LA VITA DI CHI RESTA – MATTEO B. BIANCHI

Voto: 7/10
Edito: Mondadori
Questo non è un romanzo vero e proprio.
Questo è una specie di diario, di pagine di appunti che Bianchi ha cominciato a scrivere, prima inconsciamente e poi scientemente, da quel fatidico giorno di vent’anni fa, quando S., l’uomo che era stato il suo compagno per sette anni, ha deciso di togliersi la vita.
Pensieri, riflessioni, dolore e rimpianti, amore e rimorsi, vent’anni di cose non dette si rincorrono sulle pagine, cercando di spiegare come una cosa simile, così grande e terribile, possa influenzare la vita di chi resta.
Al tempo stesso, però, questo è un libro su come scrivere un romanzo sul dolore.
Bianchi spiega (forse con troppo ego e poca accettazione degli altri) come muoversi fra le ombre di un evento così amaro, ricorda e giustifica i propri passi, i propri pensieri.
La storia raccontata è, ovviamente, straziante, ed è impossibile sfuggire alla sofferenza di Bianchi, che sin dalle prime pagine ci avvolge nelle sue spire, ci soffoca.
La prosa però è semplice, forse troppo, e un tocco poetico avrebbe potuto rendere questo libro molto più forte.
Ci sono ripetizioni ed elucubrazioni che girano e rigirano, cariche di retorica, e alla fine sembrano quasi banalizzare un po’ tutto il dolore che contengono.
Bianchi parla da conoscitore del proprio dolore, ovviamente, ma più volte fa commenti infelici che sembrano volti a sminuire le sofferenze degli altri: cosa ne vuoi sapere tu, se hai avuto un lutto famigliare qualsiasi o sei solo una “casalinga annoiata”, di cos’è il vero dolore?
Per un attimo sembra accorgersi delle proprie parole, parla di “snobismo del dolore”, ma poi continua imperterrito per la sua strada.
Io non sminuisco il tuo dolore, Matteo, perché posso solo immaginare quanto sia immenso e profondo, ma tu dimostra altrettanta empatia al resto del mondo.
Sinceramente è difficile immergersi completamente fra queste pagine, perché il dolore che ne scaturisce è quasi troppo, la gioia di un ricordo felice mescolata allo strazio della mancanza, ma credo che ne valga comunque la pena.
Una lettura sicuramente interessante, che affronta un tema molto delicato e troppo spesso taciuto, ancora quasi tabù, e ci sommerge nella sua angoscia dolce e amara, quasi contro la nostra volontà, sbattendoci in faccia un dolore antico e primordiale, che ci rende tutti uguali e vicini.
L’opera di Bianchi credo sia comunque commendabile: non solo per essere riuscito a sopravvivere lui stesso ad un tipo simile di sofferenza, ma per aver trovato il modo giusto per sé per attraversare questo mare di tormento ed elaborare il lutto, con la creazione di un libro toccante e a tratti straziante.
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