Critiche
Come ho già avuto modo di dirvi, casa mia tre sere la
settimana si trasforma in una visione collettiva di serie tv in lingua inglese.
Un po' per la curiosità di scoprire quello che propone la tv di oltreoceano od oltre
manica, un po' per il piacere puro dell'intrattenimento. La visione procede
sino alle due di notte circa, e le serie più gettonate sono quelle che tengono
insieme le diverse richieste dei membri della platea, che vanno dalla storia coinvolgente
ai personaggi che bucano lo schermo. Ecco le quattro che Casa Dazieri ha
seguito recentemente. Il finale non lo racconto, perché sono serie che non so
se avete visto e in alcuni casi non ancora trasmesse in lingua italiana. Ma
qualche spoiler qua e là ci casca. Siete avvisati.
PERSONS UNKNOWN
E' una di quelle serie basate su uno spunto iniziale che
risponde alla domanda: cosa succederebbe se… o per gli anglofili What If. Cosa succederebbe se atterrassero gli alieni
(Visitors)? Cosa succederebbe se scoppiasse una bomba nucleare e un paesino
rimanesse isolato (Jerico)? Cosa succederebbe se una tizia salisse in aereo con
la figlia e poi la figlia, sparisse e nessuno si ricordasse di averla vista
(questa non è una serie, ma un film, Fightplan). Sia chiaro, tutti i film e le
serie con una forte storia orizzontale partono da un evento iniziale scatenante, ma in alcuni casi, come quelli
che ho scritto qui sopra, l'evento scatenante è la serie. Due sono i problemi che una serie di questo tipo può avere: se l'evento scatenante non viene gestito producendo altri eventi e colpi di
scena crescenti, facendo nel contempo crescere i personaggi, la serie implode, come accadde per
Jerico (dove dopo un po' dei guai dei protagonisti non te ne fregava più
nulla). Oppure, se per tenere l'attenzione si costruiscono colpi di
scena sempre più improbabili, alla fine la sospensione dell'incredulità svanisce (tipo Lost e Fightplan,
per esempio). E il finale risulta abborracciato, perché tutti i fili che penzolano non si riescono più ad annodare. Questa lunga premessa solo per dire che Persons Unknown riesce nel difficile
intento di mancare entrambi i bersagli. L'evento scatenante è semplice da
raccontare, (deve essere sempre semplice, la famosa riga che il produttore
legge). Sette sconosciuti si risvegliano nel motel di una cittadina che sembra
il set di un film ambientato negli anni cinquanta. Non sanno perché sono lì, né
chi li ha rapiti, sono costantemente sorvegliati e non possono fuggire. La
cittadina è deserta, a parte un gruppo di cuochi e camerieri cinesi che dà loro
da mangiare, ma non parla la loro lingua, e un direttore d'albergo che spiega
di non sapere nulla. Se provano a scappare vengono colpiti a distanza o
drogati. Tra i prigionieri nascono alleanze e rivalità, mentre cominciano a capire
che forse uno di loro è un traditore. Intanto, una coppia di giornalisti cerca
di indagare sulla scomparsa di uno dei sette, scoprendo la mano di una setta
segreta potentissima, che cancella abilmente le proprie tracce.
Questo il plot. La prima puntata è intrigante. Cosa
succederà, cosa scopriranno, chi sono i cattivi? Riusciranno a fuggire? Il
problema è che, dopo un paio di puntate, la serie comincia a girare a vuoto. I
colpi di scena non sono tanto colpi di scena, e per lo più il tempo viene
passato con questi che parlano dei cavoli loro, senza che tu venga più di tanto
coinvolto. E affiorano rapidamente le implausibilità. Sei prigioniero, vieni
accudito da un direttore d'albergo che dice di non sapere nulla ma che
evidentemente sa qualcosa? Bé, nella vita reale questo direttore lo riempiresti di cazzotti finché non parla. Ci provano anche loro all'inizio, ma
poi stranamente smettono, e non ci provano più. E nemmeno perquisiscono le sue
stanze. Questo non è credibile. Quando scoprono che uno di loro è un traditore
(avviene abbastanza presto nella serie) pensano di costringerlo a parlare ma
poi desistono, e lui non è certo il Ben di Lost, che riusciva a menare tutti
per il naso (nelle prime stagioni). Il problema della serie è, in buona
sostanza, la scrittura. Il soggetto era troppo risicato per fare una serie di
tredici puntate e risulta eccessivamente diluito. Fosse stata una miniserie di
due, si sarebbe salvato, così è chiaramente sforzato e debole. I motivi di interesse vanno scemando di puntata in puntata, e il pubblico americano, che l'ha abbandonato, se n'è accorto. VOTO DELLA CASA: 4
BEING HUMAN
Sono stato un ammiratore fervente di Buffy, che ho citato
molto spesso anche nei miei romanzi (nel racconto Sesso sui sassi uno dei
protagonisti è un fanatico ammiratore della Cacciatrice), ma da allora, devo
ammettere, nessuna serie con vampiri e affini è riuscita a coinvolgermi.
Soprattutto l'ultima leva tutta amorazzi e sospiri (da True Blood a Twilight,
che rimangono ottimi prodotti). Ma Being Human è qualcosa di differente.
Intanto è una serie inglese: quindi meno effetti speciali e più recitazione.
Poi i protagonisti sono splendidi. E' sostanzialmente una sitcom del tipo Tre
cuori in affitto, solo che i tre cuori sono
quelli di un vampiro, di un licantropo e del fantasma di una ragazza, che
convivono nella casetta dove quest'ultima abitava con il suo fidanzato prima di
morire, e ancora sospira per lui. A differenza dei licantropi e vampiri che
siamo abituati a vedere ultimamente, però, quelli di Being Human non sono
particolarmente attraenti. Oddio, il vampiro è abbastanza belloccio, ma non
molto cool, soprattutto perché cerca di non ammazzare la gente, ma non ci
riesce sempre, mentre il licantropo è decisamente imbranato. Entrambi lavorano
in ospedale, infermiere e inserviente (altro lavoro poco cool) e con il fatto
che evitano di andare con le donne per paura di accopparle al momento
dell'orgasmo, l'aria che si respira tra i due è quella di una coppia gay che
finge di essere etero. La serie riesce a passare dall'umorismo sbracato, a
quello raffinato, alla commozione all'orrore vero e proprio, e possiede anche
una sottile trama orizzontale che tiene insieme le puntate (una sorta di complotto
dei vampiri cattivi). C'è anche un po' di filosofia (chi siamo e dove andiamo)
che non guasta. VOTO DELLA CASA: 8
RUBICON
Immaginate un Office senza umorismo, con le spie che altro
non sono che grigi burocrati, e una premessa alla Tre giorni del Condor. Il
protagonista è un analista dei servizi segreti, che scopre un codice nascosto
tra le parole crociate. Questa scoperta porta alla morte del suo capo, che era
anche suo suocero e forse non è proprio morto. Il protagonista continua allora
a indagare di nascosto, mentre si capisce un po' alla volta che cosa significa
quel codice. Per il resto, grigia vita da ufficio, tra analisti abituati ad
analizzare informazioni di varia natura nascoste tra testi di ogni genere, e
che lentamente sono diventati un po' schizzati e vagamente autistici. Va anche
aggiunto che i colpi di scena sono pochissimi, e che la trama orizzontale si
snoda con lentezza impressionante, che le bizzarie degli agenti sono molto
lontani da quelle, per esempio, molto plateali di Numbers. L'azione è zero, o
quasi. Descritta così sembrerebbe una serie soporifera, ma non lo è. Merito
della scrittura, che riesce a costruire personaggi di grande spessore e
dialoghi ottimi, e della regia, che mantiene sempre un'aria di sottile
paranoia. Riesce a creare tensione con poco, basta l'inquadratura di un piede
in una telecamera di sorveglianza. Insomma, siamo dalle parti di Le Carré, più
che di 24. Per ora siamo arrivati alla quarta puntata. Se continua così, direi
che è una delle serie più belle della stagione. VOTO DELLA CASA: 9
NERO WOLFE
Di Nero Wolfe, il personaggio creato da Rex Stout, ho visto
tre riduzioni per la televisione. La prima era quella italiana con Paolo
Ferrari e Tino Buazzelli degli anni Sessanta. Da bambino mi colpì, ma da adulto
la trovo inguardabile. Gli attori sono ottimi, ma l'impianto teatrale e da
commedia, dove tutti i personaggi finiscono per essere macchiette, la rendono
davvero datata. Poi è leeenta. La seconda era
quella con William Conrad degli anni Ottanta, che stravolgeva totalmente il protagonista
tentando di aggiornarlo, con risultati patetici e innervosenti, e la terza è
questa, con Timothy Hutton (che firma in molti casi anche regia e
sceneggiatura) e Maury Chaykin ed è PERFETTA. Perfetta per chi ha amato i
libri, naturalmente, dei quali mantiene la struttura sino alla voce off che
riprende il testo scritto. Le storie raccontano le avventure di una coppia di
investigatori degli anni Trenta/Quaranta. Nero Wolfe, grasso, eccentrico,
burbero e geniale, e il suo assistente Archie Goodwin, faccia da schiaffi,
simpatico, uomo d'azione; in ogni episodio la Wolfe risolve un caso di
omicidio incassando un lauto compenso da un cliente. L'impianto è quello del
mistery classico, con tanto di sospettati riuniti in una stanza alla fine della
puntata, e deve piacervi il genere, ma per me che su quei gialli mi sono
formato, è un piacevole ritorno. Nota di merito per lo scenografo, che
costruisce eccellenti ambienti Art Deco, e per la colonna sonora. VOTO DELLA
CASA (ma lo guardiamo solo io e mia moglie): 10
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