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July 14 - July 20, 2023
Malattie neuronali come la depressione, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)1, il disturbo borderline di personalità (BPD) o la sindrome da burnout (BD) connotano il panorama delle patologie tipiche di questo secolo. Non si tratta di infezioni, piuttosto di infarti che non sono causati dalla negatività di ciò che è immunologicamente altro, ma sono determinati da un eccesso di positività.
La positivizzazione del mondo consente la nascita di nuove forme di violenza. Queste non provengono da ciò che è immunologicamente altro. Al contrario sono immanenti al sistema stesso. Proprio a causa della loro immanenza, non rispondono ad alcuna difesa immunitaria.
Tanto la depressione come anche l’ADHD o il BD si riferiscono a un eccesso di positività. Il BD è un infiammarsi dell’io per surriscaldamento, che rinvia a un eccesso dell’Eguale. L’iper in iperattività non è una categoria immunologica. Rappresenta soltanto una stereotipizzazione del positivo.
In luogo del divieto, dell’obbligo o della legge, subentrano il progetto, l’iniziativa e la motivazione.
La società disciplinare è ancora dominata dal no. La sua negatività produce pazzi e criminali. La società della prestazione, invece, genera soggetti depressi e frustrati.
L’inconscio sociale è palesemente animato dallo sforzo di massimizzare la produzione.
Con l’incremento della produttività il paradigma della regolamentazione viene rimpiazzato dal paradigma della prestazione, ossia dallo schema positivo del poter-fare poiché, a partire da un determinato livello di produttività, la negatività del divieto finisce per bloccare e inibire un ulteriore incremento. La positività del poter-fare è molto piú efficace della negatività del dovere. Cosí, l’inconscio sociale passa dal dovere al poter-fare. Il soggetto di prestazione è piú veloce e piú produttivo del soggetto d’obbedienza.
In realtà, causa di malattia non è l’eccesso di responsabilità e di iniziativa, bensí l’imperativo della prestazione quale nuovo obbligo della società lavorativa tardo-moderna.
La depressione è la malattia di una società che soffre dell’eccesso di positività.
Il soggetto di prestazione è libero dall’istanza esterna di dominio, che lo costringerebbe a svolgere un lavoro o semplicemente lo sfrutterebbe. È lui il signore e sovrano di se stesso. Egli, dunque, non è sottomesso ad alcuno se non a se stesso. In ciò si distingue dal soggetto d’obbedienza. Il venir meno dell’istanza di dominio non conduce, però, alla libertà. Fa sí, semmai, che libertà e costrizione coincidano. Cosí il soggetto di prestazione si abbandona alla libertà costrittiva o alla libera costrizione volta a massimizzare la prestazione
L’eccesso di lavoro e di prestazione aumenta fino all’autosfruttamento. Esso è piú efficace dello sfruttamento da parte di altri in quanto si accompagna a un sentimento di libertà. Lo sfruttatore è al tempo stesso lo sfruttato.
Anche il carico di lavoro sempre crescente rende necessaria una particolare tecnica del tempo e dell’attenzione, che retroagisce sulla struttura dell’attenzione stessa. La tecnica del tempo e dell’attenzione definita multitasking non costituisce un progresso civilizzante. Il multitasking non è un’abilità di cui sarebbe capace soltanto l’uomo nella società del lavoro e dell’informazione tardo-moderna. Si tratta, piuttosto, di un regresso. Il multitasking infatti si trova già largamente diffuso tra gli animali in natura. È una tecnica dell’attenzione indispensabile per la sopravvivenza
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Il rapido cambiamento di focus tra compiti, sorgenti d’informazione e processi diversi caratterizza questa attenzione dispersa. Poiché tra l’altro essa ha una tolleranza minima per la noia, ammette poco anche quella noia profonda che pure non sarebbe irrilevante per un processo creativo. Walter Benjamin definisce questa noia profonda un “uccello incantato, che cova l’uovo dell’esperienza”
Se il sonno è il culmine del riposo fisico, la noia profonda sarebbe il culmine del riposo spirituale.
Con la scomparsa del riposo si perderebbe la “facoltà di ascoltare” e sparirebbe la “comunità degli ascoltatori”. Diametralmente opposta a essa è la nostra società dell’azione. La “facoltà di ascoltare” si basa infatti su una capacità di attenzione profonda, contemplativa, a cui l’ego iperattivo non ha vie d’accesso.
Secondo Arendt la società moderna annienta, in quanto società del lavoro, ogni possibilità di azione, poiché degrada l’uomo ad animal laborans, ad animale che lavora.
Va cercata un’altra risposta alla domanda sul perché tutte le attività umane nell’epoca tardo-moderna degenerino nel lavoro e sul perché inoltre si arrivi a una tale frenesia nervosa.
La società del lavoro e della prestazione non è una società libera. Produce nuove costrizioni. La dialettica di servo e padrone non conduce, alla fine, a una società nella quale ciascuno è un soggetto libero, capace anche di oziare. Conduce, piuttosto, a una società del lavoro nella quale perfino il signore è divenuto servo. In questa società costrittiva ciascuno porta con sé il proprio campo di lavoro. La sua particolarità è che si è al tempo stesso prigionieri e guardiani, vittime e carnefici. Cosí ciascuno sfrutta se stesso. E in tal modo lo sfruttamento è possibile anche senza dominio.
La dialettica dell’essere-attivi, che sfugge ad Hannah Arendt, consiste nel fatto che l’acuirsi dell’attività in iperazione fa sí che l’attività si rovesci in un’iperpassività, nella quale si segue ogni impulso e stimolo senza opporre resistenza. Invece della libertà essa produce nuove costrizioni. È un’illusione credere che quanto piú si è attivi, tanto piú si è liberi.
In quanto società dell’azione, la società della prestazione si evolve lentamente in una società del doping.
L’aver semplicemente proibito l’utilizzo di tali sostanze, tuttavia, non impedisce l’evoluzione che trasforma non solo il corpo, ma l’essere umano nel suo complesso in una macchina da prestazione che deve funzionare indisturbata e deve massimizzare la prestazione. Il doping è soltanto una conseguenza di questa evoluzione, nella quale l’essere in vita – che costituisce un fenomeno estremamente complesso – viene ridotto alle funzioni e prestazioni vitali.
La stanchezza della società della prestazione è una stanchezza solitaria, che agisce separando e isolando. È quella che nel suo Saggio sulla stanchezza Handke chiama “stanchezza che divide
La stanchezza abitua l’essere umano a un particolare abbandono, a un quieto non-fare. Non è uno stato nel quale ogni senso svanirebbe. In essa invece si risveglia una particolare capacità di vedere.
L’apparato psichico freudiano è un apparato repressivo saturo di obblighi e divieti. Esso è strutturato come una società disciplinare, con ospedali, manicomi, prigioni, caserme e fabbriche. La psicoanalisi freudiana, perciò, è efficace soltanto in una società repressiva, che fonda la propria organizzazione sulla negatività dei divieti. La società odierna, invece, non è primariamente disciplinare ma è una società della prestazione, che si svincola sempre piú dalla negatività dei divieti e si propone come società della libertà.
Il verbo modale che caratterizza la società della prestazione non è il “dovere” freudiano, bensí il potere.
Qui il dio kantiano, questa entità morale “obbligante in sommo grado”, compare non soltanto come istanza della punizione e della condanna ma anche – ed è un aspetto assai importante, sottolineato però di rado – come istanza della gratificazione.
Il soggetto morale come soggetto del dovere reprime sí tutte le inclinazioni che procurano piacere in favore della virtú, ma il dio morale ricompensa il suo doloroso lavoro con la felicità. La felicità è “distribuita […] nella proporzione piú esatta, con la piú gran quantità di perfezione morale”5.
La prestazione morale ripaga. Il soggetto morale, che per la moralità accetta anche il dolore, è certo della gratificazione. Intrattiene una relazione interiore con l’Altro come istanza della gratificazione. Qui non incombe una crisi della gratificaz...
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Il soggetto di prestazione tardo-moderno non si dedica ad alcun lavoro obbligatorio. Le sue massime non sono obbedienza, legge e compimento del...
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Dal lavoro egli si aspetta soprattutto il raggiungimento del piacere e non dipende dal comando dell’Altro. Piuttosto, dà retta principalmente a se stesso. Si svincola, cosí, dalla negatività delle pretese altrui. Questa libertà dall’Altro, però, non è soltanto emancipante e liberatoria. La fatale d...
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Il riferimento mancante all’Altro causa in primo luogo una crisi della gratificazione. Quest’ultima, in quanto riconoscimento, presuppone l’istanza dell’Altro o del terzo. Anche Richard Sennett riconduce la crisi della gratificazione a u...
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Come disturbo del carattere il narcisismo è l’esatto contrario dello spiccato amor proprio. Lo sprofondamento nel sé non produce ...
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Nell’esperienza incontriamo gli Altri. L’esperienza è trasformante, alter-ante (ver-andernd)7. I vissuti, al contrario, prolungano l’Io negli Altri, nel mondo, dunque sono ugua-glianti (ver-gleichend)8. Nell’amor proprio il confine con l’Altro è tracciato chiaramente; nel narcisismo, invece, è sfocato. L’Io si diffonde e si fa vago.
Il sentimento di aver raggiunto uno scopo non viene “evitato” intenzionalmente. Piuttosto, il sentimento di aver raggiunto uno scopo definitivo non si presenta mai. Non è che il soggetto narcisistico non voglia mai arrivare a una conclusione; piuttosto, egli non è capace di concludere. L’obbligo prestazionale lo costringe a realizzare sempre piú prestazioni, cosí che egli non giunge mai allo stadio tranquillizzante della gratificazione.
Autorealizzazione e autodistruzione, qui, coincidono.
Carl Schmitt osserva che “avere piú di un unico nemico reale” è un “segno di dissociazione interna”. Ciò vale anche per l’amico: avere piú di un amico sarebbe, per Schmitt, un segno di mancanza di carattere e di forma. I tanti amici su Facebook sarebbero, per lui, un segnale dell’assenza di carattere e di forma dell’Io tardo-moderno. Volto in positivo, quest’uomo privo di carattere è l’uomo flessibile, che è in grado di assumere ogni ruolo, ogni funzione. Questa mancanza di forma, ovvero questa flessibilità, produce un’alta efficienza economica.
La lunga e complicata, nonché dolorosa, “elaborazione del lutto” è diventata inutile. Gli “amici” nelle reti sociali informatiche hanno soprattutto la funzione di incrementare l’autostima narcisistica.
depressione. La malinconia, che sarebbe caratterizzata da un tratto elitario, si democratizzerebbe oggi nella depressione:
“Se la malinconia era la cifra dell’uomo eccezionale, la depressione è l’epifania di un’eccezione democratizzata”
La depressione sarebbe la “vecchia malinconia aggiornata dall’eguaglianza, la malattia per eccelle...
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Ehrenberg colloca la depressione in quell’epoca nella quale l’uomo sovrano, la cui venuta sarebbe stata annunciata da Nietzsche, si sarebbe trasformato nella massa. Perciò, il depresso è colui che è esaurito dalla propria sovranità, che – dunque – non ha piú la forza di esse...
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Oh, voi tutti cui è gradito il lavoro selvaggio e tutto ciò che è fervido e nuovo e strano, voi male adoperate: la vostra assiduità non è che una fuga, una volontà di dimenticare voi stessi. Se aveste maggior fede nella vita, vi prostituireste assai meno. Ma per attendere – anche in ozio! – vi manca il punto di appoggio interno17.
Il soggetto di prestazione sfrutta se stesso nel modo piú efficace, quando si mantiene aperto a tutto, quando è – appunto – flessibile. Cosí si trasforma nell’ultimo uomo.
Come l’isteria o il lutto, la malinconia è un fenomeno della negatività, mentre la depressione ha a che fare con un eccesso di positività.
Il burnout, che precede spesso la depressione, non rinvia tanto a quell’inidividuo sovrano al quale manca la forza “di essere padrone di se stesso”, ma è piuttosto la conseguenza patologica di un autosfruttamento volontario.
Problematica non è la concorrenza tra individui, bensí l’autoreferenzialità, che la aggrava trasformandola in una concorrenza assoluta.
Il soggetto di prestazione, infatti, concorre con se stesso e cade sotto la costrizione distruttiva a doversi superare costantemente. Quest’autocostrizione, che si dà come libertà, termina nella morte. Il burnout è il risultato della concorrenza assoluta.
Di fronte all’Io-ideale, l’Io reale appare come un fallito, che viene coperto di autorimproveri. L’Io fa guerra a se stesso. In questa guerra non può esserci un vincitore, perché la vittoria termina con la morte di chi vince. Il soggetto di prestazione si distrugge nella vittoria. La società della positività, che crede di essersi liberata da ogni costrizione estranea, si impiglia in autocostrizioni distruttive. Cosí, le malattie psichiche come il burnout o la depressione – le malattie tipiche del XXI secolo – presentano tutte dei tratti autoaggressivi. Si fa violenza a se stessi e ci si
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Per accelerare se stesso, il sistema capitalistico passa dallo sfruttamento estraneo all’autosfruttamento.
L’economia capitalistica assolutizza la sopravvivenza. Essa si nutre dell’illusione che piú capitale produrrebbe piú vita, piú capacità di vivere.