Palazzo Mirto (Parte II)
Passiamo ora al primo piano di Palazzo Mirto, dove erano gli ambienti di rappresentanza, disposti attorno ad un cortile pensile con una splendida fontana barocca e culminanti nel Salone del Baldacchino e nel Salone degli Arazzi. In quest’ultimo si svolgevano le feste e tutte le cerimonie ufficiali che scandivano la vita nobiliare e che tendevano ad esaltare l’eccellenza del casato Filangieri.
L’ingresso è arredato con cassoni siciliani e con due busti di nobili romani della manifattura del barone Malvica (sec. XVIII). Alle pareti i ritratti di due antenati, Giacomo Fardella, barone di San Lorenzo e Antonio Fardella I. Sul soffitto una pregevole pittura della fine del XVII secolo raffigurante Diana, la dea della caccia, e la ninfa Callisto. Ovidio (Metamorfosi II, 442-443) narra che Giove, invaghito di Callisto, assunse le sembianze della dea e giacque con l’inconsapevole ninfa rendendola gravida. Diana, accortasi della gravidanza, punì l’offesa alla castità trasformando Callisto in orsa e sguinzagliandole dietro alcuni cani, Giove mutò la ninfa in costellazione dandole visibilità nel cielo. Nella sala anche medaglioni in marmo con bassorilievi; alcuni, raffiguranti personaggi della casa imperiale augustea posti di profilo, qualcuno rielaborato secondo il gusto neoclassico.
Da qui si passa alla Stanza del Novelli, chiamta così per la presenza di un autoritratto del pittore barocco. Sul soffitto una curiosa pittura ottocentesca in cui i puttini, che rappresentano Eros e Anteros, guardano il mondo degli uomini affacciati da balconate fiorite. I due figli di Venere mostrano la loro diversa ma complementare indole: Eros, forte del suo ascendente sugli uomini, gioca a manovrarli come marionette tirate da fili, mentre Anteros contrasta il potere del fratello spezzandogli l’arco. Sulle consolles neoclassiche, alcune preziose porcellane napoletane e svizzere (Nyon). Alle pareti, i ritratti di due antenati della famiglia Lanza e una tela che raffigura Narciso.
La stanza successiva è il Salotto del Salvator Rosa, che prende nome alcuni piccoli oli, posti alle pareti, che imitano lo stile pittoresco, che mostra l’inadeguatezza dell’Uomo dinanzi alla Natura, del pittore napoletano, dalla vita avventurosa, che così descrivono i contemporanei
Salvatore fu di presenza curiosa, perché essendo di statura mediocre, mostrava nell’abilità della vita qualche sveltezza e leggiadria: assai bruno nel colore del viso, ma di una brunezza africana, che non era dispiacevole. Gl’occhi suoi erano turchini, ma vivaci a gran segno; di capelli negri e folti, li quali gli scendevano sopra le spalle ondeggianti e ben disposti naturalmente. Vestiva galante, ma senza gale e superfluità
Tornado alla sala, le decorazioni del soffitto, illustrano, tra finte cornici dorate, arcadiche vicende tratte dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Sulle porte drappi ricamati in sete colorate a motivi baroccheggianti del XVIII secolo, alle pareti due dipinti, “Il ritorno del figliol prodigo”e una “Allegoria della Musica”, copia di Trevi. Presenti inoltre due consolles settecentesche in legno dorato, di fattura napoletana, che sostengono piccoli vasi impero dalle eleganti miniature e porcellane cinesi. Altre porcellane orientali raffiguranti sei degli otto “Immortali” della religione taoista sono poste sopra due vetrine nel cui interno sono esposti oggetti facenti parte della collezione del principe: esemplari di antichi ventagli sono affiancati a rari ed eleganti esempi di porcellana in pasta tenera o in biscuit delle più famose manifatture europee, fra le quali celebre è porcellana di Meissen.
Tra gli oggetti presenti nel salotto si può ammirare una suggestiva mescolanza di generi: raffinati avori orientali, smalti policromi, vetri italiani e stranieri, ventagli, porcellane e orologi dai quadranti miniati, tale produzione risale ai secoli XVIII e XIX. La specchiera sopra il camino riflette un pregevole trittico ottocentesco di produzione francese composto da due candelieri e da un orologio a “vasotto” arricchito da fiori e ghirlande, a fianco le immagini allegoriche di Italia e Francia.
Da qui si può dare un’occhiata a una stanzetta, decorata con tempere neoclassiche, che nel tempo ha cambiato più volte destinazione d’uso: cappella, pensatoio per iniziati alla massoneria, teatrino. Da qui si va alla saletta dei reperti, frutto dalla copertura del vicolo del piano terra, la parete in conci di pietra rende evidente l’origine trecentesca di questa parte del palazzo. In questa stanza si conservano 91 reperti archeologici eterogenei per cronologia e tipologia. La provenienza è nota soltanto per pochi esemplari ritrovati nelle proprietà della famiglia o acquistati sul mercato antiquario, consuetudine questa degli aristocratici collezionisti del tempo. Si conserva in questa stanza anche un’anfora istoriata con la “strage dei Niobidi” prodotta a Urbino nella bottega Patanazzi (XVI sec.). Il prezioso oggetto fa parte dell’elegantissima farmacia di Roccavaldina (ME) ancora oggi ricca di 238 maioliche istoriate. L’anfora provienente dal corredo dell’aromatario Cesare Candia, come attesta lo stemma riprodotto sul collo del vaso, è stata acquistata sul mercato antiquario dalla Regione Sicilia. A queste si accompagnano vasi dell’antica Grecia e di Al Andalus. Accanto vi è il bagno, usato sino agli anni Ottanta del secolo scorso, in cui l’unica cosa notevole è la vasca neoclassica.
La sala successiva è quella della Battaglia di Cialdiran, tema rarissimo nell’arte Occidentale, che ebbe luogo il 23 agosto 1514 e terminò con la decisiva vittoria dell’Impero ottomano ai danni dei persiani Safavidi. Come risultato, gli Ottomani assunsero il controllo della metà orientale dell’Anatolia. Gli Ottomani avevano un esercito più numeroso e meglio equipaggiato, che superava la cifra di 100.000 combattenti, mentre i Persiani misero in campo un esercito i cui effettivi sono calcolati fra i 50.000 e gli 80.000. Lo shāh safavide Shāh Ismāʿīl I fu ferito e quasi preso prigioniero nello scontro. Nonostante la sconfitta, i Persiani riuscirono comunque ad arrestare l’espansionismo ottomano nei loro confronti. La battaglia mise fine anche a una serie di rivolte Alevi, setta sciita, in Anatolia.
La battaglia di Cialdiran dimostrò che le armi da fuoco costituivano un fattore decisivo nella condotta bellica. Prima di Cialdiran, l’esercito safavide (Qizilbash) aveva rifiutato di usare le armi da fuoco (al pari dei Mamelucchi in Egitto e Siria e di vari soldati nell’Occidente cristiano, come ricorda anche Ludovico Ariosto nell’Orlando furioso) in quanto esso riteneva l’uso delle armi da fuoco un modo di combattere vile e senza onore, dal momento che evitava il contatto corpo a corpo. L’esito della battaglia ebbe varie conseguenze. Forse la più significativa fu la fissazione di un confine tra i due Imperi, che è rimasto invariato fino ai nostri giorni, tra Turchia e Iran. Pur avendo vinto la battaglia, gli Ottomani preferirono rinunciare alla conquista della Persia ed indirizzarono la loro espansione verso l’Arabia e l’Egitto.
I Safavidi effettuarono drastici cambiamenti negli affari interni dopo la disfatta di Cialdiran. I Safavidi parlavano una lingua turca, ma, in seguito alla perdita dei loro territori anatolici che formavano la zona centrale del loro sostegno turco, cominciarono a imporre l’uso del Persiano. Anche la famiglia reale safavide si allontanò dall’estremistica, escatologica setta Alevi e abbracciò la Shīʿa duodecimana come religione ufficiale dell’Impero, essendo diventata la posizione dello Shāh, visto come Mahdi, incompatibile con la recente disfatta. La maggioranza sunnita dell’Iran fu costretta con la forza a convertirsi al modello sciita imamita dell’Islam, mentre coloro che rifiutarono tale imposizione dello Shāh (ad esempio la maggioranza dei Qizilbash) furono mandati a morte. Chiusa la parentesi storica, che però è interessante, perché è una pagina della Storia per noi italiani, torniamo alla descrizione della stanza, che espone un dipinto attribuito a Brueghel la quale raffigura, su rame, un’altra scena di battaglia.
Sulla parete opposta una “Flagellazione di Cristo” del XVII sec. Sul camino una decorazione di produzione francese in ormolu (bronzo dorato e mercurio) e porcellana blu di Sevres. Le due consolles intarsiate, in legno dorato, sorreggono due orologi di pregio. Un imponente orologio in tartaruga e bronzo, che mostra l’ora e le fasi lunari (Ant. Krets, Neustatt), è posto tra vasi cinesi a baluastro, e un orologio a lira di fattura romana (Vespasiani) è affiancato da vasi giapponesi a tromba. Il tavolo a impero con gambe a cariatide raffigura episodi tratti dalle storie di Ercole, gli episodi, nella fascia sottopiano del tavolo, sono realizzati con un intaglio in legno simulante il bronzo. Da osservare anche l’imponente lampadario ottocentesco con puttini e stemma dei principi in bronzo dorato, e pendagli in vetro sfaccettato. Completano l’arredo del salotto due stipi monetari in ebano e tartaruga, di produzione meridionale (Napoli o Palermo); uno dei due, risalente alla fine del XVIII secolo presenta una fattura particolare e raffinata con intarsi in madreperla graffita.
Il successivo salottino cinese, videnzia la moda delle atmosfere orientali diffusasi in Europa nel XVIII e XIX secolo. La moda delle “cineserie” si diffuse a Palermo in seguito all’arrivo, nel 1798, di Ferdinando IV di Borbone e della regina Maria Carolina, di cui è massima testimonianza è la Casina Cinese della Favorita. Le pareti in seta del salottino sono dipinte con scene di vita quotidiana orientale, sul soffitto personaggi eleganti passeggiano tra architetture esotiche, giardini e padiglioni. Tali decorazioni, oltre a un’indiscussa gradevolezza, mostrano come i pittori tardo-settecenteschi siciliani interpretarono i modelli orientali. Gli originali mobili a pagoda, in legno laccato, dai colori nero, rosso e oro palesano la relazione tra lo stile cinese e alcuni stili occidentali dal neogotico al neobarocco
Superata la stanza del portale, in cui s’intravede uno scorcio del palazzo cinquecentesco, si giunge al salottini giallo, con allee pareti “Cupido che fabbrica l’arco” del Parmigianino, e due ritratti di donna, uno di scuola italiana e un altro di scuola fiamminga. Sul soffitto un’allegoria in cui il Tempo indica alla Musa il tempio di Apollo mentre l’Invidia parla sottovoce alla Calunnia dalle grandi orecchie. La vetrina in tartaruga conserva oggetti collezionati dal principe: porcellane di Sperlinga, porcellane di Meissen, porcellane inglesi e francesi, un raro cinesino della produzione Bustelli a Nymphenburg, piccoli avori secenteschi e netsuke giapponesi. Il netsuke è un accessorio dell’abbigliamento giapponese realizzato in avorio, corallo, o in radice i più antichi. Nati per uso pratico ma raffinati ed eleganti, i netsuke si diffondono in occidente, in particolare nel XIX secolo, come oggetti da collezione. Imponenti i due comodini Luigi XVI, di fattura siciliana, e il tavolo da centro in scagliola simulante un marmo policromo ed un intarsio in pietre dure. Il tavolo è sostenuto da cigni monopodi e traverse a serpenti. Da notare l’orologio francese inserito in una cassa di porcellana ricca di fiori plastici in policromia firmata Jacob Petit, modellatore a Parigi negli ultimi anni del XVIII secolo.
Si passa poi al fumoir, ambiente dove i nobili palermitani andavano a fumare, con le pareti dell’ambiente sono rivestite con cuoio di Cordova ornato con rilievi su fondo argentato e dipinto con arabeschi in colore rosso e oro. Questo tipo di cuoio era utilizzato per assorbire il fumo. La lavorazione di questo materiale venne fatta per la prima volta nel medioevo nella città spagnola di Cordova, e si diffuse anche in Italia sino alla metà del XVIII secolo.
Al fianco, per par conditio, vi è il boudoir, il salottino delle dame, è arredato con una toeletta Luigi XVI in legno rosa con decorazioni in bronzo dorato di gusto rocaille, e placche ovali in porcellana dipinta. Dall’inventario del palazzo il mobile risulta dono della regina Maria Carolina. All’interno della toeletta un necessaire in cristallo e argento, di produzione francese, realizzato dai famosi argentieri parigini Regnard. Questi famosi argentieri, nei cui pezzi è inciso il nome, furono operosi tra il secondo e l’ultimo quarto del XVIII secolo. Il necessaire, porta inciso il monogramma PM, Principi di Mirto.
Qui si giunge a una delle salone principali del palazzo, il Salone degli Arazzi, originariamente alcova dei proprietari del palazzo, prende il nome dalle pareti decorate con sete ricamate di gusto neoclassico. In queste pregiate pareti sono rappresentati i miti di Venere e Adone ( in cui Venere colpita da una freccia di Cupido si strugge d’amore per lo splendido Adone che fugge da lei), Giove ed Io (in cui Io, sedotta da Giove, sarà oggetto dell’ira di Giunone che la trasformerà in giovenca e la costringerà ad annegarsi nel mare, che da lei verrà chiamato Ionio), Perseo e Andromeda (in cui Perseo, innamorato di Andromeda salverà la giovane da un mostro marino cui era sacrificata), ed Ercole ed Onfale (quest’ultimo è un dipinto su seta, che raffigura Ercole venduto alla regina Onfale che lo tiene come schiavo). Il salone è ulteriormente arricchito dal celebre mito di Amore e Psiche tratto dall’Asino d’oro di Apuleio e raffigurato in una mirabile opera che il Velasco riprende da Raffaello Sanzio. Il mito mira a delle verità morali di stampo platonico: solo con l’emancipazione dal corpo l’anima potrà raggiungere la felicità cui è destinata. Il cammino da percorrere per giungere a questo stato e a questa consapevolezza è pieno di ostacoli ma sarà Amore a risvegliare la mortale Psiche (dal greco psychè, anima) dal suo sonno permettendole di raggiungere il suo stato originario in cui libera dal “carcere del corpo” conosceva l’Iperuranio. La storia tra Amore e Psiche riempie i sopraporta dipinti e culmina nell’affresco centrale del soffitto che è circondato da un bassorilievo, a trompe l’oeil, con ondine e tritoni. L’arredamento è costituito da mobili in stile Luigi XVI: divani da parete, sedie, consolles, porte e ante dei balconi. Nell’ambiente si distinguono per pregio e per imponenza due bellissimi scrigni in tartaruga e tre orologi francesi. Nell’orologio posto sul camino i puttini personificano la Scultura e la Pittura, mentre nei due sulle consolles sono rappresentate le stagioni dell’Autunno e dell’Inverno e le figurazioni allegoriche della veglia e del sonno; in quest’ultimo sono da evidenziare le lancette a serpente. Nelle consolles anche eleganti candelabri realizzati con antichi vasi cinesi e giapponesi dalle montature francesi in ormolu. Da notare il pouf di gattopardesca memoria ricoperto da un drappo, ricamato in oro e sete policrome, risalente al XVII secolo. Il pouf si trova davanti un arazzo, ricamato anch’esso, che si pensa rappresenti un episodio della vita di Davide, il re che si spoglia e danza privo di vesti dopo la conquista dell’arca (II Samuele, 6). Contribuiscono a donare eleganza e prestigio a questo salotto il maestoso lampadario e le appliques in vetro di Murano.
Da qui si va al Salone del Baldacchino prende il nome dall’arazzo con baldacchino posto al centro dell’ambiente, e raffigurante l’espugnazione della città persiana di Ariamaze per mano di Alessandro Magno. La frase ricamata sul vessillo: Pennas habent Alexandri milites (i soldati di Alessandro hanno le ali) fa riferimento ai trecento macedoni di Alessandro che nel 327 a.c., durante l’assalto di Ariamaze, diedero prova di coraggioso alpinismo. Il tema iconografico del salone del Baldacchino è stato realizzato da Elia Interguglielmi nel XVIII secolo e celebra le glorie e le virtù di Bernardo Filangeri. Gli affreschi rappresentano una complessa allegoria: sono raffigurate le quattro virtù cardinali, la Prudenza, la Fortezza, la Giustizia e la Temperanza e le idee del Bene, del Vero e del Bello (acquisibili rispettivamente mediante la Giustizia, la Filosofia la Teologia e la poesia) con le tre corrispondenti facoltà dell’anima: l’etica (la morale), la noetica (la conoscitiva) e l’estetica. Perseguendo tali virtù nel Tempo, raffigurato dall’immagine della Notte accanto a quella del gallo che rappresenta l’Alba, è possibile ottenere Pace, Prosperità, Abbondanza e Amore. Si ritiene che l’Amore sia raffigurato nell’affresco in cui la giovane donna ammantata stringe nella mano destra un ramo di mirto. L’albero di mirto infatti, oltre a riprendere il nome del possesso feudale dei proprietari del palazzo era sacro ad Afrodite e quindi propiziatorio per la casa dei giovani sposi, figurava il casto amore. I dipinti della volta rappresentano “Le fatiche di Ercole” e simboleggiano l’uomo che riesce a superare le avversità della vita raggiungendo, con il volgere delle stagioni (raffigurate nei riquadri), la gloria eterna. Questo concetto è espresso nella scena centrale che mostra l’apoteosi dell’uomo giusto che fa il suo ingresso tra gli eletti. L’arredo del Salone del Baldacchino è costituito da consolles e specchiere ottocentesche in stile Luigi XVI. Gli orologi neoclassici con carillon ad organo sono di produzione francese; sui gueridons impero candelabri di gusto rococò. Sul fortepiano le foto degli ultimi principi di Mirto.
Si può dare uno sguardo veloce al salotto Pompadour, con le pitture databili al XIX secolo. Sulle porte vedute di rovine alla maniera del Panini. Al centro della volta le Arti, personificate da bambini in vari atteggiamenti. Sul camino si può ammirare un elegante orologio neoclassico, in marmo e bronzo, con due figure allegoriche. Sulle consolles vasi cinesi e giapponesi. Il busto in marmo raffigura Vittoria Filangeri.
Nello studio, invece, vi sono dipinti a tempera che rappresentano le scene di amori tragici tratti dalle Metamorfosi di Ovidio e dalle Storie di Igino. Sulla parete d’ingresso: Il giudizio di Paride ed Elena e Paride, a destra Pan e Siringa, Enea e Didone, Apollo e Dafne e le due dee Minerva e Venere. Le scene sono inserite in un’elegante cornice dai colori tenui e delicati. Al centro del soffitto sono raffigurati Aurora e Cefalo, mentre nei pennacchi le quattro virtù cardinali: Giustizia, Fortezza, Temperanza, Prudenza. Nei tondi sono infine dipinti i quattro fiumi infernali: Stige, il fiume della concupiscenza, che priva la ragione della facoltà di discernere. Cocito, il fiume della disperazione, alimentato dalle anime dei dannati che incapaci di resistere alle avversità della vita si disperano anche nell’Ade. Acheronte, il fiume del peccato, colpevole di avere aiutato i Titani ribelli contro Giove. Il fiume Acheronte è scelto, in questo contesto, come simbolo del peccato contro l’ordine divino. In ultimo il Lete, il fiume che scorreva nei campi Elisi, le anime bevendo le sue acque dimenticavano la vita trascorsa. L’arredamento della stanza è costituito da due stipi siciliani in ebano e tartaruga, da un bronzo raffigurante Ercole e l’Idra, posto sul tavolo, e da un uno stipo con placche in avorio graffito.
Ne salottino di Diana, si può osservare la nicchia con la statua di Apollo. Questa nicchia girevole nasconde un passaggio segreto che conduce ad un’intercapedine ricavata nella volta del soffitto. Tale passaggio consentiva ai signori del palazzo di ascoltare le conversazioni che potevano destare il loro interesse senza essere visti. Sul soffitto è dipinta un’interessante allegoria che mira a descrivere come il mondo sensibile nasconda agli uomini la verità, fuorviandoli. I puttini, con le loro azioni, tendono a sottolineare proprio l’inganno dei sensi, il mondo delle apparenze che nasconde alle anime la verità. Il puttino con la maschera sottolinea questo fondamentale concetto filosofico. Il secondo puttino, gioca con delle bolle di sapone per far comprendere l’incertezza della fortuna nella vita terrena. I putti musici hanno invece il compito di risvegliare le anime alla virtù. Nelle pareti del salottino sono raffigurate la dea Giunone, che sostiene l’uomo nella sua rinascita, la dea Minerva, dea della saggezza, che ha il compito di sostenere gli eroi porgendo il suo aiuto nelle prove difficili, Venere che giustifica religiosamente l’impulso sessuale indirizzandolo verso la sacralità e la trascendenza, e Diana, sorella gemella di Apollo e dea della castità, protetta dal suo scudo contro le frecce d’amore. Nei quadrilobi tondi sono dipinte le arti: la Lirica, la Musica, la Scultura e la Pittura. In quest’allegoria sarà infine Apollo, il dio della purificazione, ad ispirare con le Arti quelle sapienti armonie, che consentiranno alle anime di allontanarsi dalle apparenze illusorie conducendole verso la conoscenza.
La porta d’ingresso della sala da pranzo è fiancheggiata da due alzate in alabastro con lo stemma dei principi di Mirto. Nell’intradosso della porta una porticina conduce alla cucina del piano inferiore. Nel soffitto, all’interno di una cornice, sono raffigurati gli stemmi nobiliari. Al centro gli stemmi Lanza-Filangeri celebrano le nozze di Vittoria Filangeri e Ignazio Lanza. Entrando sulla destra sono dipinti gli stemmi dei genitori della sposa, Filangeri e Pignatelli, nella parete sinistra gli stemmi dei genitori dello sposo, Lanza e Branciforte. Agli angoli si alternano gli stemmi di due famiglie imparentate con gli sposi, gli Alliata e i Reggio. Nella parete di fondo la tela riproduce il “Il Sacrificio di Isacco” (Gn 22). La sala da pranzo è arredata con severi mobili ottocenteschi dallo stile composito. Tali mobili custodiscono il servizio delle porcellane di Meissen del XVIII secolo con il caratteristico bordo a “brandenstein”, lavoro a paniere alternato a pannelli ornati di stelle. Il decoro del servizio “a insetti e uccelli” raffigura tutte le specie fino a quel tempo conosciute. Sulle angoliere rari esempi di porcellana in “pasta tenera” siglati Del Vecchio (Napoli).
Infine, la fontana del cortile, costruita intorno l’ultimo quarto del secolo XVIII. È situata per mancanza di spazio verde in un cortile pensile del piano nobile, dove delicate pittura a tempera vengono a simulare un hortus conclusus di tradizione medievale. La fontana è interamente realizzata con conchiglie, per le decorazioni sono stati utilizzati anche dei piccoli specchi che in determinate ore del giorno creavano dei suggestivi giochi di luce. Ai due lati della struttura delle voliere. L’imponente struttura celebra l’apoteosi del Signore, Bernardo Filangeri incorniciato da una ricca decorazione costituita da putti e ghirlande di gusto barocco e vasoni d’ispirazione tra il neoclassico e il neorinascimentale. Il Signore così è ricolmo di virtù, da ottenere a pieno titolo un posto in questo paradiso, raffigurato allegoricamente da numerosi simboli che ne circondano l’immagine.
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