Perché a Gerusalemme. Perché ora

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Succede ora, ciò che succede a Gerusalemme, perché non è la città magica e pacificata che molti – quasi tutti – si immaginano. Diffidate dalle descrizioni enfatiche. Gerusalemme, da anni, è altro. Ha nuova coordinate, una mappa difficile da leggere, confini visibili e invisibili. E soprattutto muri. Quella che segue è una descrizione contenuta nel mio libro, Gerusalemme senza Dio. È un primo vademecum, per comprendere perché nulla scoppia a sorpresa, a Gerusalemme.


“La prima cosa che scorgevano, i viaggiatori che si sono affastellati nei secoli di pellegrinaggi in Terrasanta, così come gli uomini e le donne che vivevano nei villaggi del contado, erano le Mura cinquecentesche di Solimano il Magnifico, le torri, le cupole. La Città Vecchia, insomma. Non più, ora. Gerusalemme non è più una città provinciale, com’è stata sino al periodo ottomano, lontana anni luce dai grandi centri in cui si faceva la politica e anche la cultura nel Levante. Damasco, Aleppo, Baghdad, Beirut. È divenuta una città popolosa ed estesa, la più grande di tutto Israele, e questa trasformazione – da centro urbano tutto sommato provinciale alla capitale di Israele, dunque di una delle due parti politiche che si fanno la guerra – è dovuta essenzialmente al conflitto. Senza la necessità di controllare la città, i suoi confini e la sua demografia, molto probabilmente non ci sarebbe stata l’espansione così rapida che ha portato Gerusalemme a raggiungere, tra israeliani e palestinesi, gli oltre ottocentomila abitanti, quasi il doppio rispetto alla popolazione residente nel 1983.


Così la Città Vecchia, in questa nuova configurazione urbana, non è più la città nella sua interezza. La città compiuta e racchiusa entro le antiche mura. Ne è, semmai, il cuore ancora spaccato, fra templi, luoghi santi, mercati, tensioni, fiammate di violenza. Le mura, dunque, sono nascoste all’interno di una composizione urbana molto più complessa, e ampia. Una normale città contemporanea, si direbbe, in cui il vecchio centro storico rimane compresso dalle periferie. Certo, è così anche per Gerusalemme. Il paradosso della storia, però, vuole che ancora oggi, a circa un secolo e mezzo di distanza dai grandi tour dei pellegrini europei, la Gerusalemme che appare agli occhi dei viag- giatori sia una città fortificata. Antimoderna, se si vuole. La città nelle mura. Non quelle antiche, che contengono semmai ora “solo” la dimensione religiosa e turistica di uno dei luoghi più contesi del mondo. Ma la città del Terzo millennio, ampia, racchiusa nel Muro, muro di separazio- ne per i palestinesi e “barriera difensiva” per gli israeliani. Muro, checkpoint, ingressi vigilati, terminal…


Dopo un periodo di apertura alla modernità, tra la fine dell’Impero ottomano e l’inizio del Mandato britannico, in cui si cominciò a costruire fuori dalle mura e dalle porte, Gerusalemme torna dunque alla dimensione premoderna e si cinge nuovamente di mura. Stavolta di cemento. Ancora più alte. E come succedeva sino al 1873, chiude anche le porte che immettono nella città, per proteggersi dall’esterno. Il Muro, stavolta, è quello costruito nell’ultimo decennio da Israele: cemento armato che penetra dentro la città, taglia fuori la Tomba di Lazzaro e arriva sino a un chilometro e mezzo in linea d’aria dalle antiche mura, inerpicandosi poi come un serpente per chiudere l’università palestinese di Gerusalemme, guidata da Sari Nusseibeh, l’ateneo di Al Quds. E poi, a meridione, la barriera di cemento separa la città da quella che, nei secoli, è stata la sua appendice, Betlemme, ora rinchiusa come in cul de sac grigio e imponente, un serpente di cemento armato che divide e lacera il tessuto familiare della popolazione palestinese. Accade addirittura, e non di rado, che il marito sia al di qua del Muro e la moglie al di là, o viceversa. Che i figli rimangano con uno dei genitori, a seconda del docu- mento di identità che posseggono, o che la famiglia rimanga unita perché uno dei genitori vive in clandestinità, per poter rimanere con il coniuge e la prole.


È un muro che si mostra al viaggiatore, al residente, all’abitante attraverso forme diverse: le lastre prefabbricate di cemento alte sino a nove metri, i reticolati, e poi i terminal, le porte di sicurezza che immettono nella città da tutti i punti cardinali. I cosiddetti “checkpoint”, tutto fuorché un controllo di sicurezza volante: al contrario, veri e propri passaggi di confine, che spesso – però – sono stati costruiti su territorio palestinese e, anche dentro la città, non separano israeliani da palestinesi. Bensì palestinesi da palestinesi, come succede a Betlemme, e come succede verso Ramallah, al passaggio di Qalandya.


Che il paradigma non sia cambiato, e cioè che Gerusalemme sia ancora una fortezza, alla stregua di un accastellamento di stampo medievale, lo si comprende subito, quando ci si giunge da Tel Aviv. L’arrivo è all’interno di un corridoio d’asfalto. Soprattutto se si prende l’Autostrada 443 che corre dentro la Cisgiordania ma che ai palestinesi è consentito percorrere per soli trenta chilometri circa. Un corridoio fatto da un’autostrada a tratti chiusa da muri, a destra e a sinistra. E quando non sono muri sono reticolati. Benvenuti nell’isola-fortezza di Gerusalemme. O me-glio, benvenuti nell’arcipelago, composto da isole e da enclave, da luoghi del potere che comunicano con il resto del mondo e luoghi dei “senzapotere” che, al contrario, hanno con l’esterno solo una comunicazione concessa o vietata da chi amministra lo spazio. Alla stregua dei resort turistici o delle “zone verdi” in città come Baghdad o Kabul, lo spazio di chi ha potere dentro Gerusalemme è uno spazio chiuso, protetto, che però non crea problemi a chi lo vive e lo abita. Tanto per esemplificare: un abitante israeliano di Gerusalemme può recarsi senza alcun problema a Tel Aviv, all’aeroporto, al mare. Un palestinese che risiede in un quartiere di Gerusalemme Est, ad esempio Issawiya, potrebbe trovarsi la mattina – senza alcun preavviso – la strada che congiunge il suo quartiere alla città chiusa da un checkpoint volante della polizia, e gli potrebbe venire negato l’accesso al resto di Gerusalemme.


La Gerusalemme del Terzo millennio è divenuta un contenitore in cui è presente un arcipelago di isole collegate tra loro, comunicanti, anche piacevoli, e una città nella quale, allo stesso tempo, esistono enclave controllate da chi amministra lo spazio urbano. Il contenitore, la città Gerusalemme, è inoltre uno spazio – urbano – chiuso verso l’esterno da ponti levatoi che oggi, inchinandosi agli anglismi, si chiamano “checkpoint”.”


la splendida foto è di Eduardo Castaldo, come le altre contenute nel mio libro sono state il prezioso regalo fattomi dagli amici fotografi. Uomini e donne che hanno già visto questa Gerusalemme oltre il mito

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Published on July 05, 2014 10:36
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