I primi passi di Dioniso I
Tornando alle vicende di Dionisio di Siracusa, la sua situazione dopo la sconfitta da Imilcone era alquanto precaria: da una parte, aveva giustificato il suo colpo di stato spacciandosi come il migliore generale possibile per sconfiggere i Cartaginesi. Dall’altra, beh, Imilcone gli aveva concesso poco più di un tregua, dovuto allo scoppio di un’epidemia. Nonostante il trattato umiliante per la polis siciliana, non era da escludere che nel Senato Cartaginese passasse invece la linea dura, la conquista della città, per risolvere alla radice i problemi causati dalle colonie greche.
Tutto questo rendeva la base del suo potere, come testimoniato dall’ammutinamento e dalla rivolta della sua cavalleria, assai precaria. Per evitare il disastro, Dionisio non stette con le mani in mano; per evitare che qualcuno, imitandolo, gli facesse le scarpe, decise di fortificare l’isola di Ortigia, fornendola di una forte guarnigione, in modo che potesse fungere da ultima difesa sia in caso di rivolte, sia in caso di colpo di mano punici. Sempre a Ortigia, dato che si era reso conto, che senza il controllo del mare, la guerra contro Cartagine diventata una sorta di tela di Penelope, costruì un arsenale, capace di realizzare e custodire una flotta di sessanta triremi. Infine, per puntellare il suo potere e rafforzare la sua popolarità, al grido di terra i contadini distribuì le proprietà dei cavalieri ribelli in parte ai suoi sostenitori più fedeli, in parte ai cittadini più poveri, compresi quelli che Diodoro Siculo chiama nepoliti, nuovi cittadini. Dionisio, forse per ispirazione dei suoi mercenari osci e sanniti per compensare le perdite subite nella recente guerra persa, compie un gesto che è tipico della tradizione italica, ma che è totalmente di rottura in quella greca. Libera schiavi meritevoli, fedeli alla sua causa, trasformandoli nell’equivalente romano dei liberti.
Poi si pose la questione della città sicula di Erbesso, che nella recente guerra, si era alleata con i Cartaginesi, scomparsa in tempi antichi, che storici e archeologi identificano con Pantalica o più probabilmente con il sito di Montagna di Marzo a Piazza Armerina, in cui recentemente sono stati ritrovati i resti di un importante teatro romano: perchè Dionisio si interesso a questa polis, che come affermava Diodoro Siculo, non era certo tra le più ricche della Sicilia, tanto che i cittadini di una sua colonia, Alesa Arconidea, oggi Santa Maria delle Palate, nel territorio del comune di Tusa, si vergognavano di tale origine ?
Il motivo era prettamente militare: l’acquedotto che riforniva Siracusa, fatto costruire da Gelone, era alimentato da delle sorgenti che si trovavano nel territorio di Erbesso. Se i Cartaginesi le avessero controllate, la resistenza in caso di assedio sarebbe durata ben poco. Per cui spedito un contingente di soldati guidati da Dorico, che però, sin dall’inizio ebbe una serie di problemi: gli opliti, per una questione di ritardo nel pagamento della diaria, si ammutinarono. Dorico, temendo di trovarsi dinanzi a una replica della rivolta dei cavalieri, represse con mano pesante la protesta. Cosa che però, si trasformò in un boomerang nei confronti di Dionisio.
I mercenari del suo esercito interpretarono il tutto come un segno della volontà da parte dei Tiranno di non pagare quanto concordato: una parte entrò in sciopero, una parte si schierò con gli opliti ribelli. Risultato, il programmato assedio di Erbesso rischiò di trasformarsi un una disfatta, con i siculi che dalle loro mura osservavano i Siracusani scannarsi tra loro. Per non fare la fine del topo, Dionisio prese armi e bagagli e scappò a Siracusa, per rifuggiarsi ad Ortigia.
Gli opliti ribelli non persero tempo per organizzare un contro colpo di stato, nominando come leader il corinzio Nicotele, che prometteva il ripristino della democrazia: chiesero poi rinforzi a Messene, la nostra Messina e a Rhegion, Reggio Calabria. Le due polis, che, a ragione, temevano come Dionisio avevesse più intenzione di sottomettere le altre colonie greche che di lottare contro i Cartaginesi, misero da parte la loro tradizionale rivalità e spedirono, a supporto dell’insurrezione, 80 triremi.
Vista la mala parata, Dionisio pensò seriamente a dare retta al suocero Polisseno, che consigliava di scappare in esilio in Grecia: fu solo l’appoggio di Filisto, il futuro storico, ma che all’epoca era il comandante militare della guarnigione di Ortigia, a convincerlo a resistere a oltranza, anche il ritanno, rispetto ai nemici aveva un vantaggio non da poco, il controllo delle casse siracusane. La disponibilità di denaro sonante gli permise di arruolare nuovo mercenari, 1200 cavalieri osci e 300 opliti spartani. Cosa che non avvenne nel campo avverso: molto dei mercenari, visto che i ribelli fossero altrettanto poco propensi a pagarli di Dionisio, abbandonarono la lotta. Molti degli opliti, visto che si stava avvicinando la stagione del raccolto, tornarono nei loro. Così Dioniso, approfittando della recuperata superiorità numerica, ordinò una sortita, che sconfisse i ribelli nei pressi della Neapolis.
Per una volta, il tiranno si mostrò morigerato nella gestione della vittoria, anche perchè temeva la prossima offensiva cartaginese: buttare benzina sul fuoco non avrebbe fatto nulla più che aiutare i nemici. Per cui, accettò di concedere l’amnistia ai ribelli: però, per evitare che in futuro prendessero di nuovo strane iniziative, da una parte, mise in piedi una sorta di polizia segreta, l’equivalente della Crypteia spartana, per controllare capillarmente con lo spionaggio e la delazione, dall’altra, confiscò gli scudi e le armi dei suoi concittadini, per evitare qualsiasi insurrezione.
Il fatto che avesse così consolidato il potere, gli permise di consolidare i contatti diplomatici con Sparta, che cercava in qualche modo di recuperare l’alleanza e l’appoggio siracusano, che era saltato a seguito della recente guerra con Cartagine, la quale, pur non essendo filo ateniese, aveva con la città dell’Attica spesso e volentieri una convergenza di interessi. Così l’ammiraglio spartano Lisandro, che sotto certi aspetti aveva molto in comune con Dionisio, entrambi erano militari di grande competenza, ambiziosi, austero, onesti ed integerrimi, crudeli, maestri nell’arte dell’intrigo e della dissimulazione, gli mandò una sorta di ambasciatore, per coordinare le politiche comuni, chiamato Areta.
A riprova dell’atteggiamento machiavellico di Dionisio, vi è una battuta che gli attribuisce Plutarco
si dovrebbero ingannare i bambini con i dadi e gli adulti con i giuramenti
Forte dell’appoggio politico ed economico di Sparta, che ricordiamola, era finanziata dalla ricchissima Persia, Dionisio, dopo avere consolidato il suo potere, nel 403 a.C. si dedicò quindi al successivo obiettivo: coagulare attorno a Siracusa, con le buone o con le cattive, tutte le forze che in Sicilia si opponevano al predominio cartaginese.
Con le cattive, risolse la questione Katane e Naxos. Ricordiamo come Catania, che si era schierata al fianco di Atene, Sottoposta per questo a un’offensiva di Siracusa, dopo la sconfitta degli Ateniesi fu salvata dall’invasione cartaginese della Sicilia del 409 a.C. Dionisio riprese l’offensiva riuscì a conquistarla, la rase al suolo, ne donò parte del territorio ai suoi alleati siculi. e ne vendette in parte come schiavi gli abitanti. I superstiti si rifugiarono in un primo tempo a Milazzo, ma da qui poi furono espulsi, e si dispersero in varie località della Sicilia. Dionigi ripopolò la città con i suoi mercenari campani
Un destino simile Naxos, conquistata a segutio del tradimento di un suo concittadini Polieno, forse lo stesso che conia le monete del tardo V secolo a.C. La polis fu completamente rasa al suolo e gli abitanti venduti come schiavi. I pochi abitanti che riuscirono a sottrarsi dalla vendita come schiavi tornarono tuttavia sul posto, ricostruirono gli edifici e iniziarono a battere moneta con il nome di Neapolis.
Con le buone, Leontini ed Erbesso. Leontini era nelle mani dei profughi di Akragas, il cui tasso di irritazione nei confronti di Dionisio aveva raggiunto livelli epici: per cui, per evitare qualche imbarrazzante sconfitta, il tiranno di Siracusa trovò un compromesso, ribadendo per l’ennesima volta il suo impegno per farli tornare a casa. Con Erbesso, visti i procedenti, fu trovato un accordo, autorizzando poi i suoi abitanti a fondare la suddetta Alesa Arconidea, nei pressi della nostra Tusa, dove era già sorto un insediamento di mercenari campani stabilito qui dai Cartaginesi dopo la pace con Siracusa nel 405 a.C.: il nuovo insediamento greco-siculo ha anche il compito di fronteggiare un’eventuale espansione cartaginese nella zona. Le monete coniate ad Alasa hanno come emblema della città una colonna sormontata da un cane, simboleggiando la sua funzione di controllo del territorio.
Alessio Brugnoli's Blog

