Bisogna dar retta all'istinto

Alessandra mi telefona all'una del pomeriggio. "Stai partendo?", chiede.Io guardo la neve che scende da oltre la finestra  e immagino il caos in città, il traffico convulso, le code ai semafori. "Non ancora" rispondo. "Non riesco a trovare un taxi per la stazione." La gente si stupisce sempre, ma non ho la patente e da casa mia alla stazione, o mi danno un passaggio o prendo un taxi, soprattutto in giornate come queste. "Quindi ho spostato il treno" aggiungo. Poi chiedo. "Sei sicura che devo venire? Perché ha l'aria di essere una di quelle giornatine... magari spostiamo." Alessandra mi spiega che il Festival Black Metropolitan Noir di Roma lo stanno organizzando da mesi e so che è vero, che si sono sbattuti. E io ho promesso di esserci. Non fosse che si tratta di una situazione di base autogestita eccetera tirerei il pacco. Perché lo so. So che sarà una fregatura. Lo sento.  Perché in giornate come quelle di ieri non si fanno le cose. Non si viaggia, non si presenta, non si organizzano incontri. Si sta a casa con la copertina fino al naso e una bottiglia di brandy. Invece attacco con Alessandra e mi riattacco con il numero del radiotaxi. Rispondono dopo un'ora di segnale occupato costante, arrivo in stazione che ho perso anche il treno successivo, prendo quello dopo. Penso che arriverò alle sei a Roma, giusto in tempo per la presentazione alle Officine Marconi alle diciannove. Certo, salterò l'intervista a Radio Città Futura, che si rifiuta di farmela via telefono, ma sticazzi. 


Il treno si blocca a Firenze e arriva a Roma con un'ora e mezza di ritardo. In pratica, arrivo in stazione quando avrei dovuto cominciare a parlare dall'altra parte della città. Alessandra viene a prendermi con l'auto e attraversiamo una Roma intasata come la camera da letto di Berlusconi: non ci si muove. Alessandra, che mi concede di fumare in auto visto il mio nervosismo. Mi spiega che la presentazione è stata spostata alla 21, e che coinciderà con quello che doveva essere l'inizio del reading, dove un attore leggerà alcune pagine tratte dal mio ultimo romanzo. Così ho il tempo per mangiare qualcosa prima. Arriviamo alle Officine Marconi sotto la pioggia battente. Le Officine Marconi sono un bellissimo edificio di archeologia industriale in zona Tuscolana, che viene affittato o concesso a gruppi dal comune per iniziative culturali. C'era un progetto per trasformarlo in un centro culturale di zona, con cinema per bambini (e credetemi quella zona ne avrebbe molto bisogno), ma poi sono stati tagliati i fondi e arrivederci e grazie. E' enorme, con ganci di metallo che pendono dal soffitto. E gelido. Il responsabile delle caldaie è arrivato con quattro ore di ritardo, perché è rimasto bloccato nel traffico. Mangiamo al piano superiore, in una sorta di sala mensa. Fredda, ma il cibo è buono. Se conto anche me e i ragazzi del Cortocircuito che fanno i cucinieri, e sono bravi, ci sono in tutto venti persone, tutte di staff. Alle 21  arriva anche Sozzo, di Radio Popolare Roma, che mi doveva introdurre. Simpatico, ha letto tutto, e so che si è preparato una bella introduzione. Peccato che non c'è nessuno a cui introdurmi. Alessandra sta per giustificarsi, e so che la frase che sta per uscirle dalla bocca è "Eppure ieri sera con i Wu Ming c'era un bel po' di gente" ma la blocco minacciandola con la forchetta di plastica. 


Alle 21 3e 30 mi rifiuto di piazzarmi sul palco per parlare allo staff, e ci sediamo invece su alcuni divanetti posti a semicerchio accanto alla libreria dove nessuno comprerà alcun libro. Mi racconto alla decina di persone che mi stanno attorno. Il resto del posto rimane vuoto e spettrale, rischiarato a tratti dai lampi che attraversano le vetrate. Alle undici assisto al reading del libro, insieme più o meno alle stesse persone. L'attore è bravo, ma il pubblico (?) gelido, forse perché sono amici suoi o si conoscono. Non lo applaudono quasi mai e se ne vanno alla spicciolata durante i momenti più drammatici della lettura. Eppure legge bene, penso. Penso che forse è quello che legge che non interessa. Mentre le parole che ho scritto mi entrano nelle orecchie, penso che forse dovrei cambiare mestiere (lo penso sempre quando le serate vanno male). Magari andare al grande fratello o all'isola dei famosi, così sarei certo di trovare qualcuno quando attraverso mezza Italia per fare una presentazione. Mi pagherebbero per fare l'uomo immagine nelle discoteche, anche...


A mezzanotte comincia il concerto. Declino. Mi trasportano dall'altro lato della città, dove alle 22.30 avevo promesso di passare per una cena di natale. Quando arrivo, con due ore di ritardo, sono tutti mezzi sbronzi, o sbronzi del tutto, e ballano i  lenti sotto. Mi siedo in un angolo e mi verso un  bicchiere di vodka. Un grosso bicchiere di vodka.

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Published on December 18, 2010 02:48
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Sandrone Dazieri
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