E’ sullo scaffale


Non è tanto lo spazio, di cui ho nostalgia. E’ il tempo, il tempo di Gerusalemme che rimpiango. E a scandire il tempo del giorno, cinque volte al giorno, era un canto. In arabo si chiama adhan.


“Il suono dell’adhan, della chiamata alla preghiera, è il ritmo naturale che viene ricordato a noi singoli, distratti. Ci viene ricordato che è l’alba di un nuovo giorno, che è arrivata la metà della giornata, che è già tramonto, che tra un po’ si va a dormire. Uno scandalo, a pensarci bene. Perché questa divisione antica è percepita, dall’uomo postmoderno, come una semplice costrizione. Costretti in un tempo considerato arcaico, proprio quando la concezione postmoderna considera del tutto crollati i muri che contenevano il tempo. Si può mangiare quando si vuole, svegliarsi tardi, saltare la colazione e inventarsi il brunch, tenersi leggeri a pranzo con un panino veloce e magari cenare tardi la sera per riuscire a vedere gli amici. Si possono saltare i ritmi antichi e inventarsi i propri, di intervalli. Perché mai dover cedere al ricatto di un tempo preordinato, e per giunta imposto da una fede?


Eppure, nonostante il mio tempo singolo sia dichiaratamente postmoderno, quella chiamata alla preghiera è stata tanto preziosa da riportarmi anche oggi, che a Gerusalemme non sono più, ai tempi veri, per alcuni versi più consoni a una natura che abbiamo violentato con gli anni e i secoli. Il ritmo è l’eredità che la Città Tre Volte Santa mi ha lasciato, incastrata ormai nella mia carne”.


Qualche riga del prologo, giusto per spiegare lo spirito e l’empatia con cui questo libro è stato scritto.

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Published on September 03, 2013 16:07
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