Quando Ammaniti inventò la fantascienza

Nel tardo 2015, lo scrittore Niccolò Ammaniti pubblicò il libro Anna, in cui descriveva un'ipotetica società futura dove un virus mortale uccide tutte le persone che hanno raggiunto e superato la pubertà, andando così a originare un mondo composto solo di bambini. Ambientato in Sicilia, Anna narra le avventure di questa giovane e coraggiosa protagonista, che si muove in un mondo feroce popolato solo di bambini e preadolescenti, dove i quattordici anni sono la soglia della morte per tutti. In seguito, quell'opera secondaria di Ammaniti fu riconosciuta come il primo romanzo di un nuovo genere che sarebbe stato chiamato "fantascienza".
Rewind. Tutto questo non è davvero successo. O almeno, non esattamente in questi termini. Perché del romanzo Anna, la cui trama è pressoché quella descritta sopra, nessuno ha dato una definizione in termini di opera di fantascienza. Il che è una dinamica interessante, e tristemente nota, soprattutto qui da noi.
Ok, ammettiamo le nostre colpe. Noi appassionati di fantascienza siamo talmente abituati ad essere ghettizzati che in fondo, tutto sommato, nel nostro ghetto ci stiamo bene. Ci piace, sotto sotto, l'idea di vivere in un ambiente ristretto e impenetrabile, conoscere e delimitare i confini del genere in termini categorici. Quindi quando capita che qualche opera di sf si faccia riconoscere e apprezzare presso il Grande Pubblico, l'atteggiamento è spesso quello del "Ehi, io lo conoscevo prima che fosse famoso". Ecco, un po' di autocritica dovremmo farla, questo sì. Però.
Però è sorprendente come l'etichetta "fantascienza" si accuratamente evitata. Anche questo è un discorso già affrontato altre volte, ma in certi casi l'anomalia è davvero clamorosa. Quando Niccolò Ammaniti ha scritto e proposto Anna per la pubblicazione, com'è possibile che a nessuno sia venuto in mente che si trattasse di un romanzo di fantascienza, o quanto meno basato su una premessa tipica della fantascienza? Ci sono solo due possibilità per cui Ammaniti, il suo editore, i critici e tutti quelli che lo hanno intervistato (da Fazio in giù) non abbiano mai pensato di accostare il termine "fantascienza" al libro: ignoranza od opportunità. Nel primo caso, si può pensare che nessuno di tutti i soggetti coinvolti sappia dell'esistenza della fantascienza, e quindi, di fatto Niccolò Ammaniti ne è diventato l'inventore. Nel secondo, tutti coloro che hanno riconosciuto la fantascienza hanno pensato che non fosse il caso di sottolinearla.
Non so quale dei due sia peggio. L'ignoranza mi sembra ai limiti dell'impossibile, ma non si può escludere che un'idea distorta e/o limitata di cosa sia la fantascienza possa aver indotto genuinamente queste persone a pensare che no, Niccolò Ammaniti per definizione non può scrivere fantascienza, la sua è Letteratura! Se invece si parla di opportunità, per una precisa scelta editoriale/commerciale/artistica non si è voluto accostare il romanzo a un genere che si ritiene inferiore, indegno, perché qui non si sta giocando, si parla di Letteratura!
È qui che si innesca il corto circuito. Perché non si tratta solo di un problema di etichetta: in fondo definire il genere ha un'importanza relativa, vale sempre il discorso che esistono solo due tipi di libri, quelli belli e quelli brutti. Ma negare a un romanzo la sua natura è disonesto nei confronti degli stessi lettori. Perché, se sto leggendo una storia di un investigatore che sta cercando di risolvere un caso di omicidio basandosi sugli indizi che raccoglie sul campo, non dovrei sapere che sto leggendo un giallo? Perché non dovrei essere indirizzato a scoprire altro su quel genere che mi ha appassionato, o viceversa, allontanarmi da cosa mi ha deluso? E perché negare o tacere le origini del tipo di letteratura che si sta proponendo?
Il punto non è se il libro di Ammaniti sia bello o brutto, e nemmeno originale o no. Molti appassionati di sf hanno subito accusato lo scrittore di aver scopiazzato questo o quel racconto, ma sono passati i tempi in cui l'originalità delle idee è un requisito essenziale per la riuscita di una storia. Non ha importanza se Anna vincerà lo Strega (un romanzo di fantascienza che vince lo Strega, ve lo immaginate?) o diventerà un film, o se verrà stroncato dalla critica e disconosciuto dal suo autore. Il problema è che in nessuna fase della sua diffusione, il romanzo verrà identificato con il genere a cui appartiene. Si ripropone così quel doppio standard che, qui da noi, si è già visto ad esempio con autori come Levi e Calvino, e in tempi più recenti, con Avoledo. Si legga pure di fantascienza, ma che non venga nominata. Lode agli autori realisti di una realtà più grande, ma non calchiamo troppo l'accento sugli sforzi di immagianzione, ché la vita vera è questa.
Ma è così difficile riconoscere la fantascienza, quando non è al cinema e non è fatta di invasioni aliene, fini del mondo o supereroi (e anche qui ce ne sarebbe da discutere)? Come si può arrivare ad allontanare dal genere anche un film come The Martian? Dove sta il problema nell'accettare che una forma di letteratura basata sullo sviluppo di certe idee è fantascienza?

Se il problema è quella particella "fanta", che per lunga tradizione nell'ambiente culturale italiano equivale a "roba per bambini", possiamo anche usare il termine inglese di origine, e parlare di science fiction, così forse sarà meno imbarazzante se invece di "fantasticare" si "finge".
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Published on October 06, 2015 01:00
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Andrea Viscusi
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