Sogni di mostri e divinità (La saga della Chimera di Praga #3)
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Read between September 10 - September 21, 2017
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«Abbiamo talmente tanti nemici, Lisseth», continuò Karou in tono disinvolto. «La maggior parte li abbiamo per diritto di nascita, ereditati come un dovere, ma quelli che ci facciamo da soli sono speciali. Dovremmo sceglierli con molta cura».
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«C’è il passato e c’è il futuro. Il presente non è mai più del singolo istante che separa l’uno dall’altro. Noi viviamo in sospeso su quell’istante mentre scorre via veloce come una saetta – verso cosa?
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«Il tuo padrone può essere la vita, oppure la morte».
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non aveva nessun senso sprecare speranze sull’amore. Era una questione di fortuna,
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Semmai qualcuna lo avesse amato, pensò amaramente, sarebbe stato bello poterla toccare senza farla sanguinare.
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Quante cose da rimpiangere, ma a quale scopo? Tutte le vite non vissute si annullano a vicenda. Lei non aveva nient’altro che il presente.
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Era la speranza, che moriva senza sorprendersi.
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Non avrebbe mai creduto che potesse esistere un abisso di disperazione al di sotto di quello.
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la distorsione dello specchio la colpì perché le parve appropriata: una manifestazione esteriore della deformazione interiore che stava cercando di tenere nascosta.
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«Non esiste un livello accettabile per un danno collaterale».
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Era la vergogna. La vergogna non sbiadiva mai e Liraz si rese conto soltanto in quel momento che quella era il parametro di base delle sue emozioni – la sua amara, guasta normalità – e che la sua anima era un terreno avvelenato nel quale niente di buono poteva crescere.
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Non c’è niente che tu possa prendere da me che non mi sia già stato preso, niente che tu possa farmi che non mi sia già stato fatto».
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«se tu fossi stato più gentile con questa povera cosa distrutta».
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Doveva ringraziare la sua famiglia per quel talento. Vi ringrazio, pensò, con il particolare livore che riservava loro, per il totale scollamento delle mie emozioni dai miei muscoli facciali.
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Dopo anni trascorsi a nascondere sofferenza, vergogna, confusione, umiliazione e paura, era piuttosto brava ad attraversare le situazioni della vita come un guscio vuoto, l’espressione imperturbabile, una cosa scarsamente animata.
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Aveva riversato talmente tanto di se stessa nel tenerlo sepolto che, a volte, aveva l’impressione che qualsiasi energia avesse potuto avere da impiegare nella gioia o nell’amore o nella leggerezza, fosse invece finita lì.
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la vita non è per niente una fiaba e, per di più, a volte si scomoda soltanto per dimostrare fino a che punto possa essere non-fiabesca.
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Odiare non era la parola giusta. Non esisteva una parola giusta; non ne esisteva una abbastanza grande per il senso di tradimento che provava, adesso che guardava alla sua infanzia da una prospettiva adulta e capiva quanto gravemente lei fosse stata abusata e sfruttata.
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La realtà mette sotto assedio. Il tuo personale ritratto incorniciato della vita va in frantumi e te ne viene imposto un altro. È brutto e tu non vuoi nemmeno guardarlo, men che mai appenderlo alla parete, ma non hai scelta, una volta che lo sai. Una volta che lo sai per davvero.
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non era quello che facevano le religioni? Guastarsi l’un l’altra e dichiarare: «Il mio credo indimostrabile è meglio del tuo credo indimostrabile. Fottiti».
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Era una piccola cosa alla deriva in un oceano d’assenza.
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Che diavolo le era preso? Solo perché qualcuno ti salva la vita non significa che tu debba innamorarti di lui. Amore? Oddio. Era la prima volta che la parola osava formarsi da sola e soltanto in questo modo, negandosi. Eppure, la colpì allo stomaco: paura, rifiuto e istinto di fuggire.