche sull’identità. Jonathan Scrivener è un uomo misterioso e Wrexham capirà pian piano, frequentando i suoi molti e bizzarri amici, che probabilmente ha una personalità ambigua: alcuni lo dipingono come un misogino, altri come un mancato attore, taluni come un uomo con un talento artistico mai sfruttato sino in fondo, qualcuno come un cinico. Insomma, James si incuriosisce e vuole assolutamente sapere quale sia la vera natura di Scrivener. Inizia a indagare trascurando un po’ il suo lavoro e apre agli amici del padrone di casa l’unico posto proibito della residenza: la biblioteca, che diventa il simbolo dei segreti dell’uomo, ma anche una sorta di salotto in cui tutti avanzano ipotesi sull’identità di Scrivener. E la cosa intrigante del libro è che sembra quasi che Scrivener osservi in segreto i suoi ospiti e Wrexham in particolare, come se fossero parte di un suo inspiegabile gioco, di un esperimento psicologico. 


Una figura ambigua quella di Scrivener, di cui tutti parlano ma che è multiforme, inetichettabile, diverso agli occhi di tutti: leggendario e oscuro, sembra ricordare il misterioso Kurtz in Cuore di Tenebra. Qual è la vera natura di Scrivener? E’ la domanda che muove J T 2la vita di Wrexham, spingendolo ad agire, a frequentare la vita. Proprio lui che ha sempre vissuto da spettatore, ora si imbarca in una ricerca in compagnia di un’altra presenza enigmatica: Francesca Bellamy, affascinante vedova miliardaria e molto glam il cui marito è morto suicida in misteriose circostanze.

L’assenza di Scrivener in realtà riempie il romanzo, lo rende continuamente presente nei discorsi di chi lo conosce; pur non comparendo mai Scrivener diventa il deus ex machina della storia, un manipolatore incorporeo che induce il protagonista a cambiare stile di vita, a pensare diversamente. Dove porterà l’indagine di Wrexham, come reagirà la sua mente? Forse lui e i suoi amici hanno esasperato l’immagine di Scrivener?


Claude Houghton ha anticipato il thriller psicologico, scavando nella solitudine e nelle nevrosi dell’uomo moderno in un mistery intricato, metafisico e paranoico che ricorda, come ha scritto il critico americano Michael DirdaCittà di vetro di Paul Auster – in particolare per il rapporto tra realtà/identità e per l’atmosfera sospesa, in cui tutto potrebbe accadere.

Io sono Jonathan Scrivener, quarto libro dello scrittore inglese considerato il suo miglior lavoro, fu un best seller. Ricevette il consenso di autori come Hugh Walpole, P.G. Wodehouse, e più tardi di Graham Green e Henry Miller di cui potete leggere la prefazione in questa edizione. Humour e indagine piscologica, dubbi continui, epifanie del protagonista si intrecciano dando vita ad un romanzo filosofico dall’intrigante côté ombroso.


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Published on October 06, 2014 04:46