AMICI DI UNA VITA – HISHAM MATAR

Voto: 9/10
Edito: Einaudi
Khaled è nato a Bengasi, dove è cresciuto abbracciato dalla sua famiglia e dalla consapevolezza di essere nel cuore della sua terra, della sua casa, con un’enorme passione per i libri e uno studio approfondito delle interiorità umane.
A diciott’anni vince una borsa di studio per l’università di Edimburgo e così parte, lascia la sua terra, e si trasferisce in un paese straniero, così lontano e così diverso, in cerca di qualcosa.
Quasi casualmente, convinto dall’amico Mustafa, il 17 aprile 1984 si ritrova a Londra, di fronte all’ambasciata libica, fra i protestanti radunati sul marciapiede.
Quei protestanti contro cui venne aperto il fuoco.
E quel momento, unito e mescolato alle sue più grandi amicizie, quella con Mustafa e quella con lo scrittore Hosam Zowa, insieme all’opposizione alla dittatura in Libia di Gheddafi, cambierà per sempre la sua vita.
Come sempre, ho iniziato questo libro senza neanche conoscerne l’argomento.
Come quasi mai, si è rivelata un’esperienza sconvolgente.
Un libro che parla con toni pacati di storie violente e silenzi nascosti, di nostalgia e rammarico, di decisioni prese e scelte subite, dei perenni mutamenti della vita e di quei piccoli dettagli che restano immutati per sempre.
Khaled è un giovane che ama la propria patria, la propria famiglia, le proprie radici e le tradizioni, e quando decide di trasferirsi ad Edimburgo per studiare letteratura non sa ancora che resterà lontano dalla sua terra per più di trent’anni.
La violenza della dittatura libica riuscirà ad inseguirlo fino a Londra, lo tallonerà lungo strade sconosciute e piccoli giardini, passerà lungo i cavi del telefono e fra l’inchiostro di lettere e cartoline, crescerà col fiato sul collo e l’istinto di guardarsi sempre le spalle.
Ma per fortuna troverà prima in Mustafa e poi in Hosam due fratelli esuli, così diversi e così uguali, come due parti della sua stessa anima, indispensabili per la propria completezza.
Nonostante le vite li conducano su sentieri diversi, un filo li unisce, li lega stretti, nonostante i chilometri a dividerli, nonostante gli ideali più o meno estremizzati, nonostante il desiderio di cambiamento e resistenza da raggiungere o meno attraverso la lotta armata.
La Libia, che non vediamo quasi mai davvero, perché tutta la storia ci viene raccontata in prima persona da un Khaled ormai adulto ed espatriato da decenni, e quindi possiamo osservarla soltanto nei ricordi suoi e dei suoi amici, nella nostalgia che lo attira costantemente, nelle voci dei genitori e della sorella che lo implorano di tornare, nei piatti che cucina e gli odori che si sprigionano nell’aria, è una presenza costante e calda, che riempie ogni pagina.
In contrapposizione, nonostante l’amore che Khaled prova per Londra, la città straniera che lo accoglie nel suo momento più fragile si muove insieme e intorno a lui, senza mai abbracciarlo davvero, quasi pronta a richiudersi immediatamente nello spazio appena lasciato vuoto dalla sua figura.
Interessantissimo il personaggio di Hosam, anche lui arrivato in Inghilterra ancora adolescente, autore di una prima raccolta di racconti appena ventenne, e poi scomparso nel nulla, inseguito dalla dittatura e dai suoi compatrioti innamorati delle sue parole.
La sua vita da esule è ben diversa da quella di Khaled, perché lo ha spinto al continuo mutamento, in tante diverse città europee, in tanti lavori diversi, senza più prendere una penna in mano, ma con il cuore sempre pesante.
E solamente quando, alla fine, farà ritorno in Libia per lottare contro la dittatura, e quando infine ci sarà la caduta di Gheddafi, riuscirà a trovare la sua pace e il desiderio di riprendere a scrivere, un ultimo viaggio e un nuovo tentativo di piantare radici.
Un libro sul significato di patria, di casa, di pace interiore e con il mondo che ci circonda, sulla diversità e l’uguaglianza; un romanzo politico e metaletterario, pieno zeppo di citazioni e di nomi e di titoli, di autori libici e palestinesi e un vero e proprio tour delle case di alcuni degli autori studiati all’università che hanno vissuto a Londra.
Un libro sull’importanza della letteratura e degli scrittori in tempo di pace e in tempo di guerra, su come gli ideali si trasmettano, le idee mutino forma e consistenza, i cuori siano sempre in grado di accogliere qualcuno che è rimasto lontano troppo a lungo.
Lo stile di Matar è pura poesia: lirico e delicato, sussurrato, come una tempesta di sabbia in una bottiglia, ci ronza nella mente e negli angoli più profondi dell’anima, ci lascia senza fiato.
Le sue frasi sono lunghe e ricche, strade tortuose dove le impronte si mescolano e la polvere si solleva e la ghiaia scricchiola, ma alla fine, quando tutto si fa quiete, ci accorgiamo di essere arrivati proprio lì, nell’unico punto possibile, alla meta imprescindibile, al finale migliore.
Una scrittura molto intelligente e molto emotiva, molto profonda e che scava a fondo, una voce assolutamente incredibile.
Nella vita bastano pochi buoni amici. E qualche buon libro scritto così, aggiungerei.
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