Atene contro Siracusa (Parte X)

Come si può facilmente immaginare, il discorso di Ermocrate scatenò una ridda di reazioni, che trasformarono l’assemblea cittadina di Siracusa in una sorta di colossale pollaio

Qui Ermocrate concluse il suo discorso. All’assemblea in Siracusa le fazioni opposte si fronteggiarono con violente polemiche: chi sconfessava con energia che ci fosse possibilità per gli Ateniesi di una invasione in Sicilia, attribuendo ad Ermocrate tutta una serie di menzogne; chi poi si domandava, supponiamo che passino, che offese potrà infliggere quest’attacco senza subirne di più serie in cambio? Per qualche altro non era neppure il caso di considerare l’evenienza di un’invasione, e tutto finiva in ridere senz’altro. In pochi l’avviso di Ermocrate suscitava credito e il futuro apprensione. Finché si fece innanzi Atenagora, personalità del partito popolare e, di quei tempi, la voce più ascoltata.

Il portavoce di perplessi dinanzi alle tesi del leader dei popolari Atenagora, il cui discorso è stato spesso frainteso e ridotto a una semplice dichiarazione di scetticismo, nei confronti dell’invasione ateniese, quando invece è molto più complesso, nella sua analisi sia strategica, sia politica.

Poichè, una guerra, non cambia solo i rapporti di forza al di fuori dello Stato, ma anche al suo interno. La propaganda, la paura del nemico, la militarizzazione spinta della società sono uno dei veleni della Democrazia. Una guerra, anche se vincente, mina lo spirito stesso della collettività, favorendo l’interessi di pochi, a scapito del bene comune: nulla potrà mai rimanere come prima

Ecco i suoi argomenti:

Quanto agli Ateniesi, chi non desidera che agiscano spinti da una tale follia e vengano qui spontaneamente a gettarsi nelle nostre mani, o è un codardo, o è un pessimo soggetto, sleale verso la propria città. Quanto a coloro che vanno diffondendo avvertimenti di quella specie, con il proposito di provocare in voi uno stato di allarme, non mi sorprende la loro fiducia di non vedersi infine, strappata la maschera. Gente che sul proprio conto ha la coscienza poco limpida e preferisce seminare in città lo sgomento per occultare meglio il proprio all’ombra del pubblico spavento. E hanno proprio questo senso le notizie di cui ci si riferisce, non sorte da sole ma contraffatte ad arte dai soliti che hanno la passione di sconvolgere con questi mezzucci la vita politica cittadina.

Per prima cosa, con parecchio buon senso, Atenagora riteneva un’eventuale azione in Sicilia come contraria ai concreti interessi strategici ateniesi, sprecando risorse che sarebbero state molto più utili per concludere lo scontro con Sparta… Ovviamente aveva sopravvalutato la polis attica.

Quanto a voi, se delibererete con preveggenza, non trarrete le conseguenze dell’analisi dei dati forniti da costoro, ma prevedendo con esame approfondito quale potrebbe essere la tattica futura di gente abile, politici consumati quali personalmente stimo gli Ateniesi. Poiché è inconcepibile che lasciandosi alle spalle i nemici del Peloponneso e quel teatro d’operazioni, con un conflitto non ancora giunto a una svolta risolutiva, costoro si dispongano spontaneamente ad aprire un secondo fronte non meno ampio e infuocato. Se fossi in loro mi direi piuttosto soddisfatto di non essere ancora esposto al nostro
urto, di un’intesa così numerosa di città potenti.

Nel caso gli ateniesi fossero stati così ottusi da non sapere riconoscere i loro effettivi interessi strategici, non era il caso di preoccuparsi troppo: Atenagora, sin da subito, aveva chiari i limiti tattici, la mancanza di una cavalleria, che avrebbe garantito copertura e mobilità a supporto dei opliti e logistici della spedizione ateniese, che l’avrebbe portata alla rovina

E se proprio venissero, e le novità fossero vere, ritengo che la Sicilia sia, più del Peloponneso, adatta a sgominarli del tutto. Essa, in ogni campo strategico, possiede risorse più efficienti. Da sola la nostra città è militarmente molto più preparata della spedizione ateniese che le ultime notizie darebbero come ormai prossima al suo bersaglio, anche se comparisse con forze doppie. Mi pare certo che gli Ateniesi non possano far passare qui al loro seguito la cavalleria, né che, una volta sbarcati, sarà loro facile procurarsene, se eccettuiamo i pochi reparti che fornirà Segesta. Neppure saranno in grado di trasportare fanterie pesanti di potenza numerica pari alle nostre, almeno impiegando la marina (poiché una traversata così lunga verso la Sicilia sarebbe di per sé, con bastimenti senza carico, un’impresa critica): problemi analoghi per tutto il resto dell’armamento pesante, il cui utilizzo è indispensabile se si intende offendere un paese agguerrito come il nostro. Cosicché (di tanto in tanto differisce il mio giudizio) mi parrebbe già singolare, pur nell’ipotesi che l’invasore vibri l’offensiva da una città potente quanto Siracusa, sita alle nostre frontiere e a sua disposizione, che possa sottrarsi a un totale disastro: sorte cui non sfuggirà certamente, quando vedrà irta d’armi e unanime la Sicilia (che farà quadrato), e premuto in quel suo campo eretto con il materiale di bordo, confinato dalle incursioni della nostra cavalleria dovrà ridurre a brevissimo raggio le puntate all’esterno delle sue tende di fortuna e delle sue fortificazioni sommarie. Insomma io credo che sul nostro suolo gli riuscirà impossibile anche il puro sbarco: di tanto stimo superiore l’apparato protettivo di cui disponiamo.

In ogni caso, oltre al nemico esterno, la democrazia deve tutelarsi dal nemico interno, che per ambizione e sete di potere, mira prima a svuotare di senso, poi ad abbattere le sue istituzioni, sfruttando lo stato di emergenza.

Ma, come ripeto, di questi particolari tecnici gli Ateniesi sono maestri e sono del tutto tranquillo sul fatto che sanno egregiamente tutelare i propri interessi, mentre tra noi c’è gente che spaccia fantasie astratte, prive della minima consistenza. Li conosco bene: non è la prima provocazione che mettono in atto; aspirano da anni con avvertimenti dello stesso timbro minaccioso, anzi anche più catastrofici, e con i fatti a disorientare voi, il nerbo della cittadinanza, per dominare lo stato. Perciò non mi sento sereno; tenta oggi, tenta domani, un giorno o l’altro il colpo può riuscire.

Ma noi siamo troppo vili per premunirci con tempestivo vigore, prima di cadere vittime del loro intrigo e, scopertolo, per perseguirne fino all’ultimo gli artefici. Realmente è di costoro la colpa se la nostra città non gode mai la pace, squarciata da frequenti scosse, in armi più spesso contro se stessa che per respingere nemici esterni, più di una volta preda di tiranni e di colpevoli oligarchie. Basta che voi mi assecondiate, e io mi prodigherò per soffocare la rinascita, ai nostri giorni, di questo triste fenomeno, esigendo da voi, che siete l’elemento più forte della compagine cittadina, il castigo immediato di chi muove le redini del complotto, non solo se sorpreso in flagrante (è rara la fortuna di coglierli) ma anche per quanto concerta sott’acqua, e non ha ancora il potere di convertire in realtà (poi ché è doveroso non limitarsi a spezzare le iniziative già in atto di un avversario, ma precorrerne con risolutezza i disegni: se non ci si mette in guardia a tempo si è i primi ad accusare il colpo).

In quanto alle frange oligarchiche m’impegno a confonderle, a tenerle d’occhio, talvolta a toccarle con un avvertimento: mi pare la condotta più consigliabile per dissuadere costoro da ogni perfida tentazione. E invero, tra me e me, ho formulato spesso questa domanda: gioventù, che pretendete adesso? Subito il potere? Vietato per legge. E la legge s’è stabilita più in previdenza della vostra inettitudine ad esercitarlo, che per spogliarvi di un diritto, nell’ipotesi che foste adatti. Sicché non vi piace spartire con la maggioranza gli identici privilegi? È giustizia secondo voi che tra uguali non siano comuni anche le posizioni sociali?

Così Atenagora se ne uscì con un elogio della democrazia, degno di Pericle, in cui questa forma di governo non garantisce solo l’uguaglianza politica dei cittadini, ma anche sociale, favorendo un’equa distribuzione delle risorse.

Mi si contesterà che il governo popolare non obbedisce alla ragione, e non è equanime, mentre chi possiede i capitali è anche il più idoneo a praticare il potere. E io obietto: in primo luogo, con il termine popolo s’intende la collettività statale, con oligarchia un solo ramo di essa; secondariamente, i possidenti sono senza dubbio gli amministratori più adatti ma del potere finanziario; mentre la politica più avveduta è privilegio di chi usa il cervello, e la più adatta a distinguere i propositi di più alta utilità è la maggioranza, dopo che su di essi ha seguito il dibattito, infine queste tre componenti della vita politica cittadina godono senza distinzioni, sia singolarmente considerate sia in seno all’organismo della comunità, la perfetta uguaglianza di diritti che è peculiare dei regimi democratici.

Per contro l’oligarchia trascina con sé la maggioranza nei pericoli, mentre dei profitti non solo inghiotte la miglior parte, ma se li appropria in blocco, e non li cede. E tra voi s’inebriano, alla speranza di questo regime, i facoltosi e i giovani: esso però non si potrà mai imporre in una città popolosa. Ma tuttora, o gente la più scriteriata del mondo, se vi ostinate a non capire che questo vuol dire mettervi di puntiglio per rovinarvi, o siete i Greci più incoscienti che io sappia, o i più abietti, se, pur capendolo ve la sentite di insistere con il vecchio contegno.

Ebbene no, ora è tempo o di notare i fatti con mente realistica o di rivedere le vostre risoluzioni, per elevare i destini della città, a comune beneficio di tutti. Considerate che, tra voi, agli onesti ne toccherà una fetta uguale o anche più ricca in confronto alla moltitudine dell’altra cittadinanza; se covate propositi diversi, pesate il rischio di una perdita integrale. Delle solite profezie, vi dico solo: tagliate corto, che s’è capito dove mirate, e state in pace che vi manderemo a vuoto l’idea. Poiché questa città, l’assalgano pure gli Ateniesi, potrà sempre opporre una replica degna di sé: disponiamo dei nostri strateghi che vorranno ben provvedere. Se poi nulla è vero di queste voci, ed io ne dubito fieramente, Siracusa non diverrà preda dello sconforto ai vostri annunci, né sperate che consegnandovi il potere curvi il capo spontaneamente al giogo. Porrà da se stessa oculato riparo alle minacce e vedrà di giudicare il rumore da voi diffuso come se avesse valore di un vero e concreto attentato: né si lascerà strappare, da poche voci correnti, la libertà di cui ora va fiera, ma si adoprerà a preservarla, vigile per sventare le vostre trame, con l’energia più strenua.

Di fatto Atenagora, viste le successive vicende di Ermocrate e di Dioniso, fu facile profeta. Siracusa fu una sorta di Weimar dell’antichità, la cui democrazia fu travolta dalla sfida della guerra, prima contro Atene, poi contro Cartagine.

Dinanzi a questo confronto, gli strateghi siracusani, pur evitando di sbattere al gabbio Ermocrate come potenziale golpista, considerarono il suo piano troppo avventato, accettando l’approccio più cauto di Atenagora, nella convinzione di sconfiggere gli invasori giocando in casa, con il vantattio di agire per linee interne

Sostanzialmente Atenagora espresse queste idee. A questo punto uno degli strateghi si levò e vietando ormai a chiunque la parola, si pronunciò sulle circostanze con avvertimenti di questo tenore:

«Non è saggio scagliarsi l’un l’altro attacchi di questa forza, né per voi pubblico, prestarvi orecchio. Meglio concentrarsi sulle notizie che continuano ad arrivare, e prepararsi, ciascuno nel suo piccolo e la città come corpo unitario, a respingere con efficacia gli invasori. Se più avanti, non ci sarà urgenza, non vedo il danno se lo stato si sarà provvisto di cavalli e armamenti e d’ogni altra attrezzatura che fa l’orgoglio della guerra. Sarà cura di noi strateghi organizzare e ispezionare le forze, e inviare nelle varie città, a scopo d’indagine o per gli altri uffici che parranno utili i nostri agenti. Del resto, parte dell’operazione difensiva s’è già messa a punto: quando disporremo di accertamenti più completi, ve li renderemo noti.»

Dopo questi concisi chiarimenti dello stratego, l’assemblea siracusana si sciolse

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Published on March 22, 2021 13:47
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Alessio Brugnoli
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