La bella confusione Quotes

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La bella confusione La bella confusione by Francesco Piccolo
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La bella confusione Quotes Showing 1-10 of 10
“Vivere la vita come un blocco unico e coerente, vivere la vita come esplosa in tanti frammenti. È la storia della volpe e del riccio di un frammento di Archiloco, e su cui Isaiah Berlin ha costruito un saggio.
«La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande».
Berlin ne fa uno spartiacque degli scrittori, dei pensatori, e dell’umanità in generale. Gli esseri umani si dividono in volpi e ricci.
Ricci sono quelli che si rifanno a un unico principio ispiratore, sulla base di una visione morale del mondo. Volpi sono quelli che si appassionano a modelli diversi e contraddittori, senza un faro etico. Per esempio, ricci secondo Berlin sono Platone, Lucrezio, Pascal, Hegel, Dostoevskij e Proust. E volpi: Erodoto, Aristotele, Montaigne, Erasmo, Molière, Goethe, Puškin, Balzac e Joyce.
Otto e mezzo racconta che Guido è volpe. Il Gattopardo racconta che don Fabrizio è riccio. Tutti e due concludono il film accettando la propria essenza. E forse, Fellini, Mastroianni sono volpi; Visconti, Lancaster sono ricci. Non so, potrebbe essere cosí. Ma di sicuro, questi due film contemporanei rappresentano i due aspetti dell’umanità, secondo questo principio. Insieme, riempiono tutti i tasselli possibili.”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“So con certezza che se mi alzo ogni mattina molto presto, e con una specie di spinta, una mano che mi spinge dal letto per dire: vai, e comincio la mia giornata in cui cerco di fare quanto piú possibile del mio lavoro, i compiti che mi sono dato e che mi hanno dato gli altri, è perché al liceo mi è stato messo in mano Il Gattopardo; è perché mi sono seduto davanti alla tv, ho visto Otto e mezzo e ho continuato a vederlo per mesi perché capivo che lí dentro c’era qualcosa che mi spingeva a pensare: anche io devo esprimermi e mi spingeva a pensare: anche io devo esprimermi e fare qualcosa. Se non fossero successe queste due cose, forse non avrei avuto il desiderio, lo slancio e probabilmente nemmeno gli strumenti per immaginare di esprimermi anche io in qualche modo.
Non ho mai saputo che senso abbia, né perché mi ostini cosí tanto da anni a fare una cosa e a pensare anche di non poter vivere senza farla; perché so che è un modo di stare al mondo del tutto arbitrario e discutibile. Se io non mi alzassi la mattina pensando che devo scrivere sento che la mia vita avrebbe un vuoto incolmabile; ma questa convinzione non è una convinzione reale, è il senso che gli ho voluto dare io e dentro questa specie di autointrappolamento mi sembra di avere una necessità e un compito; che però non esistono; me li sono imposti, e sto vivendo dentro la trappola che mi sono creato.
Non c’è una risposta, se non quella che dava Flannery O’Connor a proposito del suo allevamento di pavoni − quando racconta che chi va a trovarla le chiede perché alleva pavoni. Non c’è motivo, risponde lei. Anzi, lo dice in modo piú problematico: questa domanda non ha senso, perché la risposta si dovrebbe sapere, e la risposta che si dovrebbe sapere è quella, cioè che non ha alcun senso allevare pavoni; si fa e basta.”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“So con certezza che se mi alzo ogni mattina molto presto, e con una specie di spinta, una mano che mi spinge dal letto per dire: vai, e comincio la mia giornata in cui cerco di fare quanto piú possibile del mio lavoro, i compiti che mi sono dato e che mi hanno dato gli altri, è perché al liceo mi è stato messo in mano Il Gattopardo; è perché mi sono seduto davanti alla tv, ho visto Otto e mezzo e ho continuato a vederlo per mesi perché capivo che lí dentro c’era qualcosa che mi spingeva a pensare: anche io devo esprimermi e mi spingeva a pensare: anche io devo esprimermi e fare qualcosa. Se non fossero successe queste due cose, forse non avrei avuto il desiderio, lo slancio e probabilmente nemmeno gli strumenti per immaginare di esprimermi anche io in qualche modo.
Non ho mai saputo che senso abbia, né perché mi ostini cosí tanto da anni a fare una cosa e a pensare anche di non poter vivere senza farla; perché so che è un modo di stare al mondo del tutto arbitrario e discutibile. Se io non mi alzassi la mattina pensando che devo scrivere sento che la mia vita avrebbe un vuoto incolmabile; ma questa convinzione non è una convinzione reale, è il senso che gli ho voluto dare io e dentro questa specie di autointrappolamento mi sembra di avere una necessità e un compito; che però non esistono; me li sono imposti, e sto vivendo dentro la trappola che mi sono creato.
“Non c’è una risposta, se non quella che dava Flannery O’Connor a proposito del suo allevamento di pavoni − quando racconta che chi va a trovarla le chiede perché alleva pavoni. Non c’è motivo, risponde lei. Anzi, lo dice in modo piú problematico: questa domanda non ha senso, perché la risposta si dovrebbe sapere, e la risposta che si dovrebbe sapere è quella, cioè che non ha alcun senso allevare pavoni; si fa e basta.”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“uno dei grandi libri della critica letteraria, Mimesis di Erich Auerbach: fu scritto durante la guerra, a Costantinopoli, dove non esistevano biblioteche fornite per studi sui testi europei, e dove non esistevano nemmeno edizioni critiche fidate dei testi. E Auerbach dice: «Del resto, è possibilissimo che il libro debba la sua esistenza proprio alla mancanza d’una grande biblioteca specializzata; se avessi potuto far ricerche, informarmi su tutto quello che è stato scritto intorno a tanti argomenti, forse non mi sarei piú indotto a scriverlo.
Sto cercando di dire che forse è addirittura grazie a quella sua parziale ma sperimentata superficialità che Fellini ha concepito un film cosí ambizioso con il rischio di sbagliarlo.”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“Questo apice e questo inizio della decadenza è rappresentato da due film che sono il punto piú alto del momento d’oro ma anche, essendo il punto piú alto, il primo passo verso la decadenza; ma la cosa piú interessante è che sia Otto e mezzo, sia Il Gattopardo sono dei film decadenti che hanno al centro dei personaggi decadenti, che si pongono il problema della fine di un’era. Nel Gattopardo si tratta della fine di un’epoca storica. In Otto e mezzo c’è la fine della giovinezza (o la paura della fine della potenza) per un individuo e soprattutto per un artista.
Uno non ha piú niente da dare al mondo, l’altro non ha piú niente da dire al mondo.
Questo raccontano i due film che segnano la fine dell’età d’oro del cinema italiano e l’inizio della sua decadenza. Allo stesso tempo, rappresentano la risposta piú concreta all’inizio della crisi e alla concorrenza della tv: lo sfarzo della messinscena del Gattopardo, la grandiosità della messinscena libera e autoriale di Otto e mezzo. Sono due risposte produttive molto concrete, che infatti danno risultati sia di prestigio sia commerciale. Ma quella potenza produttiva non si vedrà piú; già Il sorpasso, loro contemporaneo, sceglie costi piú abbordabili con risultati ottimi.
Da ora in poi, il cinema italiano non si permetterà piú facilmente film spettacolari; né Visconti e Fellini riusciranno a ottenere produzioni del genere senza lotta e sacrificio, e comunque non a questo livello. In piú, a suggellare la veridicità di questo ragionamento, la doppietta Sodoma e Gomorra e Il Gattopardo, cosí onerosi, distrugge la Titanus, che per riprendersi dovrà affidarsi a musicarelli e film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
È la fine di un’epoca d’oro del cinema italiano. È la fine di un’epoca per don Fabrizio e la sua classe aristocratica. È la fine di un’epoca per Guido e la sua creatività senza freni. Il Gattopardo in particolare rappresenta la reazione del cinema al cambiamento che sta per avvenire: con il grande schermo, il colore, le grandi scenografie, è il kolossal italiano che si contrappone al decadimento del cinema. Lombardo ne parlerà cosí: «Il film è piú di Via col vento, è una cosa enorme. È favoloso. È difficilissimo per un film che tutti gli elementi siano contemporaneamente efficienti allo stesso modo. Io credo che Il Gattopardo segnerà un’epoca nel cinema italiano. Per me come produttore penso che nella mia vita di produttore mi basterà di avere fatto Il Gattopardo».”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“Ma se ha un senso scrivere sceneggiature, è perché sempre, entrando in una storia, trovo qualcosa che mi riguarda, ci metto dentro dinamiche e fatti che mi riguardano, e comunque quella storia e la mia vita cercano punti di contatto. [...] Finisce sempre che ognuno di quelli che stanno scrivendo una sceneggiatura, si sentono, facendola, come Visconti si sentiva girando Il Gattopardo: si rendono conto che lí dentro c’è qualcosa della loro vita, di ognuno di loro, e finisce per essere un’autobiografia condivisa. Fino a sentire, sempre, un senso di appartenenza. E questo senso di appartenenza, negli anni, si confonde poi con il resto delle esperienze di quel periodo, i fatti accaduti durante le riunioni, i rapporti personali con il regista, gli altri sceneggiatori e in seguito (piú da lontano) con le altre persone che entrano nel film o nella serie tv.”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“In un documentario Fellini a un certo punto usa questa espressione: la vitale confusione della vita. E una volta a Simenon che lo sta intervistando risponde: «In fin dei conti lei e io abbiamo sempre raccontato delle sconfitte. Credo che l’arte sia questo, la possibilità di trasformare la sconfitta in vittoria, la tristezza in felicità».”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“Questa disponibilità all’imprevisto, Fellini la teorizza: «Tutto fa parte del film. E un’altra cosa vorrei dire: non esistono condizioni ideali per la realizzazione di un film, o meglio: le condizioni sono sempre ideali, perché sono quelle che in definitiva ti hanno permesso di fare il film cosí come lo stai facendo; la malattia di un attore, che obbliga alla sua sostituzione, la scaltra testardaggine di un produttore, un incidente che arresta la lavorazione: non sono degli ostacoli, ma gli elementi stessi di cui il film viene via via componendosi. Ciò che è finisce sempre per prendere il sopravvento, per sostituirsi a ciò che avrebbe potuto o dovuto essere. Gli imprevisti non solo fanno parte del viaggio, ma sono il viaggio stesso».”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“L’aspetto piú affascinante quando si analizzano opere del passato è la necessaria inconsapevolezza, in chi le ha immaginate e realizzate, del capolavoro. Per quanto fossero Fellini e Visconti, per quanto venissero da altri due capolavori − ma pieni di problemi, attacchi, censure − è impossibile percepire la grandezza che avrà qualcosa che si sta facendo.
E poiché succede in qualsiasi caso, è successo anche con Otto e mezzo e Il Gattopardo.
Del resto, guai se fosse il contrario − se chi sta realizzando un’opera la immaginasse già come un capolavoro, avesse già la percezione chiara di ciò che sarà.
Tutto questo riguarda anche coloro che le recepiscono, sul momento. I contemporanei: i critici, gli spettatori, i colleghi. Anche se qualcuno uscendo dal cinema ha detto: che capolavoro!, lo ha detto con quella inconsapevolezza della contemporaneità; e probabilmente lo ha detto tante altre volte, e per opere che nel tempo hanno dimostrato di non avere altrettanto valore.”
Francesco Piccolo, La bella confusione
“Sono una persona che negli anni, ossessionata dal lavoro, si è chiusa sempre di piú. Spesso io stavo fermo e il mondo si muoveva, spesso io stavo a casa e il mondo era per strada; comunque, sia la frustrazione sia la soddisfazione erano in relazione con la società che in qualche modo chiamava, chiedeva, seduceva; amici, persone vicine, chiunque. Ho lavorato a questo libro soprattutto durante il lungo periodo della pandemia; ma questa clausura è stata diversa, perché è stata di tutti; e infatti, in qualche modo, si è trattato di un tempo fermo per tutti, per gli amanti delle feste e per chi alle feste non ci andava, per i sociopatici, o anche per quelli che non potevano partecipare a qualcosa. In pratica è stata la fine del sentirsi diversi perché non c’erano piú frustrazioni sociali: chi stava a casa non pensava che fuori il mondo si muoveva ma era rassicurato dal fatto che anche il mondo se ne stava fermo a casa. Questa cosa, credo, ha reso gli introversi delle persone piú forti. Ho letto un articolo su Bloomberg che diceva che chi aveva maggiori difficoltà sociali stava resistendo meglio alla quarantena perché in qualche modo traeva delle forze da sé stesso che gli altri non avevano. Gli altri si sono trovati in una prigione; chi in prigione già c’era, sapeva come resistere.
Uno scrittore, secondo me, assomiglia molto agli introversi, e un po’ perfino ai sociopatici. In pratica il suo sistema di vita è organizzato intorno a un luogo chiuso, davanti a un computer, e si basa sul tentativo di avere a disposizione una giornata vuota. E quindi uno scrittore, se riesce a trovare l’umore giusto per scacciare i fantasmi della paura, dell’angoscia, se riesce a non sentirsi bloccato, usa e ha potuto usare come me il tempo per la quarantena come un tempo perfetto per andare avanti; e andare avanti voleva dire anche andare avanti in un mondo che in fondo non andava avanti, ed era anche esaltante per certi aspetti. È un po’ come quando si lavora di domenica, o quando si lavora ad agosto: tutti sono fermi e tu recuperi terreno sulla vita e sul mondo. Questa sensazione qui per qualche mese è stata forte.
Ma questo libro in particolare, al contrario di tutti quelli che ho scritto finora, mi ha aiutato a tenermi lontano, fuori dal presente. Ero nel 1954, nel 1962, nel 1963, in un mondo distante da quello che stavo vivendo, chiuso in casa e in isolamento. Questo libro mi ha permesso di vivere gran parte della giornata con la testa lontana da quello che succedeva intorno.”
Francesco Piccolo, La bella confusione