Palla Strozzi
Anche se viene appena accennata la sua figura nei manuali di Storia dell’Arte che studiamo scuola, Palla di Noferi Strozzi, oltre ad avere avuto un ruolo fondamentale nella trasformazione del Rinascimento da Avanguardia a stile socialmente accettabile, facendogli incorporare molte delle istanze estetiche del Gotico Internazionale, è una figura di straordinario fascino. Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia degli Strozzi, il padre poté far istruire il figlio da letterati ed umanisti, e grazie all’interesse e all’intelligenza, Palla divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini del suo tempo.
Palla, che era il secondo figlio di Nofri e di Giovanna Cavalcanti, nacque a Firenze nel 1372. Oltre a Niccolò, morto nel 1411, si ha notizia di un fratello minore illegittimo di nome Marco e di cinque sorelle. Da Marietta Strozzi, discendente dal ramo di Carlo e sposata nel 1397, ebbe le figlie Iacopa, Margherita, Tancia, Lena e Ginevra; dei maschi si ricordano: Lorenzo, che nel 1452 fu ucciso da uno studente mentre ricopriva l’ufficio di podestà di Gubbio; poi Gianfrancesco e Nofri, quest’ultimo nato nel 1411 che seguì il padre in esilio; infine Carlo, che morì di peste a Roma nel 1450 a un passo dalla nomina cardinalizia, e Nicola, detto Tita, di cui poco o nulla si sa, fuorché il fatto che nacque nel 1412 e fu in prigione in Provenza. Dell’accorto ordito di interessi politici e finanziari intessuto da Palla attraverso i matrimoni dei figli basti qui dire che Iacopa andò in moglie nel 1428 a Giovanni Rucellai, che fu fondamentale procuratore dei beni di Palla durante gli anni dell’esilio e fornì eccezionale testimonianza alla biografia del suocero grazie alle notizie contenute nel suo Zibaldone quaresimale, definito da Giovanni «un’insalata di più erbe» ossia un’antologia personalizzata, derivata da un repertorio culturale comune, connesso al genere delle ricordanze mercantili, nel quale volle fossero riportati, oltre a ricordi personali e avvenimenti a cui aveva partecipato in prima persona, consigli e ammaestramenti per i figli, storie fiorentine, testi di Seneca, citazioni da Aristotele, Cicerone, s. Agostino, Dante, proverbi e usi religiosi.
Tra le tematiche presenti nel libro emerge il suo interesse verso il ‘parentado’, che garantiva onore alla famiglia. L’argomento fu trattato con cura meticolosa per essere tramandato ai discendenti, sia nella genealogia redatta nel 1457, sia nel ricordo del 1476, in cui vennero riportati sistematicamente i legami ottenuti per matrimonio, tenendo presenti i valori fondamentali richiesti in un’unione: antichità di stirpe, nobiltà d’animo, ricchezza e partecipazione all’élite intellettuale e soprattutto, uno sguardo attento alle vicende dei suoi tempi, che lo rendono una fonte unica per orientarsi nel manicomio che era la politica fiorentina di quei tempi.
Illustre banchiere e mercante di Firenze, Palla fu leggendario per l’enorme patrimonio finanziario accumulato, proveniente soprattutto da rendite immobiliari. Per via della prominente posizione in ambito cittadino, nei primi decenni del secolo si distinse in importanti incarichi istituzionali, seppure in misura più defilata rispetto al padre Nofri: fu annoverato tra gli ufficiali dello Studio nel 1414 e nel 1428; nel 1421 fu eletto tra i Capitani per gli affari di Volterra; fu dei Dieci di Balìa negli anni 1423, 1424 e 1430; nel 1420 accompagnò il papa Martino V di passaggio nel territorio fiorentino mentre da Basilea si trasferiva a Roma; nel 1434, quando Eugenio IV entrò in Firenze, fu Palla a portare il vessillo della Chiesa. Rappresentò inoltre la Repubblica in ambascerie presso il papa, a Napoli (dove nel 1415 fu insignito cavaliere), a Venezia, a Ferrara e a Siena. Fu fatto ad esempio nominato Cavaliere dai Reali Angioini di Napoli nel 1415, quando vi si recò per conto della Repubblica di Firenze per congratularsi delle nozze avvenute fra la Regina Giovanna II di Napoli e Giacomo II di Borbone.
Non secondarie alla sua ricchezza furono la cultura di Palla e la sua generosità di mecenate delle lettere e delle arti. Fu Palla a caldeggiare, insieme a Coluccio Salutati e a Niccolò Niccoli, la chiamata a Firenze di Emanuele Crisolora nel 1397 e di lui fu allievo alla cattedra di greco istituita nel 1397. Da Crisolora Palla acquisì numerosi manoscritti, oltre a quelli fatti appositamente giungere da Costantinopoli: tra questi ultimi Vespasiano da Bisticci ricorda la Cosmografia di Tolomeo colla pittura (Vat. Urb. gr. 82), le Vite di Plutarco (Vat. Urb. gr. 96), le opere di Platone (forse il Vind. suppl. gr. 7) e la Politica di Aristotele, il cui codice, non ancora identificato, fu alla base della traduzione di Leonardo Bruni. A Firenze Palla aveva avuto in casa come precettore per sé e per i figli, tra gli altri, Tommaso Parentucelli che, divenuto poi papa con il nome di Niccolò V, volle esprimere gratitudine nei suoi confronti chiamando il figlio Carlo quale cameriere segreto e promettendogli la nomina cardinalizia; ma Carlo, come già ricordato, morì poco prima di vestire la porpora. Nel novembre del 1403 Palla aveva pure partecipato alla commissione nominata dall’arte di Calimala, di cui era membro da quell’anno, che aveva il compito di sovrintendere ai lavori di Lorenzo Ghiberti alla porta Nord del Battistero di S. Giovanni. Di Ghiberti Palla si avvalse anche per il disegno della cappella del padre in S. Trinita – dove aveva maturato l’idea di far sorgere una biblioteca pubblica – come pure si servì di Gentile da Fabriano, al quale commissionò la celebre Adorazione dei magi, anch’essa per S. Trinita.
Nel frattempo, però, Palla, che era il cittadino più ricco di Firenze e il maggior contribuente fiscale, si trovò in opposizione a Cosimo il Vecchio l’uomo che per la prima volta si era di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della Repubblica fiorentina. Davanti a Cosimo solo due strade erano possibili: l’alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale; e Palla, forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, fu a capo della fazione antimedicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Rinaldo degli Albizi. In un primo momento la fortuna arrise alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l’incarcerazione di Cosimo, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio dalla città (1433). L’obiettivo dello Strozzi comunque non era tanto l’eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della libertas fiorentina e in questo fu diverso dall’alleato Rinaldo degli Albizi. Intanto Cosimo mandava già segni di prepararsi a un rientro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri, meno di un anno dopo la sua partenza da Firenze. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l’esilio delle famiglie degli Albizi e degli Strozzi, e in questo Cosimo fu favorito anche dall’appoggio popolare che lui e la sua casata si erano saputi conquistare.
Il bando, inizialmente di dieci anni, fu di volta in volta rinnovato e Palla non fece mai ritorno nella città natale. A Padova, proseguì tuttavia la propria attività pubblica, in particolare nell’ambito dello Studio: già nel 1436 divenne consigliere dell’Università, nella cui veste, il 17 luglio di quell’anno, nominò un sostituto; negli atti relativi allo Studio padovano il suo nome ricorre fino al 1447 tra quelli dei promotori delle lauree; in uno strumento del 21 marzo 1465 negli atti della curia vescovile lo si ricorda come magister.Negli anni dell’esilio mantenne anche rapporti politici di alto profilo, come testimonia almeno una lettera del 10 settembre 1446 (Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Bentivoglio, mazzo 2, 8-2, lettere 1446-1566), in cui Lionello d’Este, indirizzandosi a Palla con parole di amichevole considerazione, concede un salvacondotto al genero Giovanni Rucellai.
La sua dimora a Prato della Valle non aveva la pretesa del grande palazzo, era anzi piuttosto modesta, forse a motivo della convinzione del suo proprietario di poter rientrare presto a Firenze, ma l’esilio divenne definitivo e lo Strozzi visse e morì a Padova senza poter tornare e fu sepolto nella Chiesa di Santa Maria di Betlemme. Questa Chiesa, di origine medievale, divenuta poi Chiesa dell’adiacente Convento delle Canonichesse regolari lateranensi, che lo stesso Palla aveva contribuito a far costruire, fu chiusa per i decreti napoleonici e venne demolita nel 1900 per far luogo ad una strada. Vi erano, tra le altre, le opere di Stefano dall’Arzare che aveva ritratto Lorenzino de’ Medici.
Non si arrestò neppure la sua attività mecenatistica e la casa padovana di Palla divenne importante cenacolo culturale: a lui si deve la chiamata a Padova di Filippo Lippi, di Nicolò Baroncelli e soprattutto di Donatello; ebbe a stipendio Giovanni Argiropulo (a partire dalla seconda metà del 1441 fino al 1444) e in seguito Andronico Callisto. Collaborò inoltre con i copisti: Giovanni Scutariota, con il quale si alternò, intorno al 1450, sul Laur. Acq. 4 della Politica di Aristotele, e Giovanni Rhosos, impiegato, nel 1458, per l’Ott. gr. 22 della Retorica di Ermogene. Nel1447, poco prima della morte della moglie, fece testamento, disponendo di essere sepolto in S. Trinita con l’abito dei monaci vallombrosiani (Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Bentivoglio, l. IV, 1, 2); tale richiesta non fu ribadita nel successivo testamento del 1462 (l. VI, 34) e alla morte, avvenuta l’8 maggio di quell’anno, Palla fu sepolto nella chiesa padovana di S. Maria in Betlemme in contrada di S. Daniele, non lontano dalla sua casa. L’orazione funebre fu letta da Francesco Filelfo, con il quale Palla intrattenne amichevoli rapporti e un documentato scambio di manoscritti.
La consistenza della sua biblioteca, donata dopo la sua morte al monastero di Santa Giustina, può essere ricostruita sulla base di tre documenti rinvenuti da Vittorio Fanelli e da lui pubblicati nel 1949: un inventario di proprietà personali del 1431, redatto in occasione di un temporaneo sgombero, e soprattutto i due testamenti del 1447 e del 1462. Il secondo, in particolare, menziona nello specifico diciotto codici lasciati per legato al monastero di S. Giustina (nel primo inventario erano tredici), mentre il resto dei libri è diviso egualmente tra gli eredi (i figli Nofri e Giovanfrancesco e i nipoti Bardo e Lorenzo di Lorenzo) ed è descritto nel dettaglio solo per alcuni manoscritti ritenuti particolarmente degni di nota; i codici di S. Giustina sono ricordati anche in un inventario quattrocentesco della biblioteca (B.P. 229, cc. 3r-4r), già visto da Gian Vincenzo Pinelli nel 1599, il quale ne diede notizia in una lettera a Battista Strozzi; l’inventario padovano, in cui la menzione dei libri di Palla coincide pressoché perfettamente con il testamento del 1462, fu recuperato solo nel XIX secolo e pubblicato per la prima volta da Luigi Alberto Ferrai insieme alla lettera di Pinelli. Ulteriori informazioni forniscono tre lettere del 1477 di Alessandro a Gianfrancesco di Palla (Archivio di Stato di Ferrara, Archivio Bentivoglio, Corrispondenza, mazzo 1, 117 e 122 e scaffale 8, mazzo 1, 125) da cui traspare l’intenzione di Alessandro di alienare una parte del patrimonio librario del nonno e del padre per alleviare le difficoltà finanziarie della famiglia. Alcuni codici furono effettivamente venduti a Federico da Montefeltro (è il caso almeno degli Urb. gr. 3, 15, 16, 20, 21, 26, 82, 84, 105, 123, 124, 128, 130, 151, 157); altri seguirono strade diverse e andarono dispersi.
Alessio Brugnoli's Blog

