Dune: Prophecy: Exposed

Trascorsa qualche settimana dalla conclusione della prima stagione di Dune: Prophecy, e con l’annuncio di una stagione 2 in arrivo, i tempi sono maturi per le considerazioni generali sulla serie e su cosa rappresenta nell’universo mediatico di Dune, che inizia ad avere le caratteristiche per essere definito un franchise.

Avevo già espresso alcune prime impressioni a metà stagione, e su Reading Wildlife avevo proposto anche un’utile FAQ per chi si approcciasse alla serie, ma adesso voglio fare un discorso a baliset fermi.

Iniziamo dalla domanda più banale: Dune: Prophecy è una bella serie?

La risposta breve è: no.

D:P è una serie “meh”, che oscilla tra il mediocre e il sufficiente. Questo prima e oltre tutte le considerazioni che si possono fare sul suo rapporto con l’opera di riferimento, ma proprio in quanto prodotto seriale di fine 2024. In un’industria dell’intrattenimento satura di proposte, D:P si pone semplicemente come un’altra di quelle serie da vedere doomscrollando per poi dimenticarla la settimana dopo. Nonostante si percepisca il valore produttivo della serie (fotografia, effetti e reparto tecnico sono tutti di buon livello), il risultato finale rimane generico e superficiale, l’ennesimo GameOfThrones-wannabe che porta le stesse dinamiche della serie ammiraglia di HBO del decennio scorso, solo con una patina cosmetica diversa. Il che è anche abbastanza ironico, se si considera che la saga di Martin ha numerosi elementi ripresi proprio da Dune di Herbert. E che probabilmente rimarrà anch’essa incompiuta a un libro dalla fine.

Risposta secca: che serie tv è?

Senza entrare troppo nelle specifictà della trama, il problema di Dune: Prophecy sta soprattutto nella scrittura, intesa sia come struttura delle scene che dei dialoghi. Tutto è estremamente didascalico, ogni punto tematico viene esplicitato nei dialoghi e si perde pertanto ogni livello di sottigliezza che ci si poteva aspettare non solo da una serie di Dune, ma a maggior ragione da una stori che si concentra proprio sulle macchinazione del Bene Gesserit, la cui mission aziendale è, di fatto, complottare nell’ombra. Diventa un po’ anticlimatico quando questi piani nei piani nei piani vengono riferiti per bocca da un personaggio all’altro.

Oltre a questo livello di superficialità, c’è anche un piattume generale nella composizione delle scene, che per lo più hanno questo template: un personaggio sta in una stanza a fare qualcosa, un altro personaggio entra nella stanza, parlano di qualcosa per alcuni minuti, uno dei dei personaggi lascia la stanza. Raramente le sequenze includono azione, intesa non tanto come momenti adrenalinici quanto mostrare quello che i personaggi concretamente fanno al di là di quanto si dicono. Insomma, gira che ti rigira, il problema finisce sempre sullo show don’t tell, che per quanto sia inculcato a forza in generazioni di sceneggiatori, viene per lo più travisato o ignorato quando a decidere cosa mettere in scena sono gli studios.

Infine, rimane anche da decidere quanto è Dune, Dune: Prophecy. E anche qui la risposta è molto poco. Perdendo il suo grande senso di scopo, limitandosi ad appiccicare ai personaggi nomi ed etichette riconoscibili ma senza dare valore a queste etichette (guarda, un Richese! guarda, un Volto Danzante!), il tutto sembra appunto una fanfiction di Dune con attori in cosplay. Cosa che ricorda in buona parte l’operazione di franchisizzazione di Herbert figlio insieme a K.J. Anderson a partire dagli infami “preludi a Dune”. Tutti i personaggi sono collegati, e l’universo diventa estremamente piccolo, perché dovunque vai trovi sempre qualcuno che ha già avuto a che fare con gli altri. Questa storia soffre quindi dello stesso paradosso di Star Wars (anche questo, ironicamente, debitore per moltissimi aspetti a Dune), per il quale nonostante gli eventi si svolgano in una galassia sconfinata, i gradi di separazione massimi tra le persone sono appena un paio.

Sicuramente molti dei problemi sono dovuti anche agli intoppi di produzione, che hanno portato a mettere insieme una serie cambiando due volte showrunner e registi. Il progetto inizialmente era in mano allo stesso Villeneuve, poi è stato riassegnato e alla fine è stato completato quasi per inerzia, subendo molti tagli. Una stagione di sei episodi in effetti non sembra sufficiente a coprire l’arco narrativo che si voleva portare avanti, e questo contribuisce al generale disequilibrio della storia.

Witches…

Questo significa che Dune: Prophecy sia terribile e inguardabile? No, il livello è appunto quello medio di molte serie di questo periodo. Da metà in poi, superato lo scoglio degli infodump più grossolani, alcune storylin e sequenze diventano piacevoli. L’ultimo episodio ha un paio di momenti interessanti… galleggianti nello stagno di noia e frustrazione. Di certo non è la serie che farà innamorare un nuovo pubblico di Dune come universo narrativo, perché chi partisse da qui non troverebbe niente di nuovo, unico e caratteristico per cui dovrebbe passare a scoprire il resto del franchise. Ma certamente per gli appassionati e per chi vuole ingannare l’attesa di Dune Messiah di Villeneuve può essere un discreto surrogato.

La profezia è: non ci sarà una terza stagione.

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Published on January 29, 2025 07:13
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Andrea Viscusi
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