Monte Kronio

Il monte Kronio, detto anche San Calogero è una collina situata a circa 7 km da Sciacca ed è chiamato così perché secondo la leggenda questi era la dimora della divinità greca Crono (padre di Zeus) e ha una caratteristica straordinaria: la presenza di un articolato labirinto di grotte, chiamato interessate da fenomeni termali riconducibili a vulcanesimo secondario che si manifesta con emanazione di sali sulfurei a temperature medie di 40 gradi, con escursioni comprese ra i 36 e i 42 °C e variazioni nelle diverse stagioni e ore del giorno.

La principale di queste grotte è la Stufa di San Calogero che si sviluppa per 9.4 m in lunghezza, 4.2 m in larghezza e 4 m in altezza. . All’interno la temperatura varia tra i 36 e i 42 °C, con variazioni nelle diverse stagioni e ore del giorno. A causa della temperatura elevata, il soggiorno nella grotta, secondo la leggenda scavata da Dedalo.come raccontato da Diodoro Siculo, nel periodo in cui il territorio era occupato dai Sicani, era tradizionalmente utilizzato per la cura di affezioni quali artrite, reumatismi, gotta e sciatica. All’interno erano stati realizzati sedili e banconi e praticati fori nelle pareti nei quali dovevano essere inseriti gli arti sofferenti. In seguito ad un’indagine commissionata nel 1880 dal consiglio comunale di Sciacca al professor Silvestro Zinno, il comune si propose di realizzarne uno stabilimento termale.

Il fenomeno dei vapori di risalita, del quale è accertata la connessione con il sottostante bacino idrotermale saccense, è ancora oggi oggetto di studio da parte della Commissione Grotte E. Bogean del CAI di Trieste. Proprio al CAI di Trieste si deve, nel 1957, l’avvio delle esplorazioni nelle viscere del Monte con una discesa lungo l’inghiottitoio Medeot al fondo del quale furono esplorate le gallerie Bellitti e Di Milia: la temperatura assai elevata – sino a 40° – e la presenza di un tasso di umidità pari al 100% rendevano impossibile la sopravvivenza umana. All’epoca l’eccezionalità dell’impresa, condotta con primi apprestamenti sperimentali che consentirono una permanenza, anche se di breve durata, nelle gallerie si arricchì dell’inaspettato rinvenimento di uno straordinario deposito archeologico ancora oggi in situ: è costituito da oltre 40 grandi vasi di età preistorica, più precisamente dell’eneolitico finale.

La presenza di ossa umane, sebbene non sempre in chiara associazione con i grandi contenitori di fase malpassiana (fine III millennio a.C.), suscitò, e ancora oggi suscitano, importanti interrogativi circa la natura del deposito antropico, certamente di carattere rituale. Fu ipotizzato che le cavità fossero state utilizzate quali sepolture dai frequentatori preistorici delle grotte, frequentazione che avrebbe avuto termine in coincidenza con l’insorgere del fenomeno vaporoso, probabilmente dovuto al collegamento determinatosi ad un dato momento tra il bacino idrotermale ai piedi del monte e il suo sistema carsico.

L’eccezionalità dell’impresa speleologica e delle scoperte archeologiche, queste ultime condotte dall’archeologo Santo Tinè, suscitò grande interesse e scalpore. A Partire dal 1962, pertanto, le ricerche furono avviate nelle grotte superiori, all’interno del Buco del Fico e dell’Antro Fazello. Solo sporadici interventi interessarono invece l’Antro di Dedalo dove la caratteristica sequenza di sedili era utilizzata, pare dal V secolo d.C. in poi, per accogliere coloro che si sottoponevano a cure di tipo termale, come ancora oggi accade.

Gli scavi intercettarono una importantissima sequenza stratigrafica e dimostrarono che le grotte superiori erano state frequentate a partire dal Paleolitico. Fu, tuttavia, dall’età neolitica che queste furono più intensamente occupate: se le fasi più antiche di tale orizzonte culturale sono attestate dal rinvenimento di una caratteristica ceramica decorata ad impressioni, il Neolitico medio appare documentato dalla interessante serie di ceramiche impresse ed incise, tanto caratteristiche da isolare, al momento della scoperta, uno stile, detto, appunto, del Kronio. Anche le grotte superiori, secondo gli studi sinora condotti, pare siano state abbandonate durante l’eneolitico finale per essere rioccupate, forse a fini cultuali, se non già terapeutici, a partire dall’età arcaica.

Tra l’altro in una giara risalente all’età del Rame risalente agli inizi del IV millennio avanti Cristo: la terracotta, non smaltata, sono state trovate tracce di acido tartarico e del suo sale di sodio, sostanze che si trovano naturalmente negli acini d’uva e nel processo di vinificazione. Di conseguenza, la viticoltura e la produzione di vino, almeno in Sicilia, non sono cominciate nell’Età del Bronzo, come ipotizzato finora, ma oltre 2.000 anni prima,

La vasta zona alle spalle della cittadina di Sciacca e che culmina nel monte Kronio è possibile che sia la vestigia di un antico sito vulcanico, che ancora oggi mostra la sua attività, ormai sopita, attraverso i vapori sulfurei. Tale ipotesi è avvalorata dalla presenza al largo delle coste saccensi dell’isola Ferdinandea. Per chi ricorda la storia nel 1831, a seguito dell’eruzione sottomarina di un vulcano, si innalzò dall’acqua quest’isola, la quale crebbe fino ad una superficie di circa 4 km² e 65 m di altezza: ora la sua comparsa improvvisa provòcò una serie di dispute territoriali e diplomatiche tra Gran Bretagna, Francia e Regno delle Due Sicilie, dato che ognuna delle tre nazioni, per un motivo o per un altro ne rivendicava il possesso.

Si evitò una guerra solo perchè,essendo composta prevalentemente da tefrite, materiale roccioso eruttivo facilmente erodibile dall’azione delle onde, l’isola Ferdinandea non ebbe vita lunga. A conclusione dell’episodio eruttivo si verificò un rapido smantellamento erosivo dell’isola che scomparve definitivamente sotto le onde nel gennaio del 1832, ponendo fine temporaneamente alle dispute internazionali sorte circa la sua sovranità.

Nel 1846 e nel 1863 l’isoletta è riapparsa ancora in superficie, per poi scomparire nuovamente dopo pochi giorni.Con il terremoto del 1968 nella valle del Belice le acque circostanti il banco di Graham furono viste intorbidirsi e ribollire, cosa che venne interpretata come un probabile segnale che l’isola Ferdinandea stesse per riemergere. Così non fu, ma venne segnalato un movimento nelle acque internazionali di alcune navi britanniche della flotta del Mediterraneo. Un gruppo di sub siciliani colse l’occasione per posare sulla superficie del banco sottomarino una targa in pietra, sulla quale si legge:

«Questo lembo di terra una volta isola Ferdinandea era e sarà sempre del popolo siciliano.»

Andata successivamente distrutta, probabilmente colpita da un’ancora, la targa è stata prontamente sostituita. Successivamente il vulcano è rimasto dormiente per decenni, con la cima circa 8 metri sotto il pelo dell’acqua. Nel 1986 fu erroneamente scambiato per un sottomarino libico e colpito da un missile della U.S. Air Force nella sua rotta per bombardare Tripoli.Il recupero del sensore di pressione. Nel 2002 una rinnovata attività sismica nella zona ha indotto i vulcanologi a congetturare sopra un imminente nuovo episodio eruttivo con conseguente nuova emersione dell’isola. Per evitare in anticipo una nuova disputa di sovranità, dei sommozzatori italiani hanno piantato un tricolore sulla cima del vulcano di cui si aspettava la riemersione.Anche allora le eruzioni non si sono verificate e la cima di Ferdinandea è rimasta circa 8 metri sotto il livello del mare.

Proprio la vicinanza con il complesso del vulcano sottomarino associato all’Isola Ferdinadea, fa ipotizzare che monte Kronio sia stato in un passato remoto un comignolo di un più imponente sistema.. Il monte prende anche il nome di Calogero per la presenza del Santuario dedicato a tale santo. Il suo nome deriva dal greco della Koinè kalógēros, termine composto da kalós, “buono” e da gêras, “vecchiaia”.Questo appellativo indicava gli anacoreti, che vivevano appartati in luoghi solitari e in grotte, ma secondo quanto riportato sugli Inni di Sergio a lui dedicati, Calogero era proprio il suo nome. Storicamente infatti per la chiesa greco-ortodossa il termine è usato come nome per riferirsi a un “monaco” o un “eremita”, significato che viene mantenuto ancora nel greco moderno.

Calogero nacque da genitori cristiani e sin da piccolo abbracciò gli insegnamenti del Cristianesimo. La tradizione che lo vuole essere vissuto nel I secolo fa riferimento a un breviario siculo-gallicano, in uso nella regione tra il XI secolo e il XVI secolo. Tale fonte lo fa nativo di Costantinopoli. Il fatto che egli si senta spinto a convertire gli abitanti della Sicilia, meglio si concilia con questo periodo, rispetto ad altre agiografie che lo vogliono vissuto nel V secolo. Infatti è più ragionevole pensare che gli abitanti della Sicilia necessitassero di conversione al nuovo credo più nel I secolo che non nel V, quando la popolazione di quelle regioni era già in buona parte cristiana. Questo breviario lo vuole pellegrino a Roma dove incontrò San Pietro apostolo da cui ottenne il permesso di vivere da eremita in un luogo imprecisato. Qui ebbe l’ispirazione di evangelizzare la Sicilia. Tornato dal Primo Papa, ottenne il permesso di recarsi nell’isola assieme ai compagni, Filippo, Onofrio (distinto dall’omonimo eremita) e Archileone. Filippo si recò a Agira, Onofrio e Archileone si recarono nel deserto di Sutera e il nostro si fermò a Lipari

Altre leggende, invece, spostano la sua esistenza tra V e VI secolo. A vent’anni, secondo l’innografia composta dal monaco Sergio, fuggì dalla Tracia a causa delle persecuzioni scatenate dai monofisisti contro i fedeli al dogma proclamato nel 451 nel concilio di Calcedonia. Si recò in Sicilia, dove si trattenne per qualche tempo predicando e prestando cure agli ammalati con le acque sulfuree dell’isola, convertendo molti abitanti e proseguendo nella sua vita di eremita e taumaturgo. Secondo la leggenda riportata nei Dialoghi di Papa Gregorio I, a Lipari avrebbe avuto la visione dell’anima del re Teoderico gettata nel cratere dell’isola di Vulcano il giorno stesso della morte di quest’ultimo (30 agosto 526). Da qui, dopo diversi anni, si spostò nei pressi di Sciacca dove visse per trentacinque anni. Calogero sbarcò a Lilibeo, dove Gregorio e Demetrio furono martirizzati, secondo la Vita di Calogero, da idolatri; a questo proposito vi sono due diverse teorie intorno all’identità degli uccisori. Parte della storiografia ritiene che il Vescovo di Lilibeo fosse in realtà un monofisista, visti gli intensi scambi commerciali intercorrenti tra la Sicilia e i patriarcati di Antiochia e Alessandria, territori ove il monofisismo era molto radicato, e come tale abbia giustiziato quelli che considerava due eretici. Altri storici ritengono che siano invece caduti nelle mani dei Vandali, fanatici ariani che, in quegli anni, imperversarono in Sicilia e nel Nord Africa.

Scampato alla morte, iniziò a vagabondare per l’isola, nascondendosi in antiche necropoli e nelle numerose grotte di origine vulcanica sparse per la Sicilia. Partendo da queste peregrinava per i paesi ove predicava la fede, amministrava i sacramenti e assisteva gli ammalati. Ultima sua tappa furono le grotte poste sul monte Kronos (Kronio) presso Sciacca. Qui visse operando molti miracoli e guarigioni e convertendo molti abitanti alla fede cristiana. Morì a Monte Kronio nella notte tra il 17 e il 18 giugno del 561. Aveva 95 anni. Tradizioni agiografiche raccontano che durante la sua vecchiaia, non potendo più raccogliere le erbe di cui nutrirsi, si cibava del latte di una cerva che gli sarebbe stata mandata da Dio. Un giorno però il cacciatore Siero, detto Arcario perché cacciava con l’arco e le frecce, uccise involontariamente l’animale. Addolorato per aver compiuto tale errore, divenne discepolo del santo. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta dopo quaranta giorni, lo stesso Arcario lo seppellì in una caverna sul monte, nota a lui soltanto. Egli trasformò successivamente la grotta in cui era vissuto il Calogero in una piccola chiesa, dove alloggiò insieme ad altri discepoli. In seguito vennero scavate nella roccia le cellette che costituirono i dormitori: furono dette “Eremo” o “Quarto degli Eremi”. Grotta a cui era possibile accedere per mezzo di una buca larga un metro e mezzo, capace di far passare solo un uomo carponi; insomma, Calogero era parecchio asociale. Alla fine del Quattrocento pochi monaci di San Calogero, dopo alterne vicende, avevano allestito in alcune stanze sulla collina un piccolo ospedale, ritornando ad insediarsi vicino alla grotta del santo: ciò permise, da dare origine all’attuale santuario.

L’importanza dei depositi archeologici fa del Monte Kronio una delle realtà archeologiche più interessanti del panorama scientifico internazionale, sia per condizione dei rinvenimenti che dell’attuale giacitura connessa con la specificità geomorfologica dell’altura interessata dalla fuoriuscita di vapori dalle cavità carsiche superiori (antro di dedalo e degli animali) inglobate nel moderno edificio delle terme. Per valorizzare tutto ciò, negli anni Ottanta fu costruito un piccolo, ma suggestivo antiquarium, situato proprio all’interno del complesso termale; ciò conferisce all’insieme particolare significato data la stretta connessione con le vicine grotte vaporose, circostanza, tra l’altro, documentata dalla singolare presenza, proprio all’ingresso, della bocca fumante di fuoriuscita dei vapori dell’antro di Dedalo. L’esposizione, sviluppata attraverso un breve percorso, risulta di sicuro interesse: illustra la sequenza cronologica delle più antiche frequentazioni che interessarono le Stufe di San Calogero. Un plastico con uno spaccato del Monte esemplifica il sistema carsico, con il suo deposito antropico ancora in situ e l’intricata rete di gallerie attraverso la quale è ipotizzata la risalita dei vapori. Particolarmente curato è l’apparato didattico-documentario: esso si apre con uno sguardo ai fenomeni di vulcanismo sottomarino che caratterizzano il canale di Sicilia in prossimità delle coste saccensi, fenomeni attivi che nel 1831 diedero origine alla effimera emersione dell’isola Ferdinandea. Seguono, quindi, l’illustrazione dei fenomeni vaporosi del Monte Kronio dei quali si indicano le ipotesi sull’ origine, la storia delle esplorazioni speleologiche e quella delle ricerche archeologiche; l’illustrazione dei più importanti rinvenimenti operati nel corso delle indagini condotte nelle grotte superiori accompagna l’esposizione dei reperti in due vetrine: la prima dedicata alle fasi preistoriche, la seconda alla loro frequentazione a partire dal VI secolo a.C., sino ad età medievale ed oltre. L’esposizione didattica si conclude con una sintesi sulla la storia del termalismo a Sciacca, sede in età tardo antica di un importante centro amministrativo e fiscale dell’impero romano, e sul Monte Kronio dove, dopo il V secolo, è tramandata la presenza del Santo taumaturgo Calogero.

L’antiquarium Monte Kronio è al momento chiuso in vista di notevoli rifacimenti e miglioramenti. Il direttore del Parco Archeologico Valle dei Templi di Agrigento, Roberto Sciarratta, ha informato i cittadini, attraverso i loro rappresentanti, che sono stati impegnati 216.700 euro per avviare i lavori che riguardano la sistemazione delle aree esterne, il prospetto e gli allestimenti interni. Il progetto è stato ampliato con percorsi migliori di fruizione e valorizzazione del terrazzo. Saranno disponibili percorsi per bambini, un percorso immersivo con visite in 3D delle grotte vaporose e punti ristoro, che renderanno il luogo un sicuro centro ricettivo e di attrazione della Sicilia. Ci sono state però una serie di polemiche, dato che, per completare il tutto, servirebbero ulteriori 190.000 euro, che nessuno ha mai stanziato, per cui, come succede spesso da quelle parti i lavori termineranno nell’anno del mai…

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Published on February 13, 2022 03:48
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