A “Tu per tu” con Sandra Gesualdi (per Metropoli)
# 1. Per trovare certe parole nei tuoi libri bisogna scavare la terra con le mani nude…
Non lo so se leggere le mie cose fa quest’effetto, ma se la risposta è sì mi sembra una bella immagine. Quel che ti posso dire è che nell’atto della stesura mi piace guardare a due binari: quello estetico, delle parole – e quello sotterraneo, dove c’è l’eco del non detto. Per me un testo funziona e cammina bene soprattutto quando parla da là sotto.
# 2. Spesso i protagonisti dei tuoi romanzi sono ragazzini irrequieti, adolescenti arrabbiati, che cercano il loro posto nel mondo, che fanno a botte col loro mondo troppo stretto, ma dentro sono un’esplosione di progetti, speranze, affetto… In particolare ne Le nostre assenze ce n’è uno senza nome: il protagonista, che riesci a non nominare per tutto il romanzo. Banale se ti chiedo quanto “Sacha” c’è in questi uomini in fieri?
Non ne ho idea. Però è vero: mi interessa molto la materia viva in divenire. L’infanzia e l’adolescenza sono due fasi ovviamente cruciali, in grado di contaminare e quasi “decidere” la tendenza di un’intera esistenza. La purezza che comincia a essere sporcata, qualcosa del genere. Poi ci edifichi una vita sopra. Secondo me è sempre spettacolare quando certi castelli che hai costruito con tanta fatica crollano senza pietà a causa di fondamenta instabili. Se non ti va di spararti sei costretto a rifare tutto da capo. Sei costretto a guardarti con gli occhi che fingi sempre di non avere. Comunque c’è da dire che nei miei libri non parlo solo di ragazzini. Mi piacciono anche i personaggi solidi, risolti (seppure a modo loro), capaci di usare al meglio le loro potenzialità. Senza mai dimenticare una certa “confusione” di fondo. Insomma, solo i cretini e le cretine non hanno paura di niente, per dire. Solo i cretini e le cretine se ne stanno lì, immobili.
# 3. Le nostre assenze lo puoi riassumere in un distillato al cianuro: ”Tutto questo vuoto che si crea tra le persone, spesso senza motivo. Capita che la gente ci veda dentro un mondo, e impazzisce”.
Sì, è qui che batte il cuore puro della storia. Mi piaceva raccontare quel silenzio – spesso ottuso – che capita tra persone che hanno un forte legame e che a causa dei movimenti della vita si perdono di vista. La storia indaga là dentro, dove tutto può fare capo a una semplice incomprensione. Si creano specchi che riflettono realtà deformi, dove l’uno e l’altro personaggio trae le proprie conclusioni, fino a crederci davvero. È roba che accade ogni giorno, nella stragrande maggioranza delle famiglie. Perché siamo imbecilli. Prima di risolvere una questione usando la parola siamo disposti a farci sparare. Ovviamente, più vai avanti e peggio è. E nascono i mostri contemporanei.
#4. Il tuo concepimento narrativo: “Trovare un voce che ti permette di vedere la storia prima nella testa, e poi scriverla”.
Prima della scrittura vera mi interessa la suggestione generale, sentirne a orecchio il portamento, l’intenzione. Di solito quando vado a scrivere ho già il polso della voce che mi serve. E comunque raramente mi metto a lavorare seriamente se prima non percepisco qualcosa all’orizzonte. L’arco deve esserci, anche se confuso e magari incoerente. Durante la stesura, poi, nessuno mi vieta di cambiare strada, rivoluzionare completamente l’idea primordiale. Ma il “tonfo sordo” iniziale deve esserci e restare quello. L’indole della storia, per capirci.
# 5. Curiosità. Il Congo è “il tuo serbatoio estivo di storie”?
Di storie non proprio, ma di personaggi direi di sì. L’angolino caraibico del Congo Bar è ormai un appuntamento quasi imprescindibile: per tre mesi (se posso) mi immergo lì, nella baraonda estiva. Tempo fa lo paragonai a una specie di comune in cui ogni anno ci si ritrova, nonostante le nostre vite, i nostri lavori eccetera. È davvero un po’ così. E poi altrimenti d’estate cosa faccio? Mare-scrittura-scrittura-mare? Te lo immagini che rottura di coglioni senza senso?
Filed under: Cose
Sacha Naspini's Blog
- Sacha Naspini's profile
- 88 followers

