L’Assedio di Mozia (Parte I)

Lungo la sua marcia Dionisio passò presso le città greche di Camarina, Gela, Akragas, e Selinus, che si trovavano sotto il dominio di Cartagine o le erano tributarie. Tali città furono tutte occupate ad una ad una, gli abitanti accolsero i liberatori a braccia aperte e ciascuna città contribuì a rafforzare il già potente esercito di Dionisio. Persino la nuova città di Himera, sebbene sulla costa settentrionale e molto distante, pare che abbia dato il suo aiuto mandando un contingente di uomini. Complessivamente le forze per terra di Dionisio, si dice che ammontassero ad ottantamila fanti e oltre tremila cavalieri, un esercito formidabile per l’epoca e tale che, insieme alla flotta di sostegno, formava un armamento quale mai prima aveva minacciato la potenza punica in Sicilia. Secondo Diodoro Siculo

Egli aveva sotto i suoi stendardi ottanta mila fanti, e tre mila cavalli; ed avea messe in mare non meno di duegento navi lunghe, dietro le quali venivano forse più di cinquecento destinate ai trasporti sì delle macchine di guerra, che d’ogni altra provvigione

Lasciando il confine più occidentale della Sicilia greca e superando il fiume Mazaro, fu finalmente raggiunto il territorio del barbaro. Giunto ad Erice, le sue vaste schiere intimorirono gli ericini, i quali, sia per non marciare contro le forze dionisiane e sia per il rancore che provavano verso i cartaginesi, decisero di unirsi anch’essi alle file dei sicelioti. Così potè marciare indisturbato verso il fulcro della potenza cartaginese in Sicilia, una città insulare, che si trovava come una gemma preziosa nel mezzo della baia chiusa dalla terra, Mozia, che Diodoro Siculo così definiva

Era situata su un’isola che dista sei stadi dalla Sicilia ed era abbellita artisticamente in sommo grado con numerose belle case, grazie alla prosperità degli abitanti. Con un stretta strada, costruita su una lingua di sabbia, comunica con la Sicilia

Mozia fu probabilmente interessata dalle esplorazioni dei mercanti-navigatori fenici, che si spinsero nel Mar Mediterraneo occidentale, a partire dalla fine del XII secolo a.C.: dovette rappresentare un punto d’approdo e una base commerciale morfologicamente molto simile alla città fenicia di Tiro. Il nome antico in fenicio era Mtw, Mtw o Hmtw, come risulta dalle legende monetali; il nome riportato in greco, Motye, Μοτύη, è citato anche da Tucidide e da Diodoro Siculo. Intorno alla metà dell’VIII secolo a.C., con l’inizio della colonizzazione greca in Sicilia, Tucidide riporta che i Fenici si ritirarono nella parte occidentale dell’isola, più esattamente nelle tre città di loro fondazione: Mozia, Solunto e Palermo. Archeologicamente è testimoniato un insediamento della fine dell’VIII secolo a.C., preceduto da una fase protostorica sporadica ed alquanto modesta. Le fortificazioni che circondano l’isola possono essere forse collegate alle spedizioni greche in Sicilia occidentale di Pentatlo e Dorieo nel VI secolo a.C.

Dionisio radunò tutto il suo esercito sotto le mura dell’isola di Mozia, invitandola alla resa, ma i suoi abitanti risposero picche: da una parte, contando sul dominio del di Cartagine, aspettava di riceve rapidamente aiuti, dall’altra, visti i precedenti, poco si fidava delle promesse nemiche: per cui decisero di resistere agli invasori fino all’estremo delle loro forze. Oltre agli stessi Moziesi sembra molto probabile che nell’isola si trovasse già qualche presidio militare di Cartagine, come guarnigione della città, e sembrerebbe anche che i Greci ivi residenti siano stati arruolati a forza o abbiano preso parte spontaneamente alla sua difesa. Sappiamo che vi erano dei Greci a combattere con i Moziesi da ciò che Diodoro ci dice su Daimes e gli altri suoi concittadini che furono catturati e crocifissi alla caduta di Mozia. La prima mossa dei difensori fu la distruzione della diga artificiale o terrapieno che collegava l’isola alla terraferma.

Per loro sfortuna, Dionisio aveva già previsto questa mossa: fece ricostruire e arginare la strada moziese, rendendo così vano il tentativo di blocco da parte degli isolani. Fatto ciò fece entrare nelle acque moziesi parte della sua flotta da guerra, mentre altre navi le pose all’ancora all’interno della baia. Sebbene non si dica da nessuna parte a quale spiaggia qui si alluda, è chiaro per ciò che viene affermato in seguito, che si faccia riferimento a qualche zona vicina all’ingresso della baia e a sud di Mozia, o all’estremità della punta di terra, oggi Isola Lunga, o, come sembra più probabile, lungo la costa dell’opposta terraferma che è più riparata. Le navi da guerra, invece, furono evidentemente portate verso nord, passando tra Mozia e l’isola Lunga, sulle cui spiagge pare che siano state tutte, o solo in parte, allineate o tirate a riva.

Così, lasciato l’incarico al fratello Leptine di mantenere il blocco di Mozia, il tiranno di Siracusa marciò verso l’interno nel tentativo di sottomettere le città dell’Epicrazia e quelle filo puniche. Spedizione che detto fra noi, non ebbe poi questo gran successo. Se i Sicani – legati all’egemonia di Cartagine in base all’ultimo trattato di pace – quando videro l’esercito siracusano apprestarsi dinanzi alle loro città, scelsero di ribellarsi ai comandi punici e si unirono ai sicelioti ben diversa fu la questione con l’Epicrazia.

Zyz, la nostra Palermo e Solous, Ancyrae, città di cui si sa ben poco, e le città collinari ben fortificate di Segesta ed Entella. Dionisio portò le sue forze sotto le mura di queste città e dopo aver saccheggiato i territori delle prime tre – tagliando persino gli alberi che vi crescevano sul fertile suolo – pose sotto assedio Segesta ed Entella, ma entrambe erano ben fortificate, per paura di essere logorato e di vedersi fuggire l’obiettivo principale, Mozia, dovette tornare indietro con le pive nel sacco.

Dinanzi a questa situazione, il comandante cartaginese Imilcone, decise di giocar d’azzardo: invece di soccorrere direttamente Mozia, provò un raid su Siracusa. In piena notte spedì dieci navi con un suo ammiraglio in direzione del porto siracusano, con lo scopo di distruggere le restanti navi che gli aretusei non avevano portato con sé a Mozia. Non essendo preparati ad un improvviso attacco, i siracusani subirono l’assalto cartaginese e videro le loro navi incendiate nella notte. Secondo quanto ipotizzato da Imilcone, Dionisio avrebbe interpretato la mossa come il preludio a un attacco in grande stile verso la sua capitale; di conseguenza, avrebbe tolto o perlomeno ridotto l’assedio a Mozia, per correre a difenderla: il greco non cadde nel tranello, visto che era alquanto confidente sul fatto che sue mura e le fortificazioni che aveva fatto costruire potessero resistere a qualsiasi assalto nemico. Per cui Imilcone, decise di mutare al volo la sua strategia.

Per prima cosa, attacco a sorpresa contro la flotta siracusana posta nel porto moziese. Il re di Cartagine sperava di cogliere le navi aretusee in una posizione ad esse sfavorevole, e dunque di distruggerle all’interno della baia isolana e porre così fine all’assedio dei sicelioti contro la sua principale roccaforte. Successivamente intendeva punire la polis che aveva ideato l’attacco, violando il precedente trattato di pace; dunque dirigersi verso Siracusa, con forze ancora maggiori. Per mettere in pratica il suo piano, Imilcone spedì 100 delle sue migliori triremi nelle acque di Mozia Nel realizzare questa azione, Imilcone contava di sfruttare un ulteriore vantaggio: era venuto a conoscenza del fatto che in quei giorni Dionisio aveva lasciato Mozia con il suo esercito e che abbia contato su una assenza del Tiranno abbastanza lunga da permettergli di conseguire il suo scopo senza ostacoli da parte delle forze di terra.

I cartaginesi, partiti di notte, approdarono sulla spiaggia di Selinunte e facendo vela da questo luogo, costeggiò il cosiddetto promontorio Lilybaeum, ora Capo Boeo e raggiunse il porticciolo di Mozia sul far del giorno. Nei pressi dell’imboccatura di questo mare interno o baia, Imilcone trovò all’ancora le navi da trasporto greche, non protette, e, naturalmente, non ebbe alcuna difficoltà a distruggerle, quindi, addentrandosi di più nella baia, certamente ad ovest di Mozia e tra questa e l’attuale isola Lunga, pare che abbia disposto le sue navi in ordine di battaglia e fece i preparativi per il preventivato attacco alla flotta da guerra di Dionisio, che come è stato riferito prima, stazionava probabilmente in questa parte del porto

Se ignoriamo che le navi da guerra di Dionisio siano state tirate sulla spiaggia o no, senza dubbio Imilcone le riteneva in una posizione a loro sfavorevole quando comandò l’avanzata verso la baia; perché, imbottigliate come erano le navi greche nelle acque basse della parte più interna del porticciolo, con niente altro forse che un unico stretto canale di acque profonde adatte alla navigazione, non era possibile per loro nessuna operazione di uscita in ordine serrato. Comunque allo stesso tempo e per lo stesso motivo doveva essere fuori discussione anche ogni ulteriore avanzata da parte della flotta cartaginese. L’azione di Dionisio di tirare a riva le navi in questa occasione è stata aspramente criticata, ma si deve considerare il fatto che il varo di imbarcazioni quali le triremi o anche le quadriremi, o penteconters, di quei tempi, non era un’operazione che avrebbe richiesto molto tempo, soprattutto avendo una schiera di uomini a disposizione per eseguire il lavoro, ed inoltre il Tiranno contava probabilmente sulla possibilità di ricevere ampia notizia su ogni mossa del nemico. Il vero errore di Dionisio fu senza dubbio di portare le navi da guerra nella parte più interna poco profonda del porticciolo invece di lasciarle vicino all’ingresso della baia, dove avrebbero affrontato la flotta cartaginese in condizioni non solo uguali, ma più vantaggiose, grazie al numero superiore. L’ingresso della baia, o lo Stagnone, come viene di solito chiamato, è di notevole ampiezza e la profondità dell’acqua nelle sue vicinanze è tale da consentire le manovre richieste da qualunque scontro navale di quell’epoca. Come avevo affermato prima, comunque, pare che Dionisio fosse tanto convinto della impossibilità da parte dei Cartaginesi di qualche intervento pericoloso per i suoi movimenti, che, in quei momenti, forse divenne imprudente e, visto che aveva bisogno degli uomini delle navi per la ricostruzione del molo nel nord di Mozia, non esitò a portare la flotta proprio nella parte più interna del porticciolo, dove questi sarebbero stati a portata di mano e pronti per il lavoro.

Fin qui il progetto di Imilcone era stato eseguito con pieno successo e tutto aveva contribuito all’audace tentativo di soccorrere la città assediata; ma l’onda della fortuna adesso stava per passare dall’altra parte. Dionisio era tornato dalla spedizione verso l’interno ed aveva ripreso il comando delle forze a Mozia, preparandosi egli stesso ad affrontare il generale cartaginese. Senza dubbio si rese subito conto dell’errore commesso di aver fatto addentrare troppo nel porticciolo le navi da guerra, e si diede subito da fare per porvi rimedio come meglio poteva. Le sue capacità di risorsa furono messe in tale momento alla prova, ma egli fu all’altezza della situazione. La posizione della flotta siracusana, così chiusa in quelle acque basse e limitate dalla parte più interna del porticciolo di Mozia, era senza dubbio svantaggioso e critica e solo un’abile manovra, insieme ad una azione energica da parte del comandante, poteva salvarla.

Il tiranno aretuseo per evitare che tutte le sue navi andassero distrutte nel sacco dei cartaginesi, diede l’ordine di porre al sicuro le navi rimaste a terra. Imilcone aveva incominciato il suo assalto, ma egli e il suo esercito marinaro si ritrovarono improvvisamente sotto una pioggia incessante di dardi. La flotta da guerra di Dionisio era infatti stata attrezzata di frombolieri, arcieri e saettieri in grande quantità. Ma c’era qualcosa di diverso che spaventò l’esercito di Cartagine: da terra giungevano frecce lanciate ad ampia distanza. Si trattava dell’uso della catapulta: era la prima volta che essa veniva impiegata durante un assedio. I siracusani, da terra, puntavano in direzione dei cartaginesi le loro baliste, che secondo Diodoro erano di due tipi: una per il lancio di grandi pietre e l’altra per il lancio delle frecce; con queste uccidevano un gran numero di nemici.

Nel frattempo ricorse allo stratagemma di trasportare una notevole parte della sua flotta, circa 80 navi da guerra, per terra o lungo i bassifondi, nel mare aperto fuori dalla menzionata isola; in tal modo, non solo le navi furono salvate, ma vennero anche poste così nella posizione di poter volgere le prue al nemico sopraggiungendo con forze superiori e dal mare aperto. L’allusione di Diodoro (non si può che chiamare così) all’azione di Dionisio del trasporto delle navi in mare aperto è molto laconica, e sfortunatamente la descrizione di Polyaenus, anche se più dettagliata, non è affatto esplicita, e ci lascia in dubbio circa il luogo preciso in cui fu eseguita la manovra. Questa è stata una questione molto controversa che ha dato luogo a notevoli discussioni e congetture.

Secondo Polyaenus, il trasporto delle imbarcazioni fu effettuato “in una zona piatta e paludosa dell’estensione di venti stadia”, ma è difficile dire se ciò significava che di fatto le navi furono trascinate per venti stadia di terra, o soltanto che la striscia di terra in cui le operazioni furono eseguite aveva una linea costiera o fronte di tale misura. Se non fosse stato per tale riferimento ai venti stadia, guardando la carta geografica, non si esiterebbe a collocare la linea di trasporto di Dionisio nella parte più stretta della striscia di terra nota ora come l’Isola Lunga, perché è quella che offrirebbe le maggiori possibilità di manovra sia perché in questo luogo essa è relativamente poco ampia, ma anche per il fatto che è particolarmente pianeggiante e paludosa, anche se tali termini si possono pure applicare ad altre parti delle spiagge esterne della baia di Mozia.

Più di uno scrittore su questo argomento è stato pienamente a favore di tale opinione e non c’è dubbio che le prove a suo sostegno sono fondate. Studiosi autorevoli più recenti , comunque, interpretando l’allusione ai venti stadia da applicarsi al tratto di terra lungo cui sono state trasportate le imbarcazioni siracusane, preferiscono collocare la linea di trasporto a nord-ovest di Mozia, cioè a dire, dalla parte più interna del porticciolo, ad ovest del molo o terrapieno, verso l’attuale canale che separa l’Isola Lunga dalla terraferma nel punto oggi noto come Capo San Teodoro, e, per fare riferimento ai venti stadia, suppongono che tutta quella parte della baia dall’una e l’altra parte dell’isoletta di Santa Maria e a nord di questa, che oggi non è altro che acqua e bassifondi, un tempo sia stata terra asciutta.

Oggi, in considerazione delle prove offerte dalle ricerche recenti, cioè che il rapporto terra-acqua nello Stagnone di Marsala è più o meno identico a quello dell’antichità, non si può più sostenere quella ipotesi, a meno che non si sia disposti ad accettare l’idea alternativa di collocare la linea di trasporto di Dionisio attraverso l’Isola Lunga. Pare che ci sia solo una possibilità di uscire da tale difficoltà di interpretazione.

Essa consisterebbe nel supporre che le imbarcazioni siracusane siano state trascinate non attraverso un territorio completamente asciutto ma su dei bassifondi, quelli tra la parte interna della baia di Mozia e l’attuale Capo San Teodoro, che probabilmente apparivano a quei tempi più o meno come si presentano oggi. Holms colloca la linea di trasporto a nord-est, o lato interno dell’isola di Santa Maria ma potrebbe lo stesso essere stata a sud-ovest, o lato esterno. Ciò, comunque, è irrilevante, e non prende in considerazione la distanza dei venti stadia, che è il punto importante. Si potrebbe pensare che il trasporto effettivo delle imbarcazioni attraverso i bassifondi sia stata una impresa meno ardua di quanto sarebbe stato trascinarle di peso su terreno completamente asciutto e di conseguenza la manovra sarà stata eseguita in quel luogo con relativa celerità. Polyaenus parla del trasferimento di 80 triremi in un giorno.

La parte più grande dello Stagnone, al giorno d’oggi, ha un’abbondantissima vegetazione marina composta soprattutto di un’alga particolarmente soffice attraverso cui si possono facilmente tirare o spingere imbarcazioni senza che le chiglie o le parti inferiori ne abbiano al soffrire danni; e nelle parti più rocciose i rotolatori di legno di cui erano fornite le imbarcazioni greche avrebbero certamente offerto maggiore protezione contro questo inconveniente. Anche se la necessità di trascinare imbarcazioni per terra o su bassi fondali non sarà stata una cosa insolita nell’epoca delle triremi, si potrebbe anche dubitare che ciò sia mai stato fatto prima con una portata tanto ampia quanto quella relativa a tale situazione particolare quando la sua esecuzione è stata di molto facilitata, per non dire resa possibile dal consistente numero di uonùni che Dionisio fu in grado di impegnare in tale impresa. La perfetta manovra del Tiranno non è stata che la prima di operazioni simili a cui hanno fatto ricorso altri capi nella storia di epoche successive.

Imilcone credendo che Dionisio stesse portando la flotta alle sue spalle, in maniera tale da chiuderlo al centro, ebbe timore di far proseguire l’avanzata punica. E vedendo i suoi uomini cadere sotto la gittata nemica, decise di abbandonare le acque moziesi e di ritirarsi.I sicelioti avevano preso il porto. Cartagine abbandonava a sé stessa l’isola che fino a quel momento era stata la sua più potente e opulenta alleata siciliana. Dionisio ebbe così campo libero e poté far terminare la ricostruzione della strada che avrebbe permesso ai suoi uomini di attraversare le basse acque che separavano le sue macchine d’assalto dalle mura di Mozia. Appena finito il lavoro, l’esercito dei greci si posizionò con ogni sorta d’arma sotto le fortificazioni moziesi.

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Published on January 24, 2022 07:07
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Alessio Brugnoli
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