Due interventi su Erich Priebke

2. il manifesto 16 ottobre 2010 “Vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo”, dice Antonio, nel Giulio Cesare di Shakespeare. Ma finge, e la sepoltura i trasforma in sovversivo elogio funebre. Allo stesso modo, apertamente, gli eredi neonazisti di Erich Priebke non vengono a seppellirlo ma a pretendere di lodarlo. La questione della sepoltura si è posta subito dopo il ritrovamento dei corpi degli uccisi alle Fosse Ardeatine. Mi raccontava la signora Vera Simoni, figlia del generale Simone Simore (torturato a via Tasso e ucciso alle Fosse Ardeatine) che il generale John Pollock, comandante delle truppe alleate dopo la liberazione di Roma, aveva pensato che, visto che i corpi erano già sotterrati, si potevano lasciare lì e costruirci sopra un monumento. Ma sua madre, e altre vedove delle Ardeatine, si opposero: noi vogliamo il riconoscimento di tutti, uno per uno, dissero. Da lì cominciò lì il tremendo lavoro del professor Attilio Ascarelli, dei suoi collaboratori, e dei familiari in lutto, per tirar fuori i corpi dalla terra, riconoscerli, e finalmente seppellirli. Sotterrare non è lo stesso che seppellire: di mezzo, scrive Ernesto deMartino, c’è il pianto e c’è il rito, che servono a far passare la perdita in valore. Per questo le spoglie di Erich Priebke sono un problema così grande. Da un lato, c’è la questione di disporre di un corpo - - magari, per certi cristiani, anche di pregare per la sua anima, cosa a cui anche i peggiori assassini hanno diritto (anche se sospetto che nel caso di questo peccatore non pentito non servirà a molto). Dall’altro, c’è il problema del rito: quale valore pensano di estrarre da questo passaggio i preti lefebvriani e i neonazisti, se non la pubblica proclamazione ed elogio dei perversi e protervi “valori” per i quali Priebke ha ucciso? (sarà una coincidenza, ma per parecchio tempo Albano, la cittadina dei Castelli Romani dove si vuole celebrare il funerale, è stato terreno di caccia dei neonazisti e fondamentalisti di Militia. Il loro leader Paolo Boccacci viveva lì, e già altre volte i cittadini democratici sono dovuti intervenire materialmente per impedire sfilate neonaziste in paese). E infine: c’è il pianto. C’è qualcuno che davvero piange per Erich Priebke? Non noi, non le famiglie delle sue vittime (qualcuno dice di avere perdonato, altri non perdoneranno mai: sono scelte profonde che spettano a ciascun individuo); nemmeno suo figlio, stando a quello che dice a i giornali. E certamente non i suoi manipolatori e le squadracce neonaziste, per i quali Erich Priebke già da vivo – ma sempre incapace di capire e di sentire - era meno e più di una persona, un docile fantoccio da esibire a comando, e adesso da morto è solo un’occasione. Viene da averne pena. Sotterriamolo e, senza dimenticare niente, lasciamolo lì. 3. Il manifesto 17 ottobre 2010 Racconta Lorenzo Foschi, antifascista di Albano: “Qui c’è un certo Boccacci, Maurizio Boccacci, che è di Albano, e qualche anno fa ha fatto addirittura una manifestazione nazionale della Fiamma Tricolore: settantotto persone in giro per il corso in una città militarizzata dalla sera prima alla nottata dopo... Io mi ricordo, andai in piazza, cominciò ‘sto corteo, li contai: erano settantotto, e c'erano cinquemila persone venute lì per protestare, sulle scalette della sezione, sulle vie laterali che scendono verso il corso – tutta la cittadinanza, saranno state mille persone. Come comincia il passaggio del corteo cominciamo a cantare Bella ciao. Un coro fragoroso, un fragoroso coro di Bella ciao. Un individuo si stacca dal corteo, si mette sotto la sezione e ci fa il segno che ci tagliava la gola. Non ti rendi conto di quello poteva succedere in quel momento – abbiamo aiutato il servizio d’ordine a tenere ferma la gente, perché se no lì succedeva un casino: settantotto ragazzotti, più di mille di noi, che poteva succedere? Fortunatamente, eccetto un paio di cariche dove s'erano dati appuntamento i centri sociali, poi è finita lì”. Bella Ciao ad Albano l’hanno cantata anche davanti alla bara di Erich Priebke, che pretendeva nella loro città gli omaggi funebri, e anche adesso sono tornati a scontrarsi con le provocazioni nazifasciste. L’antica cintura rossa dei Castelli Romani ha visto passare molta acqua sotto i ponti dal tempo delle grandi lotte bracciantili, della Resistenza, delle occupazioni delle terre. L’espansione di Roma ha in parte diluito le roccheforti rosse come Albano o Genzano facendone propaggini della periferia metropolitana, ma non ha cancellato tutto. Quelli che sono andati in strada ieri erano, certo, i discendenti della lotta partigiana e dei suoi protagonisti indimenticabili – Severino Spaccatrosi, Salvatore Capogrossi, Alberto Cavaglion…. Era, oggi come allora, il senso comune profondo della città che si ribellava. Raccontavano allora altri compagni: “Dalla finestra, un paio di signore hanno cominciato ad urlare “fascisti di merda”, e molti padri di famiglia con i loro figli si sono uniti al presidio antifa, urlando slogan contro la Fiamma e contro il sindaco [di destra] che ha permesso una manifestazione di questo tipo”. E’ successo di nuovo; ma non erano lì per il passato o per la memoria: erano lì per il presente, per la politica e per la dignità di tutti. E’ uno strano paese il nostro. Risponde con uno schieramento militare alla morte di massa nel Mediterraneo, insulta la ministra Kyenge, butta l’acido muriatico sui bambini Rom, erige monumenti al criminale di guerra Rodolfo Graziani, e poi si prodiga in cerimonie, commemorazioni, alate parole sulla memoria – che peraltro incidono relativamente poco: basta sentire la radio in questi giorni per accorgerci di quanti ascoltatori distolgono lo sguardo dal massacro delle Ardeatine per ripetere i soliti falsi racconti antipartigiani su via Rasella. Abbiamo orrore dell’antisemitismo, facciamo leggi contro il negazionismo, e poi sentiamo un presunto un prete cristiano affermare che Priebke “è l’unico innocente dietro le sbarre” – mentendo tre volte, perché Priebke non è innocente, perché dietro le sbarre non c’è stato mai, e perché di innocenti in galera l’Italia è piena. In questo contesto, la protesta di Albano e dintorni è stata una ventata improvvisa di verità. Li dobbiamo solo ringraziare.
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Published on October 17, 2013 03:55
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Alessandro Portelli
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