La Kalsa del Quattrocento
Sempre per raccontare l’evoluzione nella storia della Kalsa, condivido un brano di Patrizia Sardina, tratto da un libro edito dal comune di Palermo, che tratta a fondo la storia di questo quartiere dall’epoca araba sino al Novecento, evidenziandone sia l’evoluzione urbanistica, sia quella sociale.
Come accennato, nel Trecento s’insediarono alla Kalsa i Chiaromonte che vi edificarono il proprio palazzo, denominato Steri, e trasformarono il quartiere in una zona residenziale abitata da clan familiari alleati e, in alcuni casi, imparentati fra loro (Costantino, Pampara, Michaele, Chabica, Federico). La fortuna dei Chiaromonte ebbe inizio con il matrimonio tra Federico e Marchisia Prefolio, grazie al quale ebbero Caccamo. L’ascesa sociale continuò con i tre figli della coppia: Manfredi sposò Isabella Musca, dalla quale ottenne la contea di Modica, Giovanni il Vecchio prese in moglie Lucca Palizzi, appartenente a una nota famiglia messinese, Federico convolò a nozze con Giovanna de Camerario, figlia del messinese Cacciaguida, di origini ghibelline. La potente famiglia radicò il suo potere a Palermo nella seconda metà del Trecento, quando il conte di Modica Federico Chiaromonte, figlio di Giovanni il Vecchio, assunse il controllo della città. Non a caso, nell’anno indizionale 1361-1362 ricoprì la carica di pretore un abitante della Kalsa: il cavaliere Giovanni de Michaele, che apparteneva alla parrocchia di San Nicolò della Kalsa, dove Giovanni Chiaromonte il Vecchio edificò la cappella del SS. Crocifisso e fu tumulato insieme alla moglie Lucca Palizzi Un altro abitante della Kalsa, il mercante e banchiere pisano Ranieri de Federico, divenne cavaliere e fu maestro portolano e luogotenente del maestro giustiziere Federico Chiaromonte.
Tra il 1366 e il 1368 il conte di Caccamo Giovanni Chiaromonte, figlio di Enrico, governò Palermo col titolo di rector. Alla morte di Giovanni, il controllo della città passò all’ammiraglio Manfredi Chiaromonte, che ereditò le contee di Caccamo e Modica, fu nominato duca di Gerba e divenne vicario della regina Maria, figlia di Federico IV (morto nel 1377), insieme con Artale Alagona, conte di Mistretta, Francesco Ventimiglia, conte di Geraci, e Guglielmo Peralta, conte di Caltabellotta. Nel governo di Palermo Manfredi fu affiancato dal succitato cavaliere Giovanni de Michaele, più volte pretore, e da altri componenti della medesima famiglia che ricoprirono il ruolo di giudici. Il tesoriere di Manfredi era Federico de Federico, figlio di Ranieri e Fiorenza de Lombardo, la cui cappella, denominata San Salvatore, si trovava nella chiesa di San Francesco dov’è tutt’ora visibile lo stemma di famiglia. Manfredi commissionò ai pittori Cecco di Naro, Simone da Corleone, Pellegrino Dareno il soffitto ligneo della Sala Magna dello Steri, realizzato tra il 1377 e il 1380, che è stato letto come un’enciclopedia della cultura medievale e dove compaiono scene bibliche, leggende medievali ed episodi dei 20 cicli letterari carolingio troiano, bretone.
Scelse come luogo di sepoltura San Nicolò della Kalsa e con il suo pomposo e dispendioso funerale complicò ulteriormente la già critica situazione finanziaria. Alla sua morte (1391) le cariche di ammiraglio e vicario del regno passarono ad Andrea Chiaromonte che, dopo lo sbarco in Sicilia di Martino il Vecchio, duca di Montblanc, del figlio Martino il Giovane e della moglie Maria, re e regina di Sicilia, si ribellò e nel 1392 fu decapitato a Palermo. Lo Steri venne confiscato e trasformato in residenza regia, ma nel luglio del 1393 Enrico Chiaromonte riconquistò la città e s’insediò allo Steri fino al marzo del 1397, quando dovette fuggire da Palermo e le bandiere regie tornarono a sventolare. Il Trecento volgeva ormai al termine e l’epoca dei Chiaromonte era definitivamente tramontata.
Il nuovo secolo iniziò in modo infausto poiché al terremoto politico causato della restaurazione del potere regio, col suo seguito di condanne, confische e vendette contro i sostenitori dei Chiaromonte, si aggiunse la peste che nella primavera del 1401 toccò anche la Kalsa. La morte di Martino il Giovane (1409) e, a breve distanza, del padre Martino il Vecchio (1410) determinò una lunga crisi dinastica e inferse un duro colpo all’isola, che si divise tra i partigiani dell’energica e combattiva Bianca di Navarra, vedova di Martino il Giovane, e del suo alleato Sancho Ruiz de Lihori, luogotenente generale, e i fautori di Bernat Cabrera, conte di Modica e maestro giustiziere, con conseguenze molto pesanti per Palermo, dove la lotta di fazione imperversò duramente. Dopo l’ingresso di Bernat Cabrera e la fuga precipitosa della regina, gli ufficiali cittadini furono sostituiti e alla Kalsa il giurato Simone Paruta fu rimpiazzato da Francesco Ventimiglia. Le somme di denaro erogare nel gennaio del 1412 a Tommaso de Chipriano, balestriere di Porta dei Greci, Blasio Palumba, Giovanni de Balsamo e Thommeo Manaxu, custodi di Porta dei Greci, e ai balestrieri di Porta Termini attestano la partecipazione della Kalsa alle concitate fasi della lotta fra Bernat Cabrera e la regina Bianca, asserragliata allo Steri
Cinque mesi dopo Ferdinando I Trastámara fu eletto re di Aragona e di Sicilia a Caspe e l’isola fu inglobata nel Regno d’Aragona. Dopo soli quattro anni di regno Ferdinando I morì e salì al trono il figlio Alfonso V (1416-1458), che nel 1442 riuscì a conquistare Napoli, profondendo nell’impresa ingenti risorse economiche a discapito della Sicilia, dove cariche e terre demaniali furono svendute per fare cassa. Alla morte di Alfonso V la Sicilia passò al fratello Giovanni II, al quale succedette il figlio Ferdinando II, che sposò Isabella di Castiglia, con la conseguente nascita del Regno di Spagna. Il cambio di dinastia non valse certo a risolvere l’annoso e tristemente attuale problema della spazzatura, così nel 1424 il pretore e i giurati emanarono un bando per impedire che si gettasse immondizia attorno alla chiesa di Sant’Antonio di Porta Termini, pena un’onza da destinare alle mura della città. Altra emergenza tipica delle città medievali era il transito delle carrozze, che deformava continuamente le strade di Palermo. Quindi, nel 1417 i viceré regolamentarono il percorso stabilendo, fra l’altro, che per trasportare la legna nei trappeti le carrozze entrassero per Porta dei Greci o Porta Termini e, costeggiando le mura, attraversassero la marina, la pescheria, il magazzino di San Bartolomeo e il molo. Fra le questioni aperte ricordiamo la presenza di prostitute. Su richiesta del sarto Simone de Balistario e degli abitanti di una vanella pubblica della Kalsa, nel 1420 i giurati ingiunsero a Manfredi de Iancavalerio e al magister Blasio Barrilario di chiudere entro otto giorni la porta del loro cortile sito nei pressi dello Steri, dove vivevano alcune meretrici, poiché si apriva su una vanella posta di fronte alla porta del palazzo del nobiluomo Giovanni Martino Spallitta, dove abitavano persone di buona fama, e si doveva impedire che le prostitute passassero dalla porta e avessero praticam nec conversacionem cum dictis viris et mulieribus. Quanto al ben più cogente problema della difesa, nel 1417 il capitano ingiunse a tutti i portieri della città, inclusi quelli di Porta Termini e Porta dei Greci, di non esportare armi grandi e piccole, corde e canapa, pena la vita.
Nel bando emanato dal viceré nel 1424, per dare disposizioni al capitano, al pretore, ai giudici e ai giurati sullo schieramento di balestrieri e armigeri nei diversi quartieri, si stabilì che gli uomini della Kalsa destinati alla difesa di porte, torri e verdesche si posizionassero lungo la linea delimitata dalle mura poste al di sotto del Castello a mare, il porto, Porta dei Greci e Porta Termini. Quali cambiamenti determinò nel tessuto urbano e nella composizione sociale della Kalsa l’avvento dei Trastámara?
Il piano della Fieravecchia, puntellato di botteghe, taverne e fondaci appartenenti a note famiglie toscane di origine mercantile, come gli Abbatellis, e a monasteri rimase il cuore pulsante delle attività commerciali. Taverne e macelli restarono le attività più redditizie, così una fornace per la produzione charamidorum (tegole e mattoni) fu trasformata in taverna con annesso un grande macello. Dietro lo Steri, divenuto ormai sede regia, si segnala la presenza della calcaria (fornace) magni hospicii regi gestita da Simone Ricio e di abitazioni modeste dove vivevano personaggi dai soprannomi emblematici, come la piccola casa terranea di Giovanni de Filippo, detto Lu Checu, e il cortile di Machaldo di Lu Smidullatu, accanto ad abitazioni più confortevoli come quelle situate alla fine della vanella de la Calcara appartenenti al rais Bartolo de Petro Ioanne, che nel 1480 aveva in casa sei figli e tre schiavi.
Nella vicina ruga magna Grecorum si distinguevano dimore di elevata fattura, come la casa solerata con finestra a colonna, due porte finestre, astraco (terrazzo) e pergolato che Manfredi de Calvellis lasciò in eredità al monastero di San Martino, o il tenimento di case del tesoriere Antonio Sin sito nella ruga de li Ischisani, ma non mancavano edifici ormai fatiscenti. Basti ricordare un tenimento di case in rovina ubicato di fronte alla taverna di mastro Aloisio, che confinava con la casa di Antonio Sin e con quella del rais Bartolo. Fra gli abitanti della Kalsa che attraversarono indenni la bufera abbattutasi su Palermo in seguito alla fine della signoria dei Chiaromonte figura il cavaliere Ubertino la Grua, figlio del mercante pisano Colo e della siciliana Suriana de Lombardo, che fu al contempo barone e burocrate, poiché nel 1394 ricoprì la prestigiosa e remunerativa carica di maestro razionale e nel 1397 divenne barone di Carini.
La sua casa si trovava in contrada San Francesco nella via dei Maccarunari e, pur essendo parrocchiano di San Nicolò della Kalsa, Ubertino volle essere sepolto a San Francesco con l’abito dei minori. La figlia Ilaria sposò il cavaliere catalano Gispert Talamanca, che fu incluso nella cedola dei candidati all’elezione del 1407-1408 per il quartiere Kalsa, insieme con il dominus Ruggero Paruta e il notaio Luca Pullastra, i cui beni erano stati depredati dai ribelli. Lo Steri dei Peruzzi posto in via de Maccarunari, di fronte al palazzo di Ubertino La Grua, passò alla famiglia Omodei. Nel 1435 vi abitava Giovanni de Omodei e la porta detta di lu cortiglu era affacciata sulla ruga di la Talamanca, che traeva il suo nome dalla famiglia del succitato Gispert, genero di Ubertino La Grua. Gli Omodei già attivi nel Trecento nell’amministrazione cittadina come giudici della Kalsa, nel Quattrocento furono giurati.
In seguito al matrimonio fra Aloisia, figlia di Ranieri Federico, e Puccio Omodei, la cappella San Salvatore, edificata dai Federico a San Francesco, passò agli Omodei e nel 1498 vi fu posto il sepolcro realizzato per la terziaria francescana Elisabetta Omodei. Nell’anno indizionale 1480-1481 il giurato Giovanni de Adam ordinò un censimento che fotografa in maniera puntuale il volto della Kalsa alla fine del Quattrocento sul piano quantitativo e qualitativo. Si contavano 933 fuochi, ossia famiglie, gli abitanti erano in totale 4.035. Il censimento cominciò da Santa Maria della Catena, proseguì a San Bartolomeo, quindi a San Nicolò lu grandi, ossia dei Latini, San Francesco, la Magione e terminò nella Loggia dei Pisani. Facevano parte del ceto feudale Federico Abbatellis, barone di Cefalà, la cui situazione economica era tutt’altro che florida a causa delle doti di paraggio costituite per le zie e della vita che l’obbligò ad assicurare ai fratelli cadetti un tenore di vita adeguato, e Giovanni Antonio Spatafora, barone di Solanto, mentre il mercante e banchiere Guglielmo Aiutamicristo sarebbe diventato barone di Calatafimi e Misilmeri e signore di Favara qualche anno dopo. Fra le otto persone qualificate genericamente come nobili appartenenti a famiglie in vista alla Kalsa già nel Trecento, segnaliamo Cola Chabica, Antonio e Federico Ventimiglia, Giovanni de Omodei.
Significativo era il numero di alti burocrati impegnati negli uffici centrali del regno, oltre al succitato Giovanni de Adam luogotenente del conservatore, abitavano alla Kalsa il protonotaro Mariano Alliata, il maestro razionale Giacomo Bonanno, il luogotenente del maestro giustiziere Archimbau Leofanti, un referendario, cinque segretari regi e un mastro notaio della Magna Regia Curia. Lavorava per il comune di Palermo il secreto Federico Crispo. Il ceto giuridico era rappresentato dai dottori in legge Giacomo Lu Chirco, Nicola Sollima, Paolo di Peri e dal noto giurista Filippo Perdicaro. Quanto ai ceti medi e alle attività legate al commercio, si annoveravano ventinove notai, un solo medico, messer Giacomo de Aragona, cinque mercanti, tre dei quali stranieri (un veneziano, un aragonese, un catalano), 139 artigiani e tre rais. In fondo alla scala sociale si collocavano gli schiavi che erano ben 513. La famiglia più numerosa era quella di Giuliano Riggio che contava 31 persone, incluso il capofamiglia. Oltre alla madre, ai sei fratelli e alle quattro sorelle di Giuliano, abitavano con lui madonna Antonia e madonna Violante, la nutrice,il maestro di li pichurilli, una liberta, una cuoca e tredici schiavi, in prevalenza neri. Nutrito era il numero dei componenti della famiglia Alliata: Pietro dichiarò 24 persone, misser Ranieri, il protonotaro Mariano e il mercante Antonio 14 a testa.
Dal censimento appare evidente la crisi dei Teutonici della Magione che, oltre al commendatore, contava soltanto 13 individui: quattro frati, due cappellani, un maggiordomo, un dispensiere, un panettiere, tre garzoni minorenni, uno stalliere di 12 anni. Non a caso, il commendatore Heirich Hoemeister, entrato in carica nel 1471, è considerato la causa della decadenza dell’ordine e fu costretto a ricorrere alla protezione di Ferdinando
II d’Aragona, per difendersi dalle accuse di cattiva gestione economica e condotta immorale. Nel 1491 Giovanni de Adam che, oltre a essere giurato e luogotenente del conservatore, ricopriva la carica di console dei Teutonici di Palermo, chiese al maestro dell’Ordine teutonico della Germania di rimuovere Heirich Hoemeister, accusandolo di avere alienato beni al re.
Di contro, a San Francesco vivevano 49 persone (il guardiano, 35 frati, 13 diaconi, due dei quali piccoli) e continuava a essere la chiesa preferita dalle famiglie più in vista della Kalsa, come attestano gli stemmi intagliati negli stalli del coro ligneo realizzato a San Francesco nel XVI secolo. A testimonianza dell’elevato livello sociale e della ricchezza economica raggiunti dagli abitanti della Kalsa alla fine del secolo basti, infine, ricordare che negli anni ‘90 del Quattrocento il maestro portolano Francesco Abbatellis e il barone Guglielmo Aiutamicristo commissionarono all’architetto Matteo Carnilivari due eleganti palazzi in stile gotico catalano, destinati a dare decoro non solo alle nobili casate d’appartenenza ma all’intero quartiere, la cui configurazione urbanistica era ormai decisamente mutata rispetto al Trecento.
Alessio Brugnoli's Blog

