La Casa Professa (Parte II)

In un lampo al Principe apparí l’immagine di Mariannina con la testa affondata nel guanciale. Alzò seccamente la voce: “Domenico” disse a un servitore “vai a dire a don Antonio di attaccare i bai al coupé; scendo a Palermo subito dopo cena.” Guardando gli occhi della moglie che si erano fatti vitrei si pentí di quanto aveva ordinato, ma poiché era impensabile il ritiro di una disposizione già data, insistette, unendo anzi la beffa alla crudeltà: “Padre Pirrone, venga con me; saremo di ritorno alle undici; potrà passare due ore a Casa Professa con i suoi amici.”

Andare a Palermo la sera, ed in quei tempi di disordini, appariva manifestamente senza scopo, se si eccettuasse quello di una avventura galante di basso rango; il prendere poi come compagno l’ecclesiastico di casa era offensiva prepotenza. Almeno padre Pirrone lo sentí cosí, e se ne offese; ma naturalmente, cedette.

L’ultima nespola era stata appena ingoiata che già si sentiva il rotolare della vettura sotto l’androne; mentre in sala un cameriere porgeva la tuba a don Fabrizio e il tricorno al gesuita, la Principessa ormai con le lacrime agli occhi, fece un ultimo tentativo, quanto mai vano: “Ma, Fabrizio, di questi tempi… con le strade piene di soldati, piene di malandrini… può succedere un guaio.” Lui ridacchiò. “Sciocchezze, Stella, sciocchezze; cosa vuoi che succeda; mi conoscono tutti: uomini alti una canna ce ne sono pochi a Palermo. Addio.” E baciò frettolosamente la fronte ancor liscia della principessa che era al livello del suo mento. Però, sia che l’odore della pelle della Principessa avesse richiamato teneri ricordi, sia che dietro di lui il passo penitenziale di padre Pirrone avesse evocato ammonimenti pii, quando giunse dinanzi al coupé si trovò di nuovo sul punto di disdire la gita. In quel momento, mentre apriva la bocca per dire di rientrare in scuderia, un grido subitaneo: “Fabrizio, Fabrizio mio!” giunse dalla finestra di sopra, seguito da strida acutissime. La principessa aveva una delle sue crisi isteriche. “Avanti” disse al cocchiere, che se ne stava a cassetta con la frusta diagonale sul ventre. “Avanti, andiamo a Palermo a lasciare il Reverendo a Casa Professa.” E sbatté lo sportello prima che il cameriere potesse chiuderlo.

E’ un brano di quello splendido romanzo, ultimamente però sempre meno letto, che è il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, in cui si cita la Casa Professa, di cui ho raccontato la storia la scorsa settimana la storia. Oggi è il turno di una visita virtuale a questa meravigliosa chiesa. La facciata rivolta a nord nella parte centrale è caratterizzata da un doppio ordine di lesene binate sovrapposte di colore scuro che esaltano il senso di profondità creato dal rilievo prospettico. Semplici lesene delimitano nel primo ordine gli ingressi minori sormontati da nicchie. I due ordini sono raccordati da volute con riccioli verso il basso. Chiude il frontone costituito da timpano ad archi spezzati sovrapposti e fregio centrale con cristogramma retto da volute in rilievo.

Il portale principale è costituito da colonne con capitelli corinzi sormontati da timpano spezzato ad archi sovrapposti, nella nicchia intermedia è collocata l’espressiva Madonna della Grotta, sul cartiglio la dicitura “JESUS VOCATVM EST NOMEN EIUS”.

Il complesso prospettico è arricchito da statue raffiguranti santi della Compagnia di Gesù. Sul lato destro San Francesco Saverio collocato sul portale, San Francesco Regis, che convertì numerosi ugonotti in Francia, sul vertice, San Giacomo Kisai in secondo piano e San Giovanni Soan di Gotò sul cornicione laterale, entrambi martiri in Giappone, vittime delle persecuzioni anti cristiane dello shogun Tokugawa. Le statue delle nicchie sul lato sinistro raffigurano Sant’Ignazio di Loyola collocato sul portale, San Francesco Borgia sul vertice, San Paolo Miki, sempre martire giapponese, in secondo piano e San Francesco de Geronimo, l’apostolo dei bassi napoletani, sul cornicione laterale. Insomma, il tutto è diventato una sintetica celebrazione dei modelli di Santità dei Gesuiti.

Nella controfacciata fiancheggiano il portale due altorilievi o teatrini di Gioacchino Vitagliano, cognato di Giacomo Serpotta e scultore della fontana de Garraffo a Piazza Marina, coadiuvato dal discepolo Ignazio Marabitti, il principale scultore rococò sicliano, raffiguranti Gesù e la Samaritana e Gesù ridà la vista al cieco. Nel vestibolo sono collocate le statue di Giaele, Giuditta e Oloferne, Rebecca, Giacobbe e Esaù, Ruth.

L’inusuale timpano spezzato (sezione tronco sferica intersecata da archi ortogonali) del portale d’ingresso che immette alla navata principale è arricchito con pregevoli opere di Ignazio Marabitti: il Cristo fanciullo e Putti su nimbi posti sotto la piccola volta, le sime arricchite da angeli con ali spiegate, l’intero manufatto sormontato da monumentale cartiglio e stemma con cristogramma IHS, in alto la finestra con vetrata dedicata a Maria diametralmente opposta a quella di Gesù posta nell’abside.

L’addobbo interno – “le cui pareti sono coperte da marmi, da tarsie, da statue e da arabeschi senza fine, che debbono aver costata immensa copia di danaro agli ambiziosi Lojolei (da Ignazio di Lojola) i quali ogn’altro tempio vollero mai sempre offuscare nella città colle loro magnifiche chiese” (C. Castone, Viaggio della Sicilia, 1793) – costituisce un importante esempio di fusione tra architettura, pittura e decorazione plastica. Particolarmente vivace è la decorazione a mischio, cioè a tarsie marmoree pregiate, composte a motivi floreali o figurati. Nel romanzo Il Gattopardo viene ricordata una visita a Casa Professa di don Pirrone, il prete di casa Lampedusa, durante una passeggiata esempina in carrozza del Principe.

Riguardo alla decorazione a marmo mischio dell’abside di Casa Professa, “rappresenta indubbiamente l’apporto più significativo e originale della cultura artistica siciliana alla civiltà del barocco europeo; integrazione dinamica tra architettura, scultura e pittura, secondo la prassi e l’estetica secentesche, animazione ipertrofica di colori e immagini (“in guisa che senza pennello sembra opera di pennello” scrive il Mongitore). Addobbo teatrale articolato attraverso ricchi e complessi sistemi concettuali, la decorazione a mischio e a tramischio (con parti a rilievo) è anche il genere dove con maggiore chiarezza si coglie il carattere distintivo del barocco siciliano: una collaborazione tra architettie scultori, marmorari e pittori che spesso stabilisce confini assai labili tra le diverse categorie d’artigiani, e che anzi su questa ininterrotta continuità di mestieri fonda la dimensione trionfante del grande cantiere della Esempio barocca, dalla seconda metà del Seicento ai primi decenni del Settecento.

Un’attività così intensa e prolungata esigeva la specializzazione d’intere botteghe spesso a conduzione familiare, e un’organizzazione del lavoro dove il programma concettuale fosse affidato, con una distinzione menzionata nei documenti, a marmorari, a scultori e architetti. Ma aldilà dell’animazione brulicante e della ripetizione a moduli verticali derivata dalle grottesche rinascimentali e manieriste, la decorazione a mischio trovava, proprio nella composizione simbolica e dottrinale, la propria unità e il controllo di una vasta iconografia che recepiva ed elaborava un repertorio a cui l’ordine dei Gesuiti aveva dato, lungo tutto il Seicento, un contributo fondamentale recuperando il valore didascalico di molte figure ed episodi dell’arte medievale ed elaborando i modelli proposti da Ripa nella sua Iconologia. La chiesa dei Gesuiti di Casa Professa rappresenta in questo senso l’esempio più complesso e grandioso, il più unitario nella volontà di sottoporre l’intera decorazione a mischio, gli scultori e gli architetti che negli stessi anni prestavano la loro opera ad altre chiese e cappelle, sono chiamati ad approntare il ripetitivo ma variegato repertorio d’immagini ed ornamenti all’esaltazione dottrinale e a ribadire la potenza dell’ordine”.

Entrando subito a destra si trova la Cappella delle SS. Vergini, in essa troviamo affreschi attribuiti a Gaspare Bazano e il magnifico altare sulla quale troneggia la statua dell’angelo custode. La seconda, quella dei SS. Confessori (ora Madonna di Pompei), dove al centro si trova un’imponente pala d’altare che raffigura i tre Santi Martiri Giapponesi del 1629, conserva alle pareti laterali, due quadri del pittore monrealese Pietro Novelli: a sinistra S. Paolo Eremita (a sinistra del quadro l’autoritratto dell’autore) e a destra S. Filippo d’Agira nell’atto di guarire un ossesso. Seguono la cappella dedicata ai SS. Martiri con opere di Francesco Spatafora e affreschi di Antonino Grano.

Proseguendo sempre sul lato destro della chiesa si incontra la cappella della Madonna. Sullo sfondo, nell’altare, una statua gaginesca della Madonna di Trapani. Ai lati dell’altare possiamo ammirare dei marmi mischi a rilievo che raffigurano due serie di false prospettive di colonne tortili attribuite allo scultore toscano Camillo Camilliani.Arrivati al transetto sempre sulla destra troviamo la Cappella di S. Francesco Saverio dove al centro, nell’altare, si trova il quadro del Santo gesuita opera di Federico Spoltore che sostituisce l’originario distrutto dai bombardamenti del 1943, opera di Pietro d’Asaro detto il monocolo di Racalmuto.

L’ultima sulla destra è la cappella di S. Luigi Gonzaga con il suo magnifico altare dove fa bella mostra un bellissimo altorilievo del Santo in gloria, pregevole opera di Ignazio Marabitti. In questo altare sono presenti alcuni elementi marmorei dell’altare che custodiva il famoso quadro di Raffaello “lo Spasimo di Sicilia” opera di Antonello Gagini. L’absidiola di destra è la cappella della Sacra Famiglia, particolarmente bella con un bel dipinto di A.no Grano che raffigura la Sacra Famiglia al centro dell’altare circondato da stucchi di Procopio Serpotta. Di grande pregio artistico il paliotto ad intarsio marmoreo policromo di questo altare, raffinata opera di oreficeria marmorea realizzata da marmorari locali.

Il presbiterio è una spettacolare macchina teatrale barocca: uno stupendo scenario di allegorie volte a rappresentare, attraverso un complesso discorso teologico, la glorificazione del Nome di Gesù. Tutto il fondo dell’abside è consacrato all’incarnazione del Verbo del SS. Sacramento. Particolare menzione meritano i gruppi marmorei del nicchione centrale, quello di Abigal e David e quello di Achimelech e David realizzati da Gioacchino Vitagliano probabilmente su disegni di Giacomo Serpotta. Ai lati dell’altare maggiore sulle due cantorie è collocato un prezioso organo a canne, a trasmissione elettrica, costruito nel 1952 dalla ditta organaria di Crema Tamburini, considerato tra i più interessanti esistenti a Palermo.

Sul lato sinistro, a cominciare dall’ingresso, troviamo la Cappella di S. Rosalia, sull’altare un quadro raffigurante la Santa Patrona di Palermo ritratta come da tradizione con le vesti simili a quelle delle monache basiliane, riproduzione di un quadro portato in processione in occasione della peste del 1624 rifatto da Vito D’Anna nel 1745. I grandi affreschi delle pareti sono dello stesso D’Anna mentre quelli della volta sono di Antonino Grano. La seconda di sinistra è la Cappella dell’Immacolata e di S.Francesco Borgia: il quadro del Santo genuflesso davanti all’Immacolata è opera di Rosalia Novelli.

A seguire troviamo la Cappella dei SS.Martiri giapponesi (ora Sacro Cuore di Gesù), la più esuberante e ricca di decorazioni a pietre mischie. Il quadro del Sacro Cuore di Gesù posto al centro dell’altare è della pittrice palermitana Maria Salmeri Lojacono del 1965. La successiva, la Cappella del Crocifisso, custodisce un magnifico crocifisso ligneo su uno splendido reliquiario dorato. Alle pareti vi troviamo affreschi raffiguranti la Crocifissione, l’Invenzione della Croce, la Deposizione e l’Esaltazione della Croce mentre nel soffitto è raffigurato il trionfo della Croce, opere del gesuita Orazio Ferraro.

Nel transetto di sinistra la cappella dedicata a S. Ignazio di Loyola, dove al centro dell’altare possiamo ammirare l’imponente statua di S. Ignazio che trionfa sull’eresia di Giovanni Maria Benzoni (copia di quella esistente nella basilica di S. Pietro a Roma).
A sinistra del presbiterio la Cappella di S. Anna, dopo quella del presbiterio forse la più bella della chiesa. Nell’altare il dipinto della Santa genitrice della Madonna. Posti dentro le nicchie delle pareti si trovano dei gruppi scultorei che rappresentano a sinistra S. Gioacchino e S. Anna che ringraziano l’Eterno Padre per la fecondità concessa e a destra la Vergine bambina tra i genitori. Gli affreschi della cupola sono di Pietro Novelli.

Sul fianco a sinistra dell’abside è ubicato il chiostro quadrato lievemente sfalsato sull’asse N – S confinante con l’aggregato della chiesa di Sant’Orsola dei Negri e la chiesa dei Santi Quaranta Martiri Pisani al Casalotto. I porticati sono costituiti da 12 campate, il cortile è ripartito in 9 quadranti, mentre all’esterno sul fianco destro a ridosso del braccio del transetto è ubicato il chiostro quadrato. I porticati sono costituiti da 5 campate, il cortile presenta una pavimentazione con motivi geometrici.

La nostra visita continua nei locali adiacenti alla chiesa: concepita come una cappella, la sacrestia monumentale conserva al suo interno una pregevole armadiatura lignea finemente intagliata, realizzata tra il 1621 e 1634 ad opera del gesuita Giovanni Paolo Taurino. Nella parete di fondo, sopra l’altare si trova un monumentale reliquiario sul quale poggia l’imponente Crocifisso di chiara matrice seicentesca.

La magnificenza propria dell’Ordine è ravvisabile visitando il Museo che custodisce opere artistiche e manufatti artigianali di inestimabile valore. L’area d’esposizione, estesa su due livelli, si articola in alcune sale tematiche. La Sala I è la Sala dei Paliotti in cui si custodiscono alcuni originali paliotti di epoca barocca a tema figurato ed architettonico. Tra di essi emergono, per eleganza e raffinatezza esecutiva, quelli impreziositi da grani di corallo e fili d’oro e quello con l’imponente “Trionfo della Fede su un carro trainato dai quattro Evangelisti e dai Santi Ignazio e Francesco Xavier” della prima metà del XVII sec. Nella stessa sala si può ammirare lo splendido capezzale di S. Rosalia della prima metà del Seicento, realizzato in corallo, rame dorato e smalti ed l’ottocentesco Fercolo processionale con la statua di Sant’Ignazio da Loyola, del fondatore della Compagnia di Gesù. La Sala II è denominata Sala del Crocifisso presenta, entrando sulla destra, alcuni elementi architettonici di quella che era la chiesa medievale dei Santi Cosma e Damiano, demolita per la costruzione del Complesso gesuita. All’interno, la sala contiene varie opere della spiritualità gesuitica, busti-reliquiario ed altri manufatti di scuola trapanese ed uno splendido crocifisso ligneo. La Sala III detta “La Farina” espone una selezione di maioliche appartenenti alla donazione La Farina ed alcune opere pittoriche tra cui in paesaggio ottocentesco di Francesco Lojacono. Al primo piano si trova la Sala IV “La Nuza” ed ospita una raccolta di dipinti dalla fine del XV al XIX sec. ed il dipinto con il bozzetto dell’antico affresco della volta della Chiesa del Gesù “La Gloria di S.Ignazio da Loyla e della Compagnia del Gesù” del pittore Filippo Randazzo. All’interno delle teche sono esposti importanti suppellettili liturgiche del Seicento e del Settecento.

Dall’area museale al piano terra si accede, scendendo una breve rampa ad un antro sotterraneo che immette alla desueta area di sepoltura riservata ai padri gesuiti. Il luogo è identificato anche con il nome di Antro di S. Calogero in riferimento all’antica chiesa ipogea di “S. Calogero in Thermis” che secondo la tradizione , era dimora e luogo di preghiera del Beato Calogero vissuto a Palermo nel IV sec. d.C. La Cripta si articola in due vani irregolari a pianta quadrangolare scavati interamente nella roccia; il primo vano ospita due altari mentre il secondo vano, con copertura a volta, presenta sulle pareti alcune nicchie semicircolari e da tracce di pittura parietale affiora l’effige della Vergine con il Bambino. Addossati alle pareti si trovano i colatoi originariamente chiusi da lastre d’ardesia in cui andavano deposti i resti mortali dei confratelli, fintanto non avessero subito il lento processo di essiccamento.

La visita virtuale termina con l’ Oratorio del Sabato, che prende il nome dall’ultima congregazione a cui viene affidato, quella della Croce e Martorio di Cristo che in tale giorno settimanale si riuniva, ma la sua fondazione si deve alla congregazione degli Artisti sotto il titolo della Purificazione della Vergine che vi si trasferisce nel 1686. Nello stesso anno, la cappella però passa alla congregazione dei Gentiluomini o Corteggiani, fondata da padre Luigi La Nuza con il nome di Venerabile Congregazione di San Francesco Borgia sotto il titolo di Nostra Signora della Concezione. Nel 1693 i Gentiluomini commissionano al giovane Procopio Serpotta, figlio di Giacomo, la decorazione della cappella come riportato negli archivi dei Gesuiti. Dopo l’espulsione dei Gesuiti nel 1767 che porta all’espropriazione dei loro beni, l’Oratorio viene affidato al Senato palermitano , ma questi preferì restituirlo in cambio di altri due Oratori. Nei primi dell’Ottocento, ritornando i Gesuiti a Palermo, l’oratorio viene affidato ad un’ultima congregazione, quella della Croce e Martorio di Cristo o del Sabato. Nel corso del Novecento viene restituito ai Padri Gesuiti, affronta diversi restauri ed entra nel 2009 nel percorso museale del Complesso del Gesù di Casa Professa. L’Oratorio, ad aula unica e rettangolare, presenta le pareti ornate da Allegorie ovvero statue in stucco ispirate alle Virtù affiancate a cornici dove erano alloggiate le tele raffiguranti eroine bibliche, probabilmente trafugate dopo l’allontanamento del 1767 dei Gesuiti. Sul tetto e lungo le pareti un tripudio di putti ed angeli in stucco incorniciano gli affreschi e contornano i tondi. L’altare in marmo policromo custodisce il tabernacolo ed è sovrastato da un dossale in legno dorato, con anteposto un crocifisso ligneo dei primi del Seicento . Nel sottocoro una piccola tela con S. Anna e la Vergine del XVIII secolo. Sulla volta, lo splendido affresco dell’Incoronazione della Vergine, mirabile opera pittorica settecentesca attribuita al pittore siciliano Filippo Randazzo. Il pavimento in marmo del 1908 sostituisce uno precedente in maioliche a figure zoo-fitomorfe dei primi del settecento; rimosso e trafugato è stato successivamente recuperato ed oggi è esposto per parti e montato su pannelli a quadroni, nella sala antistante l’Oratorio.

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Published on December 18, 2021 04:53
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Alessio Brugnoli
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