Tra cyberdissidenza ed e-samiszdat


I blogger arabi, com'erano tra 2005 e 2006. Facevano dissidenza, producevano cultura politica, grafica web e design. Ce ne accorgiamo ora con i blogger tunisini in galera, ancora una volta avanguardia come lo sono stati per tutti gli anni Zero del Duemila. Ma tra l'enorme massa di giovani arabi si sono prodotti e-samiszdat ovunque. Bastava aprire il computer, e fare un clic.


Sami Ben Gharbia, uno dei più 'vecchi' blogger tunisini, mi ha scritto poche ore fa che il numero dei blog attivi in Tunisia è 500. Su un totale di 2500. In un paese di 10 milioni di abitanti. Quasi un sesto della popolazione italiana. Sotto una censura informatica durissima. Pas mal.


Da Arabi Invisibili, edizioni Feltrinelli, 2007.


"Il cosiddetto "citizens' journalism" ha trovato nell'Egitto in fermento del 2005 un terreno per emergere e fare esperienza. Non solo. È stato proprio questo tipo di informazioni passato attraverso i blog egiziani a fare da collante tra i blogger, creando un legame necessario perché si cominciasse a costituire – tra loro – una cultura politica comune. Niente di compiuto dal punto di vista ideologico. Anzi, nessuna piattaforma è stata né lanciata né tantomeno elaborata dai ragazzi dei diari virtuali. Quello che li unisce è la richiesta non meglio definita di uno stato di diritto, di una cornice all'interno della quale far nascere una diversa comunità di cittadini in cerca di riforma politica.


È l'evoluzione di un dissenso, insomma, sempre meno solitario e individuale. La costruzione di una cultura politica comune che nei diversi contesti nazionali arabi sta dunque passando anche attraverso i blog, la via più semplice ed economicamente accessibile di collazionare pensieri e persone, e di aggirare per quanto possibile la censura delle autorità di governo. È la via contemporanea di unificare il dissenso attraverso la diffusione di e-samizdat, di samizdat virtuali, com'è successo – richiamando un paragone forse troppo imponente in questa fase, ma sicuramente paradigmatico – in quel periodo a cavallo tra gli anni settanta e ottanta nell'Europa orientale soggetta ai regimi filosovietici, sino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989. Al posto di una macchina per scrivere o di una penna per copiare i samizdat proibiti, Internet si è rivelato uno strumento molto più pratico per riprodurre e disseminare copie di testi fuori dai canali culturali istituzionali. Non solo in arabo, ma anche nel vecchio linguaggio dei colonizzatori, in inglese o in francese.


Il paragone con il dissenso dell'Europa orientale risulta interessante per comprendere quello che, in gruppi ancora marginali ed elitari, sta succedendo in una società– come quella araba – che viene invece spesso ritenuta in Occidente totalmente stagnante e priva di spinte culturali endogene. In Polonia, in Cecoslovacchia, in Ungheria, gruppi molto ristretti di intellettuali hanno diffuso il dissenso attraverso strumenti di comunicazione antistituzionali, con una produzione letteraria e culturale di rilievo, passata attraverso il mondo dei samizdat. Opere culturali di vario tipo, che passavano di mano in mano tra i dissidenti e che venivano – seppure con estrema cautela – usati anche per coinvolgere altre persone dentro la dissidenza. Manoscritti, o più spesso dattiloscritti in casa, di notte, da ogni singolo lettore, che riproduceva per sé una copia del samizdat per poi passarlo al lettore seguente. Costituendo, in questo modo, una biblioteca personale, privata ed estremamente pericolosa per l'incolumità del proprietario. I samizdat non furono soltanto, con la loro diffusione, uno dei perni della dissidenza dell'Europa dell'Est. Furono anche il background teorico delle dirigenze che, soprattutto nel primo periodo dopo la caduta della Cortina di ferro, arrivarono al potere per sostituire i regimi comunisti. Non solo. Furono proprio i più importanti autori di samizdat ad andare al potere. Come dimostra il caso esemplare e indimenticato di Vaclav Havel, il cui Moc bezmocny´ch [Il potere dei senza-potere], samizdat del 1978, venne considerato, prima e dopo il 1989, uno dei manifesti dell'opposizione ai regimi filosovietici dell'Europa orientale.


Come per l'Europa dell'Est, anche nel caso del mondo arabo la dissidenza è estremamente elitaria. Nessuna saldatura, insomma, si è verificata tra le masse e l'intellighentsjia, sul tipo di quella costituita da un esempio solitario quanto fondamentale, vale a dire la Polonia di SolidarnoÊç. A differenza dell'Europa dell'Est, invece, la scrittura virtuale del dissenso arabo, sia essa di carattere artistico o politico, all'inizio è stata in genere anonima o sotto pseudonimo. I blogger, insomma, hanno spesso celato la propria identità dietro un nome fittizio, evocativo o meno, per sfuggire alla censura e alle maglie dei regimi nazionali, alcuni dei quali stanno dimostrando – anche in questi ultimi giorni – di non gradire la diffusione del fenomeno. È, comunque, proprio la saldatura tra blog e anonimato a essere considerata da alcuni dei protagonisti come l'elemento di "novità nella discussione pubblica tra individui su qualsiasi argomento". Una differenza fondamentale con i samizdat, che avevano sì circolazione clandestina ma, nello stesso tempo, avevano un autore che, con il suo nome e cognome reale, esprimeva la potenza della sua opposizione.


Eppure, per quanto anonimi, alcuni esponenti del dissenso arabo mantengono intatta la loro forza. È il caso dell'egiziana Baheyya, di baheyya.blogspot.com, una delle blogger più amate non solo entro i confini nazionali, ma anche dalla schiera dell'intellighentsjia araba non solo virtuale. Baheyya non è un'artista, ma i suoi brevi scritti sono considerati tra i più incisivi nell'analisi politologica della situazione egiziana. È per questo che Baheyya, che alcune fonti ritengono sia una ricercatrice universitaria, è diventata la musa ispiratrice dei blogger più giovani e con un bagaglio culturale non specifico. Quelli che, peraltro, si stanno spostando dalla e-dissidenza all'opposizione reale, in un passaggio inatteso e non condiviso da tutti gli internauti. Questo passaggio riguarda soprattutto alcuni dei blogger egiziani più in vista, come Alaa, uno dei due fondatori del principale aggregator, manalaa.net, arrestato nella primavera del 2006 per aver partecipato a una manifestazione di piazza a sostegno dei giudici contro il regime di Mubarak e rimasto in prigione nei pressi del Cairo per oltre un mese. Un'esperienza, questa, che ha inciso sulla stessa direzione in cui la e-dissidenza si sta muovendo in Egitto, soprattutto a seguito della presa di posizione pubblica del laicissimo Alaa, all'anagrafe Alaa Abd El Fattah, a favore dei Fratelli musulmani. Dopo aver conosciuto dietro le sbarre giovani militanti del più grande movimento islamista del mondo arabo, Alaa ha scritto per il loro sito, ikhwanweb.net, una lettera che era più di una professione di amicizia ed empatia, sembrava piuttosto la piattaforma per un'alleanza tra la sinistra post-marxista e gli islamisti, punto di partenza per una discussione virtuale sul futuro dell'opposizione in Egitto.


Il caso di Alaa è solo quello più eclatante, ed è esemplare per descrivere il passaggio dei blogger dal web alla piazza. Alcuni degli autori dei "diari virtuali" hanno infatti abbandonato la scrivania e hanno deciso di scendere, soprattutto durante la campagna elettorale che ha preceduto la riconferma a presidente di Hosni Mubarak, nelle strade del Cairo. In particolare nelle manifestazioni di Kifaya. Sono stati questi i luoghi in cui i blogger hanno calato la maschera della Rete e svelato la loro identità reale, dando inizio a una comunità non più solo virtuale, che però non dimentica Internet. Anzi. Continua a usare i blog sia per veicolare informazioni, sia per raccontare il passaggio alla realtà della loro comunicazione via web. La necessità di incontrarsi anche fuori dall'agorà online, così come le notizie diffuse in Rete, è indice di una blogosfera araba meno individualista di quella occidentale. Mostra una comunità di lettori e scrittori che interviene molto, inviando commenti, linkando e accogliendo con sollecitudine i nuovi blogger. Indica un bisogno di aggregazione e di crescita, evidente nell'Internet arabo, dettato spesso da una percezione diffusa di isolamento e di incomprensione da parte del mondo oltre i confini della regione."

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Published on January 13, 2011 10:24
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