L’ALTRA DONNA – DORIS LESSING

Voto: 7/10
Edito: Feltrinelli
Londra della Seconda Guerra Mondiale.
Questa prima novella si apre con una scena terribile: la madre di Rose sta attraversando la strada per andare a fare la spesa quando viene investita e uccisa.
Mancano pochi giorni al matrimonio di Rose con George ma, data la tragedia appena avvenuta, Rose decide di annullare il matrimonio e rimanere a casa del padre, per prendersi cura di lui.
La guerra continua a portare distruzione in giro per l’Europa, ma Rose cerca di portare avanti una vita il più tranquilla possibile, lavorando e prendendosi cura della casa.
Finché un giorno non trova la via in cui abita completamente distrutta dalle bombe e si ritrova improvvisamente sola.
Sarà così che incontrerà Jimmie e, proprio attraverso il rapporto che stringerà con lui, riuscirà ad iniziare una nuova vita.
Una storia pubblicata nel 1953, estremamente moderna per il suo tempo, e che mostra già tutti i segni della grandezza di Lessing e della sua profonda intelligenza emotiva, pur essendo una delle sue prime opere.
Il personaggio di Rose assomiglia ad altre donne che abbiamo già incontrato nelle pagine di Lessing, ma nonostante questo ha una sua forza particolare: prima rinuncia al matrimonio per rimanere nella sicurezza della sua casa; quando perde il padre, continua a vivere per settimane nel piccolo appartamento interrato e distrutto, chiusa nel proprio bozzolo; quando si trasferisce nella nuova casa con Jimmie, per la prima volta si ritrova ad osservare la città dall’alto, ma la sua continua ad essere una vita chiusa e sotterranea, essendo costretta involontariamente nel ruolo de “l’altra donna”; per due anni sopporta il comportamento indeciso (o meglio “doppiogiochista”) di Jimmie, ma lei sa cosa vuole e sa come ottenerlo, ed il finale è una rappresentazione perfetta della donna che può farcela.
Non è una novella perfetta, ci sono molte ripetizioni e accorciando un po’ la parte centrale sarebbe potuto diventare un racconto più d’impatto, ma chi sono io? Ha ragione Doris, sempre.
Ha ragione perché la storia parte con forza, sembra ristagnare in una nuova pace ritrovata che trema ad ogni nuova bomba, e vacilla, e tentenna; e alla fine, una nuova alba illumina la scena, in un crescendo senza strappi, ma con la saggezza della maturità.
Ha ragione perché nel 1953 Doris sapeva già parlare di femminismo e indipendenza, di forza di volontà e forza d’animo, di famiglia di elezione e capacità di affrontare i cambiamenti.
Con la sua prosa così densa e in grado di scavare in profondità, arricchita da bellissime immagini poetiche che danno spessore ad un racconto già carico di significati, Lessing già metteva in mostra il suo incontenibile talento.
Il secondo racconto si intitola “Il quadro” e ritroviamo subito ambientazione e temi molto cari a Lessing: una giovane coppia sposata si trasferisce in Sudafrica per lavoro e si scontra con un mondo completamente diverso.
L’uomo bianco crede di poter risolvere tutti i problemi che incontra, la maggior parte dei quali è stato lui stesso a creare, ma c’è un muro troppo alto da superare.
Le città polverose del Sudafrica, il veld, lo sfruttamento della servitù e l’ingenuità dei nuovi arrivati che va a cozzare con l’ostilità bigotta e l’ottusa perfidia di chi vive in quelle terre da tempo.
Doris torna e ritorna su questi temi, con una profondità ed un’intensità disarmanti, raccontando con onestà a tratti crudele una vita che conosceva fin troppo bene.
Grande portavoce della lotta alla disuguaglianza sociale, Lessing ci mostra vari aspetti di una vita così diversa dalla nostra: chi sogna in grande e chi si accontenta di poco, chi non si accontenta mai e chi non sa neanche che cosa chiedere alla vita.
L’ingenuità della protagonista è il ritratto chiaro del “white savior” che combatte con i propri sensi di colpa, ma finisce per arrendersi contro una marea che non può fermare.
Altro racconto particolarmente denso, intenso, che ci trasmette tutto il caldo soffocante racchiuso nelle sue pagine, e l’impossibilità di arginare il mare con uno scoglio.
Terzo e ultimo racconto della raccolta, “Eldorado”, con una nuova giovane coppia con figlio al seguito che si trasferisce in Sudafrica dall’Inghilterra per gestire una fattoria e vivere dei frutti della terra.
Ma la terra è insidiosa, così come l’uomo che la calpesta: quelle sono terre ricche, di un materiale prezioso che può far ammalare un uomo di una strana febbre.
E così Alec, da improvvisato agricoltore, si trasforma in un improvvisato cercatore d’oro, al lavoro tutto il giorno con una bacchetta da rabdomante in cerca di ricchezze nascoste.
Sua moglie Maggie lo osserva con sguardo sempre più preoccupato, relegata in un angolo dalla nuova visione del marito.
Il piccolo Paul, intanto, cresce, diviso fra i sogni del padre e la razionalità della madre, e il desiderio di essere una persona a sé stante, in grado di dimostrare il proprio valore e il proprio io.
Rispetto ai due racconti precedente, Lessing focalizza un po’ meno lo sguardo sulla donna protagonista, ma allarga la visuale per abbracciare tutti i presenti, una famiglia sradicata che non ha un buon terreno sul quale piantare radici e crescere sana.
La figura della donna resta comunque un punto centrale, nei panni della madre che sogna per il figlio un futuro migliore del proprio presente e della moglie che viene schiacciata dai sogni quasi allucinatori di un marito perso nella polvere d’oro.
Lo stile è sempre scorrevole e intenso, anche se forse un po’ più asciutto e meno poetico del solito.
Lessing ci parla di nuovo di molti argomenti diversi: del ruolo della donna nella famiglia, della distruzione di una persona che cerca la ricchezza “nella fortuna”, dello sviluppo di un bambino e del suo diventare un uomo in circostanze complicate, di famiglie che si sgretolano e persone che neanche se ne accorgono.
Ovviamente fanno sempre da sfondo un po’ di quel razzismo tipico di quegli anni (e di questi racconti), quel senso di vuota superiorità dell’uomo bianco che vuole conquistare natura e civiltà, e della natura che un po’ si ribella.
Un buon racconto, ma forse quello che mi ha convinto meno dei tre, ma io con Doris non sono mai imparziale.
Una piccola raccolta, formata da tre piccoli racconti, dove la donna risulta sempre sé stessa e altra da sé, centrale e secondaria.
Questi tre racconti fanno parte dell’inizio dell’opera di Lessing, e si sente un’imprecisione, quasi una titubanza, che assolutamente manca nelle opere successive.
Ma nonostante questo, già fra queste righe è evidente il talento dell’autrice, che con tono asciutto ma a tratti poetico sa dipingere quadri di peculiare accuratezza, di atroce bellezza, di solitudine e vuoto e pena.
La donna “relegata” al ruolo di amante, a compagna dell’uomo conquistatore, a mera spettatrice del disfacimento della propria famiglia; la donna come sguardo critico e punto di riferimento.
Anche l’Africa ha di nuovo un ruolo fondamentale nelle storie, come in altre raccolte e in altri romanzi, con la potenza della sua natura e l’indomabilità del suo popolo.
Racconti sicuramente molto più incisivi nel periodo in cui sono stati scritti, perché oggi possono sembrare quadretti sbiaditi dal tempo, di rapporti poco sani e donne che sanno lottare per la propria vita, senza nulla di davvero innovativo; ma settant’anni fa avrebbero avuto un impatto molto diverso.
Ancora oggi, comunque, è possibile apprezzarne lo stile e l’arguzia, l’incisività e lo studio dei tratti psicologici dei personaggi, così ben tratteggiati anche in brevi racconti.
Io sono di parte, Doris ha e avrà per sempre un posticino speciale nel mio cuore, e per quanto questa non sia stata una lettura perfetta (e sia durata quasi un anno), posso dire di averla apprezzata molto, nella sua completezza.
Grazie Doris, a presto.
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