Quando Barenboim si difende a corrente alternata
Due volte ho avuto l’onore e la fortuna di assistere a concerti di Daniel Barenboim. Mai in Italia. Sempre in Medio Oriente.
Sempre in Israele/Palestina.
Una volta a Gerusalemme. Una volta a Ramallah. Una volta per gli israeliani, a Gerusalemme ovest, nel centro per le convention di fronte alla centrale degli autobus. Pubblico israeliano, e accoglienza fredda. Applausi di circostanza, e attraverso quegli applausi il messaggio netto per Barenboim. Era un messaggio che non aveva a che fare con la sua maestria al pianoforte, semmai con la sua scelta di suonare Wagner. E soprattutto con le sue posizioni politiche. La profonda amicizia con Edward Said, lo East-West Diwan, e soprattutto la sua grande capacità di dire – quando era necessario – che “il re è nudo”. Che le cose vanno chiamate con il loro nome: la pace che non c’era e non c’è, l’occupazione del territorio palestinese che è occupazione. Gli stessi applausi freddi e di circostanza, particolarmente imbarazzanti, li ho sentiti per Amos Oz, sempre a Gerusalemme, durante un festival internazionale degli scrittori. Tra gli israeliani di Gerusalemme, insomma, i pacifisti alla Oz e alla Barenboim non vanno per la maggiore. Applausi diversi, calore diverso Daniel Barenboim li ha ricevuti a Ramallah, nel palazzo della cultura pagato dalla cooperazione giapponese. Era un’occasione particolare, per due ragioni, musicale e politica. Barenboim aveva ricevuto e accettato la cittadinanza palestinese, suscitando molte critiche in Israele. Era a Ramallah per poche ore, anche per mantenere la promessa a un’anziana donna tedesca. La signora voleva donare un piano ai musicisti palestinesi e al lavoro del maestro per un lavoro comune tra artisti israeliani e palestinesi: dopo la sua morte, il marito si mise d’accordo con Barenboim per realizzare il suo sogno. Il piano arrivò a Ramallah, con Barenboim e con il suo accordatore personale. E di fronte a un teatro stracolmo (chi lo conosce sa quanto è grande), Barenboim suonò quel pianoforte, in un’atmosfera intensa, emozionante, semplice e calorosa. Il teatro pieno di palestinesi, di noi internazionali, di tanti bambini non proprio impeccabili nell’ascolto. Sembrava di essere in un mondo altro, e forse lo eravamo.
Barenboim è un artista è un intellettuale scomodo, come ogni artista e intellettuale libero deve essere. Coerente da sempre, Barenboim continua a essere se stesso. Sono coloro che ne parlano che lo difendono a corrente alternata. Si indignano se a vietare a Barenboim di suonare è uno Stato, e sono indifferenti quando da altre parti succede. Difendere la libertà di Baremboim di suonare è un esercizio che dovrebbe essere svolto sempre. E, certo, non solo la libertà di Barenboim, giustamente famoso, ma quella di tutti i musicisti, gli artisti a cui viene limitata la possibilità di movimento, la libertà di suonare, recitare… A violare la libertà non è solo l’Iran, anche se sembra sia diventato uno sport nazionale – guarda caso dopo l’accordo sul nucleare tra Teheran e Stati Uniti – esercitarsi nelle punture di spillo per svilire un paese e dunque una intesa.
A Barenboim è stato impedito, per esempio, dalle autorità israeliane di andare a suonare a Gaza nel 2010, dopo la formale richiesta della Spagna di concedere a Barenboim e ai suoi musicisti di diverse nazionalità il permesso di entrare attraverso il valico di Erez. Le personalità della cultura e della politica italiane che ora si indignano non sembra si siano indignati più di tanto, allora. Forse molte neanche se ne sono accorte. Barenboim nella Gaza retta dal regime di Hamas ha suonato l’anno dopo, affittando lui stesso un charter e atterrando ad Al Arish, sul suolo egiziano, dopo la rivoluzione di Tahrir.
A Barenboim è stato ora impedito di andare a suonare a Teheran dalle autorità iraniane, a cui si vede che la figura e la musica del maestro, con passaporto israeliano, palestinese e, credo, argentino, fa paura. In Italia, tutto d’un tratto si alzano le voci che nel 2010 non si erano alzate.
Avrei preferito un’attenzione continua, e altrettanto coerente. Condannare allora e adesso, adesso e allora e domani. Non potremo certo mai essere coerenti come Barenboim, un uomo a cui non piace essere imbrigliato da nessuno, da nessuna delle parti in causa, da nessun attore politico e/o statuale, da nessuno che voglia usare il suo percorso personale come una bandiera da esporre quando capita. Almeno, però, proviamoci…


