C'è Teheran, e… Manama
L'attenzione italiana è giustamente concentrata su Teheran, dove si rischia di nuovo il pugno duro del regime di Ahmadinejad, come nel 2009. L'attenzione americana pure è concentrata sullo stesso quadrante, con il segretario di Stato americano Hillary Rodham Clinton che si affretta a chiedere per i ragazzi di Teheran la stessa possibilità di esprimersi di quelli del Cairo. Si attende dunque, quanto prima, che dica le stesse parole per chi sta manifestando a Manama, nel piccolo emirato del Bahrein, dove le tensioni sono cominciate non da ieri, ma da più giorni. A meno che la presenza della Quinta Flotta statunitense in un luogo considerato strategicamente determinante per controllare lo Stretto di Hormuz non costringa il segretario di Stato ad essere quanto meno più cauta, sull'argomento. Certo, non troppo cauta, perché altrimenti si attirerebbe l'accusa di usare un doppio standard, a seconda della latitudine in cui scoppiano le rivolte nel grande Medio Oriente…
Ieri è stato il giorno dichiarato della "rabbia" dalle opposizioni, che hanno indetto una manifestazione contro lo sheykh Khalifa, e soprattutto contro un sistema di potere in mano alla minoranza sunnita, verso il quale la maggioranza sciita esprime profonde critiche da anni. E da anni, ancora una volta, è il web a fungere non solo da cassa di risonanza, ma da vera e propria agorà telematica dove la dissidenza si è formata, si è unita, è diventata comunità politica ed è poi scesa in strada.
Il sito Bahrainonline, attraverso il quale si possono seguire ora le proteste, è lo stesso che nel 2005 subì l'attacco delle autorità dell'emirato. Fu un vero e proprio caso giudiziario, che coinvolse i 3 fondatori del sito, "colpevoli – secondo il regime di Manama – di aver pubblicato sul sito opinioni non del tutto in linea con quelle del governo. Arrestati e processati tra febbraio e marzo 2005, sono rimasti in prigione solo due settimane prima di essere liberati senza neanche pagare la cauzione richiesta. Complice – questa è stata l'interpretazione più diffusa in Rete – la concomitanza del Gran premio di Formula Uno dell'inizio di aprile e il timore che l'occhio delle telecamere di tutto il mondo si spostasse dal circuito per posarsi su questa pattuglia di dissidenti o, più semplicemente, di ragazzi del web. La storia del trio di bahrainonline.org è comunque servita a scoperchiare il mondo a parte, il pianeta virtuale di Manama, soprattutto quando i blogger hanno deciso di inscenare una protesta tutta telematica, fotografandosi nel proprio salotto di casa con cartelli inneggianti alla liberazione del trio di bahrainonline.org.
Esercizi virtuali che i blogger hanno continuato a fare, nonostante i problemi con la censura non siano stati risolti dall'uscita di galera di quelli di bahrainonline.org. Persino il più importante blogger del piccolo regno arabo, il ricco imprenditore Mahmood al Yousif di mahmood's den, ha dovuto contrattare con le autorità la sua libertà sul web, per evitare l'ordine di bloccare l'accesso al suo sito, emanato alla fine di ottobre del 2006. Gli è "bastato" togliere qualche articolo fastidioso per il governo, e la minaccia incombente del blocco dei visitatori locali si è dissolta in pochi giorni" (il virgolettato è tratto da Arabi Invisibili, sempre nel capitolo dedicato ai blogger, in cui uno dei casi più interessanti era appunto quello del Bahrein).
Oltre cinque anni dopo, la situazione non solo non è cambiata, ma è diventata talmente tesa che è stato facile scendere in piazza dopo le rivolte di Tunisi e del Cairo. Già due i morti, tensione alle stelle. Come finirà? Per chi è interessato all'argomento delle rivolte nel Golfo, e capisce il tedesco, ci sono gli studi di una delle esperte più interessanti dell'area, Katja Niethammer , sul sito del think tank di Berlino SWP.


