Novecento. Un monologo Quotes
Novecento. Un monologo
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Alessandro Baricco47,218 ratings, 4.18 average rating, 3,474 reviews
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Novecento. Un monologo Quotes
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“A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri. Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono. Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran. Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran. Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più? C'ha un'anima, anche lui, poveretto? Prende delle decisioni? Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. O lo sapevano già dall'inizio, i due, era già tutto combinato, guarda io mollo tutto tra sette anni, per me va bene, okay allora intesi per il 13 maggio, okay, verso le sei, facciamo sei meno un quarto, d'accordo, allora buonanotte, 'notte. Sette anni dopo, 13 maggio, sei meno un quarto, fran.
Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.”
― Novecento. Un monologo
Non si capisce. È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto. Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: "A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave". Ci rimasi secco. Fran.”
― Novecento. Un monologo
“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… /
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel che non vidi /
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”
― Novecento. Un monologo
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? /
E il rumore /
Su quella maledettissima scaletta… era molto bello, tutto… e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema /
Col mio cappello blu /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino /
Primo gradino, secondo /
Non è quel che vidi che mi fermò /
È quel che non vidi /
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne /
C’era tutto /
Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo /
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu /
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me /
Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi /
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita /
Se quella tastiera è infinita, allora /
Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio /
Cristo, ma le vedevi le strade? /
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una /
A scegliere una donna /
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire /
Tutto quel mondo /
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce /
E quanto ce n’è /
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… /
Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita.
Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare.”
― Novecento. Un monologo
“Potevi pensare che era matto. Ma non era così semplice. Quando uno ti racconta con assoluta esattezza che odore c’è in Bertham Street, d’estate, quando ha appena smesso di piovere, non puoi pensare che è matto per la sola stupida ragione che in Bertham Street, lui, non c’è mai stato. Negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui, quell’aria, l’aveva respirata davvero. A modo suo: ma davvero. Il mondo, magari, non l’aveva visto mai. Ma erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima.
In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli suon buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava… Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa, immensa, la mappa del mondo, del mondo intero, da un capo all’altro, città enormi e angoli di bar, lunghi fiumi, pozzanghere, aerei, leoni, una mappa meravigliosa.”
― Novecento. Un monologo
In questo era un genio, niente da dire. Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli suon buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia… Tutta scritta, addosso. Lui leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava… Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa, immensa, la mappa del mondo, del mondo intero, da un capo all’altro, città enormi e angoli di bar, lunghi fiumi, pozzanghere, aerei, leoni, una mappa meravigliosa.”
― Novecento. Un monologo
“You're never really done for, as long as you've got a good story and someone to tell it to.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Quando cade un quadro. Quando ti svegli un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Lui diceva: “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla”.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno. E non bisogna pensare che succeda per caso, no... e nemmeno per una questione di diottrie, è il destino, quello. Quella è gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita. E quando erano bambini, tu potevi guardarli negli occhi , e se guardavi bene, già la vedevi, l'America, già li pronta a scattare, a scivolare giù per nervi e sangue e che ne so io, fino al cervello e da lì alla lingua, fin dentro quel grido (gridando), AMERICA, c'era già, in quegli occhi, di bambino, tutta, l'America.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Uvijek me fascinirao taj fenomen sa slikama. Stoje na zidu godinama, a onda, bez ikakvog povoda, ama baš ikakvog padnu, tras, padnu dole. Vise okačene o ekser, niko ih i ne pipne, ali one u jednom trenutku, tras, padnu dole, kao kamen. U savršenoj tišini, dok je sve oko njih nepomično, ni muha da proleti, a one, tras. Ne postoji nikakav razlog.Zašto baš u tom momentu? Niko ne zna. Tras. Šta se to dogodilo jednom ekseru te on zaključi da mu je svega dosta? Ima li i on dušu, jadnik? Donosi li odluke? Dugo je razgovarao sa slikom, nisu mogli da se dogovore šta da rade, pričali su o tome svake večeri, godinama, a onda su odredili datum, sat, minutu, tren, upravo sada, tras. Ili su za to znali već od samog početka, njih dvoje, sve je već bilo ugovoreno, znaš ja ću da popustim za sedam godina, što se mene tiče nema problema, ok., onda smo se dogovorili za 13. maj, ok., oko šest, neka bude petnaest do šest, važi, onda laku noć, ‘ku noć. Sedam godina kasnije, 13. maj, petnaest do šest: tras. Nikom nije jasno. To je jedna od onih stvari o kojima je bolje ne misliti, u protivnom možeš da poludiš. Kada padne slika. Kada se probudiš, jednog jutra, i više je ne voliš. Kad otvoriš novine i vidiš da je počeo rat. Kad vidiš neki voz i pomisliš ja moram da odem odavde. Kad se pogledaš u ogledalo i shvatiš da si ostario...”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Suonavamo perché l'Oceano è grande, e fa paura, suonavamo perché la gente non sentisse passare il tempo, e si dimenticasse dov'era, e chi era. Suonavamo per farli ballare, perché se balli non puoi morire, e ti senti Dio. E suonavamo il ragtime, perché è la musica su cui Dio balla, quando nessuno lo vede.
Su cui Dio ballava, se solo era negro.”
― Novecento. Un monologo
Su cui Dio ballava, se solo era negro.”
― Novecento. Un monologo
“Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio.
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c’entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.
Allora li ho incantati.”
― Novecento. Un monologo
Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. Siamo astuti come animali affamati. Non c’entra la pazzia. È genio, quello. È geometria. Perfezione. I desideri stavano strappandomi l’anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito.
Allora li ho incantati.”
― Novecento. Un monologo
“La tierra es un barco demasiado grande para mí. Es un viaje demasiado largo. Es una mujer demasiado hermosa. Es un perfume demasiado intenso. Es una música que no sé tocar. Perdonadme. Pero no voy a bajar. Dejadme volver atrás.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“I often thought about him during the war; if only 1900 were here, who knows what he'd do, what he'd say. 'Fuck war' he'd say. But somehow, coming from me, it wasn't the same.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“مثل تلك الأمور التي يُفضّل ألّا تفكّر بها و إلّا جُننت. حين تسقط لوحة ما، حين تستيقظ ذات صباح وتكتشف بأنك لم تعد تحب شريكتك، حين تفتح جريدة وتقرأ اندلاع الحرب، حين ترى قطارًا وتفكّر في الرحيل، حين تنظر إلى نفسك في المرآة وتدرك أنك تشيخ”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“كنا نعزف؛ لأن المحيط شاسع، ومخيف. كنا نعزف؛ كي لا يشعر الناس بمرور الوقت، وكي ينسوا أين كانوا، ومن يكونون. كنا نعزف؛ ليرقصوا، فإذا رقصت لا تموت، تشعر بأنك إله.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“لم يكن لتلك الانغام وجود قبل ان تعزفها انامله وحين ينهض عن البيانو كانت تلك الانغام تتلاشى تختفى الى الابد”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“هكذا الناس: يتصرّفون بلؤمٍ مع الخاسرين”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Succedeva sempre che a un certo punto uno alzava la testa... e la vedeva. È una cosa difficile da capire. Voglio dire... Ci stavamo in più di mille, su quella nave, tra ricconi in viaggio, e emigranti, e gente strana, e noi... Eppure c'era sempre uno, uno solo, uno che per primo... la vedeva. Magari era lì che stava mangiando, o passeggiando, semplicemente, sul ponte... magari era lì che si stava aggiustando i pantaloni... alzava la testa un attimo, buttava un occhio verso il mare... e la vedeva. Allora si inchiodava, lì dov'era, gli partiva il cuore a mille, e, sempre, tutte le maledette volte, giuro, sempre, si girava verso di noi, verso la nave, verso tutti, e gridava (piano e lentamente): l'America.
Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui l'America. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato, muratore, brava persona... prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi... gli ha preso un po' la mano, ha fatto l'America... Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno.”
― Novecento. Un monologo
Poi rimaneva lì, immobile come se avesse dovuto entrare in una fotografia, con la faccia di uno che l'aveva fatta lui l'America. La sera, dopo il lavoro, e le domeniche, si era fatto aiutare dal cognato, muratore, brava persona... prima aveva in mente qualcosa in compensato, poi... gli ha preso un po' la mano, ha fatto l'America... Quello che per primo vede l'America. Su ogni nave ce n'è uno.”
― Novecento. Un monologo
“يُتقن فنّ الإصغاء، والقراءة، ليست قراءة الكُتُب، فتلك يُتقنها الجميع، إنما قراءة البشر. ملامح وجوه الناس تتشرّب كلّ الأماكن والأصوات والروائح التي يصادفونها، يحملون أراضيهم وحكاياتهم على أجبنهم. كل شئ مكتوب على أجبنهم.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“لا تحل عليك اللعنه مادمت تحظى بقصة حياه فريدة وأحد ما ترويها على مسامعه”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli son buoni tutti, sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia... Tutta scritta, addosso.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“ما الذي يحدث للمسمار، كي يدفعه إلى التفكير بأنه فقد القدرة على المقاومة؟”
― Novecento. Un monologo
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“La gente fa così, è cattiva con quelli che perdono.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Draugus, kurių troškau, aš nuramdžiau grodamas tau ir su tavimi tą vakarą, tai tavo veide, akyse aš juos mačiau, visus savo mylimus bičiulius, kai išėjai, išėjo ir jie su tavimi.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“Ich sehe die Szene schon vor mir, wie ich oben ankomme, mit dem Typ, der meinen Namen auf der Liste sucht und nicht findet.
"Wie heißen Sie nochmal?"
"Novecento."
"Nosjinskij, Notarbartolo, Novalis, Nozza..."
"Es ist nämlich so, daß ich auf einem Schiff geboren bin."
"Wie bitte?"
"Ich bin aif einem Schiff geboren und da auch gestorben, ich weiß nicht, ob das da aus der Liste hervorgeht..."
"Schiffbruch?"
"Nein. Explodiert. Dreizehn Zentner Dynamit. Bum."
"Aha. Ist soweit alles in Ordnung?"
"Ja, ja, bestens... das heißt... da ist noch die Sache mit dem Arm... ein Arm ist weg... aber man hat mir versichert..."
"Ein Arm fehlt ihnen?"
"Ja. Wissen Sie, bei de Explosion..."
"Da müßte noch ein Paar liegen... welcher fehlt Ihnen denn?"
"Der linke."
"Ach herrje."
"Was soll das heißen?"
"Ich fürchte, es sind zwei rechte, wissen Sie."
"Zwei rechte Arme?"
"Tja. Unter Umständen können Sie Schwierigkeiten haben,..."
"Ja?"
"Ich meine, wenn Sie einen rechten Arm nehmen würden..."
"Einen rechten Arm anstelle des linken?"
"Ja."
"Aber... nein, oder doch,... lieber einen rechten als gar keinen..."
"Das meine ich auch. Warten Sie einen Moment, ich hole ihn."
"Ich komme am besten in ein paar Tagen wieder vorbei, dann haben Sie vielleicht einen linken da..."
"Also, ich habe hier einen weißen und einen schwarzen..."
"Nein, nein, einfarbig... nichts gegen Schwarze, hm, es ist nur eine Frage der..."
Pech gehabt. Eine ganze Ewigkeit im Paradies mit zwei rechten Armen. (Näselnd gesprochen.) Und jetzt schlagen wir ein schönes Kreuz! (Er setzt zu dieser Geste an, hält aber inne. Er betrachtet seine Hände.) Nie weiß man, welche man nehmen soll. (Er zögert einen Augenblick, dann bekreuzigt er sich schnell mit beiden Händen.) Sich eine ganze ewigkeit, Millionen Jahre, zum Affen machen. (Wieder schlägt er mit beiden Händen ein Kreuz.) Die Hölle. Da gibt's nichts zu lachen.
(Er dreht sich um, geht auf die Kulissen zu, bliebt einen Schritt vor dem Abgang stehen, dreht sich erneut zum Publikum, und seine Augen leuchten.)
Andererseits... du weißt ja, daß Musik... mit diesen Händen, mit zwei rechten... wenn da nur ein Klavier ist...”
― Novecento. Un monologo
"Wie heißen Sie nochmal?"
"Novecento."
"Nosjinskij, Notarbartolo, Novalis, Nozza..."
"Es ist nämlich so, daß ich auf einem Schiff geboren bin."
"Wie bitte?"
"Ich bin aif einem Schiff geboren und da auch gestorben, ich weiß nicht, ob das da aus der Liste hervorgeht..."
"Schiffbruch?"
"Nein. Explodiert. Dreizehn Zentner Dynamit. Bum."
"Aha. Ist soweit alles in Ordnung?"
"Ja, ja, bestens... das heißt... da ist noch die Sache mit dem Arm... ein Arm ist weg... aber man hat mir versichert..."
"Ein Arm fehlt ihnen?"
"Ja. Wissen Sie, bei de Explosion..."
"Da müßte noch ein Paar liegen... welcher fehlt Ihnen denn?"
"Der linke."
"Ach herrje."
"Was soll das heißen?"
"Ich fürchte, es sind zwei rechte, wissen Sie."
"Zwei rechte Arme?"
"Tja. Unter Umständen können Sie Schwierigkeiten haben,..."
"Ja?"
"Ich meine, wenn Sie einen rechten Arm nehmen würden..."
"Einen rechten Arm anstelle des linken?"
"Ja."
"Aber... nein, oder doch,... lieber einen rechten als gar keinen..."
"Das meine ich auch. Warten Sie einen Moment, ich hole ihn."
"Ich komme am besten in ein paar Tagen wieder vorbei, dann haben Sie vielleicht einen linken da..."
"Also, ich habe hier einen weißen und einen schwarzen..."
"Nein, nein, einfarbig... nichts gegen Schwarze, hm, es ist nur eine Frage der..."
Pech gehabt. Eine ganze Ewigkeit im Paradies mit zwei rechten Armen. (Näselnd gesprochen.) Und jetzt schlagen wir ein schönes Kreuz! (Er setzt zu dieser Geste an, hält aber inne. Er betrachtet seine Hände.) Nie weiß man, welche man nehmen soll. (Er zögert einen Augenblick, dann bekreuzigt er sich schnell mit beiden Händen.) Sich eine ganze ewigkeit, Millionen Jahre, zum Affen machen. (Wieder schlägt er mit beiden Händen ein Kreuz.) Die Hölle. Da gibt's nichts zu lachen.
(Er dreht sich um, geht auf die Kulissen zu, bliebt einen Schritt vor dem Abgang stehen, dreht sich erneut zum Publikum, und seine Augen leuchten.)
Andererseits... du weißt ja, daß Musik... mit diesen Händen, mit zwei rechten... wenn da nur ein Klavier ist...”
― Novecento. Un monologo
“Negli occhi della gente si vede quello che vedranno, non quello che hanno visto. Così, diceva: quello che vedranno.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“لم يكن لتلك الأنغام وجود، في أي مكان، قبل أن تعزفها أنامله. وحين ينهض عن البيانو، كانت تلك الأنغام تتلاشى، تختفي إلى الأبد.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“أنا كنتُ ماهرًا في العزف على البوق. ما فائدة عزف البوق حين تندلع الحرب ، وتحدّق بك من كل جانب حتى تخنقك؟!”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“En los ojos de la gente puede verse lo que verán, no lo que han visto.”
― Novecento. Un monologo
― Novecento. Un monologo
“«Cos’era?»
«Non lo so»
Gli si illuminarono gli occhi.
«Quando non sai cos’è, allora è jazz»”
― Novecento. Un monologo
«Non lo so»
Gli si illuminarono gli occhi.
«Quando non sai cos’è, allora è jazz»”
― Novecento. Un monologo
“Quando cade un quadro. Quando ti svegli, un mattino, e non la ami più. Quando apri il giornale e leggi è scoppiata la guerra. Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui. Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio. Quando, in mezzo all’Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse: “A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave”.
Ci rimasi secco.
Fran.”
― Novecento. Un monologo
Ci rimasi secco.
Fran.”
― Novecento. Un monologo
