Un’Idea per Sambuca
Dicono, in molti, che io sia testarda. Testarda, e magari anche un po’ particolare. Non foss’altro perché ho deciso di venire a vivere in un piccolo paese, abbandonando un luogo mitico come Gerusalemme. Abbandonando una vita di certo meno noiosa e regolata. È una decisione nata da una riflessione ponderata. E da numerose ragioni. Compresa una, se si vuole, più politica.
Dall’estero, ho contestato le scelte degli italiani che in Italia sono rimasti. Sono rimasta sconcertata dalle scelte di questi ultimi dieci anni, nello stesso modo in cui, dal l’esilio, gli antifascisti contestavano dal l’esilio di Londra o Parigi il comportamento di chi viveva nei confini nazionali. A cinquant’anni, ho pensato che fosse giunto il momento di condividere le responsabilità di chi era rimasto. E fare qualcosa non solo per il Medio Oriente, nel mio ruolo di testimone. Ma per questo mio povero Paese.
Continuo infatti – testardamente – a credere che questa nostra Italia malandata e ferita, senza timoni, si possa ricostruire dalla sua periferia. E dunque anche dai paesi. Paesi come Sambuca di Sicilia. Zabut, come mi piacerebbe fosse di nuovo chiamata, secondo il suo antico nome. Non si tratta di un facile ottimismo, né delle follie di una esule tornata in patria. Se penso alla necessità di ricostruire il tessuto morale, culturale, economico di Sambuca-Zabut è perché credo fermamente che l’Italia possa rinascere su tre punti-cardine. Anzitutto, dalla dignità. Poi, da un sano e normale concetto dello sviluppo economico. E infine dalla cura di ciò che si ha, non solo come individui, ma come comunità.
Sembra tutto semplice, vero? Non lo è affatto. Significa, per prima cosa, uscire dalla sbornia di questi ultimi vent’anni, in cui tutto sembrava facile. Facile essere il più furbo. Facile aggirare gli ostacoli. Facile essere fuori dalla legge, corrompere, fregare. Tutta questa polvere che abbiamo nascosto sotto il tappeto è ora ben visibile, in termini di debito pubblico, crisi economica, conti che non tornano. E – se vogliamo essere seri e non ipocriti – sappiamo che la responsabilità non è solo dei politici, ma che gli italiani ‘normali’ sono stati complici.
Dunque, cominciamo dalla dignità. Tutti mi ripetono, sul Corso, al panificio, al bar, che quella che vedo non è la Sambuca di un tempo. Ora è sporca, piena di cartacce, degradata. Bene, la vecchia Sambuca era migliore. Non vedo, però, un attivismo personale, individuale, costante per premere sull’amministrazione e pretendere pulizia, raccolta seria dei rifiuti, cura dell’illuminazione pubblica, manutenzione del manto stradale, pulizia delle erbacce. Dignità è anche questo. Non è una parola vacua, senza legame con la vita quotidiana di ognuno di noi. Bisogna tornare a essere cittadini, e non questuanti. Un cittadino non chiede l’elemosina al proprio amministratore. Chiede diritti.
Tra i diritti, c’è anche quello di un impegno serio, da parte di un ente locale, per lo sviluppo del Paese. Impegno serio non vuol dire promettere facili posti di lavoro nell’amministrazione pubblica, che non riesce più ad assorbire altro personale. Né a livello nazionale né a livello locale. Significa avere un’idea per Sambuca-Zabut. Non è un caso che il Teatro porti quel nome, Idea. Erano altri tempi, altra storia e altri protagonisti. Ma il senso di un’idea, di un progetto per il futuro è il medesimo. Sviluppo, a Sambuca, vuol dire fare i conti con quel che si ha, e quello che si può far fruttare. L’agricoltura? Sembra una follia, in un momento in cui si tirano via le vigne… Eppure, tutti sappiamo che la sfida, per questo Paese, è nell’agricoltura sana e di qualità. Quella che si fa pagare cara sui banchi dei mercati delle grandi città, e che ha possibilità di essere esportata senza temere la competizione a basso prezzo. Prodotti agricoli di qualità, biologici, particolari. Cibo sano, proprio quando i giornali sono pieni di notizie sulla contraffazione alimentare.
A Sambuca si può fare poco. Agricoltura. Un ottimo artigianato, che però dovrebbe aggiornarsi e modernizzarsi, e investire sulla formazione. Poco altro. Ma soprattutto si può fare sul senso si se stessi. Su quanto si ha, e spesso si ignora o si detesta, a favore di quello che c’è oltre, oltre la piccola Sambuca, oltre la città, oltre l’Isola. Sviluppo, invece, significa lavorare sulla bellezza di quello che c’era, sui palazzi da mettere a posto con criteri estetici seri, conservando ciò che c’è da conservare. Lavorare sui beni comuni, insomma, sul’acqua e le sorgenti, su un cibo povero, di poco prezzo e però sano e gustoso. Su fonti energetiche rinnovabili, che conservino il territorio e ne facciano una mèta appetibile per turisti seri.
Sogni? Mica tanto. Futuro possibile. Forse, addirittura, l’unico che ci possiamo permettere.
Questo commento è stato pubblicato sullo storico giornale di Zabut, “La Voce di Sambuca”. Incursione, neanche tanto sorprendente, nella piccola realtà siciliana, dunque mediterranea. Perché a Sambuca si può voler bene.


