232 Celsius (circa) s1e03 – il podcast (e la trascrizione)
E questo è il podcast della terza puntata di 232 Celsius (circa), una trasmissione sui libri, andata in onda alle 18 di venerdì 19 febbraio su Radio Sverso. Dura un’ora (circa) ed è diviso in due parti: nella prima Sergio Pilu parla di un libro che si chiama La guerra del Peloponneso, del 400 e qualcosa avanti Cristo, di Tucidide; e nella seconda parte ci sono io che intervisto Mariangela Galatea Vaglio su un libro che si chiama Cesare. L’uomo che ha reso grande Roma, del 2020.
(su Spotify, su Google Podcast, in mp3)
E quella che segue è una specie di trascrizione della puntata, fedele al 98%, diciamo (e in mezzo ci sono anche tutte le canzoni che abbiamo trasmesso):
XTC, Books Are Burning (sigla)Stammi a sentire, Montag: a tutti noi una volta nella carriera viene la curiosità di sapere che cosa c’è in questi libri, ci viene come una specie di smania, vero? Beh, dai retta a me, Montag: non c’è niente lì. I libri non hanno niente da dire! Guarda, queste sono opere di fantasia e parlano di gente che non è mai esistita. I pazzi che li leggono diventano insoddisfatti, cominciano a desiderare di vivere in modi diversi, il che non è mai possibile.
(Fahrenheit 451; François Truffaut, 1966)
Introduzione di Andrea Bentivoglio:
La città fantasma è viva. È viva nel tappeto di libri che copre l’intero pavimento di un’aula scolastica (è così viva che sembra di sentirne il dolore: avete mai camminato sopra centinaia di libri? Provate a farlo. Provate a prendere tutti i libri che avete in casa e gettarli per terra alla rinfusa coprendo le piastrelle che pulite una volta alla settimana, e poi camminateci sopra, e sentite come la carta risponde al vostro peso, come se vi stesse dicendo mi fai male; provate a farlo, e avvertite quella sensazione di colpa e ingiustizia per come state trattando quegli oggetti nei quali la nostra civiltà ha investito tutta se stessa per aiutarsi a vicenda e restare a galla).
232 Celsius (circa) è la trasmissione che Radio Sverso dedica ai libri. Quelli famosi e quelli meno, quelli scritti da gente morta e sepolta e quelli pubblicati da gente viva e vegeta. Perché a noi i libri piacciono, ci hanno spesso cambiato la vita, certamente ce l’hanno resa migliore. Quindi, visto che vi vogliamo bene, cerchiamo di rendere migliore anche la vostra.
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232 Celsius (circa), terza puntata; prima parte, dove Sergio Pilu racconta e legge La guerra del Peloponneso di Tucidide.
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La più famosa guerra dell’antichità venne combattuta nel quinto secolo avanti Cristo dagli Ateniesi da una parte e dagli Spartani dall’altra. Venne raccontata, in quello che probabilmente è il primo libro di Storia della civiltà occidentale, almeno per come noi oggi intendiamo un libro di Storia, da uno che quella guerra la combatté davvero, almeno in buona parte. Era un ateniese, si chiamava Tucidide, e scrisse il libro non per celebrare gli eroi ma per ricordare quando, come e perché erano state prese delle decisioni che un giorno sarebbero servite ancora. Dentro questo libro, che si intitola La guerra del Peloponneso, Tucidide mise un brano che è passato alla storia come Dialogo tra Ateniesi e Melii. Chi erano, i Melii? Erano gli abitanti dell’isola di Melo, eredi di coloni spartani finiti poi, un po’ contro la loro volontà, a far parte dell’alleanza ateniese, una delle due che erano state costituite decenni prima per combattere i Persiani. I Melii a un certo punto decisero di uscire da questa alleanza provando al tempo stesso a restare neutrali, ma questa cosa non piacque per nulla agli Ateniesi, i quali per punirli armarono una flotta di decine di navi e migliaia di soldati che mandarono ad assediare l’isola ribelle. Ma siccome gli Ateniesi alle buone maniere ci tenevano, prima di iniziare l’assedio vero e proprio mandarono i loro ambasciatori, i quali vennero ricevuti dagli oligarchi di Melo, che li fecero accomodare in una sala e si sedettero di fronte a loro per poter discutere della faccenda. Questo sorprese un po’ gli Ateniesi, i quali pensavano invece di fare come a casa loro, e quindi di trovarsi di fronte all’intera popolazione dell’isola riunita per ascoltare quello che c’era da dire, e infatti se ne lamentarono abbastanza.
E quello che vi leggo adesso è proprio il dialogo tra Ateniesi e Melii, cioè il dialogo tra gli ambasciatori da una parte e gli ambasciatori dall’altra, con lo scopo di cercare di evitare una guerra.
ATENIESI – No; se siete qui per almanaccare con le ipotesi sui possibili scenari, o comunque per fare tutto tranne che prendere decisioni riguardanti la salvezza della città alla luce della situazione concreta, allora smettiamo subito. Se invece volete parlare in termini costruttivi, siamo pronti.
MELII – È comprensibile, e perdonabile, che chi si trova nella situazione nostra, si rivolga — nel parlare e far proposte — in molte direzioni. Ma, certo, questo incontro ha come oggetto la salvezza della città, e il discorso si svolga dunque come suggerite voi, se così vi pare.
ATENIESI – La nostra proposta è che si faccia quanto è realmente possibile sulla base dei veri intendimenti di entrambi: consapevoli gli uni e gli altri del fatto che la valutazione fondata sul diritto si pratica, nel ragionare umano, solo quando si è su di una base di parità, mentre, se vi è disparità di forze, i più forti esigono quanto è possibile; ed i più deboli approvano.
Fantastici, no? Gli Ateniesi dicono qui una cosa molto semplicissima. Dicono: guardate, nessuno discute il fatto che ci sono dei diritti, è che questi li applichiamo solo se le due parti hanno la stessa forza. Ma se c’è uno dei due molto forte e l’altro molto debole, quello forte prende tutto quello che riesce, e quello debole sta a guardare. Che, se ci pensate, è un concetto abbastanza interessante se pensiamo che viene da quelli che hanno inventato la democrazia.
MELII – Secondo noi è utile — e necessariamente ci esprimiamo cosi, dal momento che voi, con questo intervento, avete scelto di ignorare la giustizia e di parlare di utilità —, è utile dunque che voi non distruggiate un principio che è un bene comune per tutti: è utile che, a chi, volta a volta, si trova in pericolo, vengano garantiti i normali diritti, e che si venga incontro a chi, coi suoi argomenti, non ha attinto il necessario rigore. E questo si adatta, non meno, al caso vostro; giacché, ove sconfitti, diverreste un esempio per gli altri, se ora esercitaste una vendetta durissima.
ATENIESI – Anche se il nostro impero sarà spento noi non ne paventiamo la fine. Temibili non sono infatti, per i vinti, le potenze che hanno a loro volta un impero, come ad esempio gli Spartani (e comunque non è con Sparta che ora siamo in conflitto): temibili sono invece i sudditi che, muovendo all’attacco della potenza che li aveva dominati, eventualmente la sconfiggano. Ma su questo ci sia consentito di rischiare. Quello che ci proponiamo di dimostrarvi è che siamo qui per rafforzare il nostro impero e che, al tempo stesso, le proposte che stiamo per fare mirano alla salvezza della vostra città: giacché il nostro intendimento è di esercitare l’impero su di voi senza traumi, e garantire la vostra salvezza in modo conveniente per entrambi: per voi e per noi.
MELII – E come potrebbe essere conveniente allo stesso modo per noi essere schiavi e per voi dominare?
ATENIESI – È presto detto. A voi, invece della più dura delle repressioni, toccherebbe di obbedire, e noi trarremmo un guadagno dall’aver evitato di distruggervi.
MELII – E non accettereste che noi, anziché nemici, siamo vostri amici, senza però combattere a fianco di nessuno dei due schieramenti?
ATENIESI – No. Perché la vostra ostilità non ci danneggia quanto la vostra «amicizia»: la quale apparirebbe come un segno della nostra debolezza, mentre il vostro odio sarebbe per i sudditi la prova della nostra forza.
MELII – Ma noi sappiamo che le vicende della guerra talvolta hanno sorti che non rispettano la sproporzione delle forze in campo. Quanto a noi, cedere senza combattere significherebbe rinunciare subito ad ogni speranza; invece con l’azione c’è ancora la speranza di salvarci.
ATENIESI – Speranza! La speranza, abituale lenimento del pericolo, danneggia, ma non travolge, chi le si affida come ad un di più. Ma è per sua natura dissipatrice; e chi le si appoggia tutto, nel momento stesso in cui, ormai travolto, ne conosce la natura, comprende anche che contro di lei, ormai svelata, non ha risorse. E allora voi, cercate di non fare questa fine, deboli come siete e appesi a un filo. Cercate di non rassomigliare ai più, i quali, pur avendo avuto l’opportunità di salvarsi con mezzi umani, quando, ormai fiaccati, li abbandonano le speranze in ciò che è visibile, si rivolgono a sperare nell’occulto: gli indovini, gli oracoli e tutto quanto, insieme con le speranze, porta la gente alla rovina.
Cos’è una vita senza speranza? È una vita vera? Degna di essere vissuta? Fa un po’ specie, forse, pensare che questi, gli Ateniesi, sono quelli che hanno definito la nostra civiltà. Perché dopo di loro sono venuti in tanti e sono successe mille cose, ma alla fine noi, anche senza esserne del tutto consapevoli, continuiamo a ispirarci a loro: la cultura, la democrazia, una certa idea elevata di umanità; e poi li senti dire “speranza? Ma siete scemi? Ma davvero volete affidarvi alla speranza quando siamo qui con una flotta che nemmeno si riesce a contare da quante navi è fatta?”
The Clash, Know Your Rights
MELII – Anche noi, sappiatelo, pensiamo che sia duro combattere contro la vostra potenza e contro la fortuna, se non vorrà essere equanime. Nondimeno confidiamo nella buona sorte che promana dalla divinità: che non ci verrà meno, perché noi, senza colpa, ci troviamo ad affrontare degli ingiusti; e quanto all’inferiorità delle forze, confidiamo nell’alleanza con Sparta: alleanza che non può non manifestarsi, a tacer d’altro, almeno per il rapporto di stirpe che ci lega e per la vergogna che ricadrebbe, altrimenti, su di loro. E dunque non è poi così irrazionale la nostra fermezza.
ATENIESI – Quanto al favore degli dei, neanche noi saremo da meno: ne siamo persuasi. Giacché, quello che facciamo, quello che pretendiamo, non si pone affatto fuori della concezione che gli uomini hanno del mondo divino né dei loro rapporti reciproci. Non solo tra gli uomini, come è ben noto, ma, per quanto se ne sa, anche tra gli dei, un impulso necessario e naturale spinge a dominare su colui che puoi sopraffare. Questa legge non l’abbiamo stabilita noi, né siamo stati noi i primi a valercene; l’abbiamo ricevuta che già c’era, e a nostra volta la consegneremo a chi verrà dopo, ed avrà valore eterno. E sappiamo bene che chiunque altro, ed anche voi, se vi trovaste a disporre di una forza pari alla nostra, vi comportereste così. Ecco perché, per quel che riguarda il divino, abbiamo motivo di ritenere che il suo favore non verrà meno neanche a noi. Quanto alla vostra opinione sugli Spartani — che cioè essi, paventando la vergogna, correrebbero ad aiutarvi — mentre ci rallegriamo per la vostra ingenuità, non vi invidiamo la follia. In genere gli Spartani praticano la virtù soltanto nei loro rapporti interni: ma sul loro modo di agire verso gli altri, ci sarebbe davvero molto da dire. In due parole: gli Spartani sono coloro che, a nostra conoscenza, più sfacciatamente di chiunque altro, stimano bello quel che piace e giusto ciò che gli giova. Difficilmente una tale maniera di pensare può giovare a quella vostra salvezza di cui, in questa situazione, andate farneticando.
MELII – Ma è proprio qui la ragione della nostra fiducia! Noi confidiamo nel loro senso dell’utile: essi non vorranno tradire i Melii, loro coloni, e perdere, così, la fiducia dei Greci e fare un regalo ai nemici.
ATENIESI – E non pensate che l’utile si persegue evitando i pericoli, mentre il giusto e il nobile correndo dei rischi? Una strada, questa, nella quale gli Spartani per lo più non si avventurano.
Anche qui, non so, magari a tanti cascano le braccia. Ma come, gli Ateniesi, quelli degli alti ideali, in realtà pensano che la cosa più sensata da fare è stare alla larga dai guai lasciando perdere scemenze romantiche come la giustizia e la nobiltà delle azioni? E però magari altri trovano in queste parole una precisione, una lucidità, magari anche spietata, però affascinante. Chissà.
Wilco, War on War
MELII – Ma potrebbero affidare ad altri l’impresa: il mare di Creta è grande, ed è più difficile per i dominatori catturare che non, per chi voglia sottrarsi alla cattura, fuggire. E poi se fallissero in questo tentativo potrebbero rivolgere l’attacco contro il vostro territorio e contro i residui vostri alleati, quelli non raggiunti da Brasida. E a quel punto sareste costretti a lottare non già per mantenere il controllo degli alleati che non vi spettano, ma di quelli più vicini a voi e dello stesso vostro territorio.
ATENIESI – Abbiamo già fatto esperienza di ciò, siamo preparati a questa eventualità. Ma proprio voi dovreste sapere che mai, da nessun assedio, gli Ateniesi decamparono per il profilarsi di altre minacce. Comunque, prendiamo atto del fatto che voi, pur avendo accettato di cercare, discutendone, una via di salvezza, non avete detto nulla, in tutta questa discussione, che potesse portare qualunque persona a sperare di salvarsi. I vostri punti di forza sono speranze di cose future, mentre invece ciò di cui effettivamente disponete è poca cosa, non tale da garantire la vostra sopravvivenza rispetto alle forze che vi stanno di fronte. E’ follia se ora, dopo che ci avrete congedati, non prenderete un’altra decisione, più saggia delle cose dette qui. Voi non vorrete ripiegarvi in quel sentimento di orgoglio e vergogna che tanto male ha fatto alla gente in situazioni di pericolo evidente e rovinoso. Molti, che pure già vedevano il baratro in cui erano condotti, li ha trascinati il cosiddetto sentimento dell’onore con la forza di una parola seducente, vinti dal suono di quelle sillabe, a precipitare a capofitto in sventure irreparabili, ed a macchiarsi, per la loro follia e non per colpa della sorte, di una vergogna ancora più turpe. Ma se prendete una buona decisione, voi eviterete questa fine; voi non riterrete sconveniente lasciar prevalere la più grande potenza che vi offre condizioni equilibrate: e cioè la condizione di alleati tributari con la garanzia di serbare il vostro territorio. Dinanzi alla alternativa tra guerra e sicurezza voi non vi ostinerete a scegliere il peggio. Giacché, coloro i quali non cedono ai loro pari, compiacciono i più forti, e mostrano equilibrio con i più deboli, quelli hanno il miglior successo. Non perdete di vista questo punto anche quando noi ci saremo allontanati: mettetevi bene in testa che è della vostra patria che state decidendo: dell’unica patria che avete; e che tutto dipenderà da un’unica deliberazione, fortunata o rovinosa che sia.
Sono arrivati alla fine, non hanno più molto da dirsi. Così si ritirano nei loro angoli, sembrano dei pugili prima dell’ultimo round. Poi si rialzano, tornano in mezzo al ring, e si mettono gli uni di fronte agli altri per un’ultima volta.
Riprende Tucidide per descriverci quest’ultima scena:
Così gli Ateniesi si ritirarono dalla sede dei colloqui. I Melii si riunirono per loro conto: ma decisero negli stessi termini in cui si erano espressi durante i colloqui, e risposero così:
MELII – Siamo rimasti dello stesso parere, Ateniesi. Non ce la sentiamo di liquidare in pochi istanti la libertà di una città che esiste ormai da settecento anni. Confidando nella buona sorte che promana dalla divinità, che finora ci ha salvati, e nell’aiuto degli uomini, e in particolare degli Spartani, tenteremo di farcela. La nostra controproposta è di essere vostri amici, ma nemici di nessuno dei due schieramenti. E vi chiediamo di ritirarvi dal nostro territorio stipulando un trattato di pace che appaia conveniente sia a voi che a noi.
ATENIESI – A giudicare dalle vostre deliberazioni, voi siete gli unici che stimate le cose eventuali più sicure di quelle visibili, ed anzi considerate già esistenti, per il solo fatto di desiderarle, anche le cose che neanche si vedono. E poiché, fiduciosi negli Spartani, nella fortuna, nelle vostre speranze, avete messo in gioco tutto, tutto perderete.
Il Dialogo fra Ateniesi e Melii finisce così.
Tucidide poi prosegue dicendo:
Gli ambasciatori ateniesi se ne tornarono all’accampamento. E gli strateghi, poiché i Melii si rifiutavano di accettare le proposte dei legati, decisero l’attacco immediato. Divisero per città le truppe e costruirono un muro per stringere d’assedio i Melii. In un secondo momento gli Ateniesi lasciarono nell’isola un corpo di guardia misto, di uomini loro e di alleati, col compito di tenere l’isola sotto controllo da terra e da mare; quindi rientrarono con la gran parte dell’esercito. Le truppe rimaste continuarono l’assedio.
Qui la storia va avanti per diverso tempo: sostanzialmente succede che gli Ateniesi continuano l’assedio. Questo assedio dura molto più di quanto pensassero, poi ci sono altri casini da mettere a posto e quindi gli Ateniesi sono costretti a spostare po’ di truppe in altre zone dell’Egeo, mantenendo nell’isola di Melo un contingente. Passa quasi un anno e poi, finalmente, si arriva all’epilogo, che Tucidide racconta così:
Ma quando giunse poi da Atene un altro corpo di spedizione al comando di Filocrate […], assediati ormai con tutte le forze e fino allo stremo, prodottosi anche dal loro interno un tradimento, si arresero agli Ateniesi a discrezione. Quelli uccisero quanti Melii in età militare poterono catturare, e fecero schiavi le donne e i bambini. Il territorio lo abitarono loro, inviando cinquecento coloni.
La storia di Melo, di questa piccola isola dell’Egeo, finisce qui. Finisce con una riga, nella quale Tucidide ci dice che gli Ateniesi, una volta entrati a Melo, hanno preso tutti i maschi in età da combattimento e li hanno uccisi; hanno preso tutte le donne e tutti i bambini e li hanno portati via come schiavi. A quel punto è rimasta un’isola disabitata, dove da quell’Atene dove hanno deportato le donne e i bambini di Melo hanno fatto venire cinquecento coloni per occuparla e renderla ateniese.
Chissà, forse quando Churchill diceva che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle che si sono sperimentate fino ad ora”, beh, forse aveva presente che i padri della democrazia sapevano essere dei figli di buona donna, quando volevano.
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232 Celsius (circa), terza puntata; seconda parte, dove Marco Manicardi intervista Mariangela Galatea Vaglio.
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«C’è questo anelito in lui di voler essere il primo in tutti i sensi. Non tanto per dimostrarsi superiore, quanto per provare quello che nessuno ha ancora mai provato. Il quotidiano lo annoia, non ci sa fare pace, l’imprevisto e l’imprevedibile lo fanno sentire vivo. Mettono alla prova il suo coraggio, il suo intuito, la sua intelligenza. Lo costringono a una continua gara con se stesso, che è ciò che più lo intriga. Superare i propri limiti, smentire i pregiudizi, ribaltare le aspettative. La Gallia per lui non è solo una terra, è una sfida.»
Ecco Cesare come non è mai stato raccontato. In tutto il suo carisma e la sua eterna grandezza.
Così recita la quarta di copertina di Cesare. L’uomo che ha reso grande Roma, l’ultimo libro di Mariangela Galatea Vaglio, pubblicato da Giunti nel 2020.
E il risvolto di copertina di Cesare. L’uomo che ha reso grande Roma dice che:
Mariangela Galatea Vaglio (Trieste, 1972) è insegnante e scrittrice di saggi e racconti storici, tra cui Didone, per esempio (Ultra, 2014) e Socrate, per esempio (Ultra, 2018), oltre a una guida divulgativa della lingua italiana, L’italiano è bello (Sonzogno, 2017), e al romanzo Teodora. La figlia del circo (Sonzogno, 2018). Ormai ventimila persone seguono le sue Pillole di Storia su Facebook. Vive e lavora a Venezia.
Marco Manicardi: Ciao Galatea, perché hai scritto Cesare
Mariangela Galatea Vaglio: Allora, perché ho scritto Cesare… Beh, dunque, innanzitutto perché è un personaggio che adoro e quindi, niente, lo volevo scrivere praticamente da una vita e quando Giunti mi ha chiesto quale sarebbe stato il personaggio di cui mi sarebbe piaciuto scrivere una biografia, io senza nemmeno pensarci ho buttato subito lì Giulio Cesare, forse anche con una certa incoscienza perché poi la bibliografia su Cesare. Però, in qualche modo, non lo so, mi ha chiamato e poi, insomma, alla fine scrivere il libro è stato più semplice di quello che pensavo.
MM: Come, dove e quando l’hai scritto?
MGV: Dunque, dove, come e quando l’ho scritto… Beh, l’ho scritto esattamente dove scrivo tutti gli altri miei libri, cioè sul divano. Perché io sono una pigra storica, quindi mi metto il mio computerino sulle gambe e comincio a scrivere. Quindi, tendenzialmente, l’ho scritto da sdraiata, ecco.
Poi l’ho scritto durante, in sostanza, il periodo di lockdown, perché eravamo tutti chiusi in casa, io non so fare l’uncinetto e quindi ho deciso di approfittare di questo tempo in più per, appunto, dedicarmi alla stesura definitiva del libro. Poi è venuto molto più lungo, appunto, di quello che mi aspettassi proprio perché probabilmente avevo anche un pochino più di tempo.
MM: E per ultima, la domanda più importante: è bello?
MGV: È bello… oddio… è un po’ come si dice in veneto «domandighe a l’oste se’l gà bon vin», cioè domanda all’oste se ha vino buono. Secondo me, ovviamente, sì, altrimenti non l’avrei nemmeno presentato all’editore. Diciamo che è un libro un po’ particolare, perché è un saggio… tecnicamente è un saggio, però è stato scritto in maniera molto narrativa. Per cui ho cercato di scriverlo come se fosse un romanzo, senza però, ovviamente, metterci dentro nessun dato che non sia assolutamente storico. Però l’idea è quella di scrivere un saggio che sia abbordabile anche per chi, magari, non ha una preparazione specifica, perché ci sono un sacco di saggi e di biografie veramente molto belle di Giulio Cesare, però, ovviamente, richiedono una conoscenza del periodo e del personaggio abbastanza approfondita. Mentre la mia vuol essere proprio una introduzione, cioè, molto semplicemente, ho cercato di scrivere una storia di cui Cesare è il protagonista, però, che mi ha permesso di raccontare anche la Roma del tempo. Perché, molto spesso, quando si scrive la biografia di un personaggio, come dire, si tende a presentarlo un po’ come una specie di cattedrale nel deserto. Cioè, c’è lui e c’è solo lui, e tutto attorno c’è il vuoto. E invece molte delle scelte che Cesare fa, come qualsiasi altro personaggio storico, sono fortemente influenzate da quello che gli sta attorno. E la Roma del tempo era piena di personaggi incredibili, era un periodo in cui c’era una grandissima concentrazione di grandi personalità, dallo stesso Giulio Cesare, poco prima c’erano stati Silla e Mario, poi ci sono Cicerone, Crasso, Pompeo, Catilina, Publio Clodio, e anche minori, Catone, Bruto, eccetera. E anche le donne, poi, sono interessanti in questo periodo, come Servilia, come Cleopatra, come tante altre matrone, la stessa Aurelia mamma di Cesare. Per cui mi piaceva anche fare, in qualche modo, un romanzo, o meglio un saggio corale, cioè raccontare tutti questi personaggi che sono stati fondamentali per capire perché poi Cesare fa certe scelte, e poi mi piaceva anche molto raccontare la città di Roma, che era una città molto particolare e forse abbastanza diversa da come chi non è un esperto di Storia antica se la può immaginare, era molto più simile a una New York dei nostri giorni, una città piena di gente che proveniva da ogni parte del mondo, che arrivava lì con la voglia di fare fortuna, e quindi che era piena di persone con mentalità diverse, con delle grandi ambizioni, e tutto questo era un frullato estremamente instabile e anche però estremamente affascinante, perché era veramente una città in cui poteva succedere di tutto. Ecco, a me… mi sono divertita molto a raccontare tutte queste cose, e quindi secondo me è anche ben riuscito. Poi, ovviamente, spero che i lettori saranno d’accordo con me.
Ty Segall, CaesarCesare. L’uomo che ha reso grande Roma, di Mariangela Galatea Vaglio comincia così:
— Mariangela Galatea Vaglio legge il prologo di Cesare. L’uomo che ha reso grande Roma —
R.E.M., World Leader Pretend***
The Fall, The Book of LiesTutte storie di morti: biografie, si chiamano. Oh, autobiografie: “La mia vita”, “Il mio diario”, “Le mie memorie”, “Le mie… memorie intime”. Ma loro hanno cominciato solo, beh, per l’impulso di scrivere. Poi hanno continuato solo per soddisfare la loro vanità, distinguersi dalla massa, essere diversi, poter guardare gli altri dall’alto in basso.
(Fahrenheit 451; François Truffaut, 1966)
E questa era la terza puntata di 232 Celsius (circa), dove Sergio Pilu ha letto e raccontato La guerra del Peloponneso di Tucidide, del 400 e qualcosa avanti Cristo; e io, che sono Marco Manicardi, ho intervistato Mariangela Galatea Vaglio su un libro che si chiama Cesare. L’uomo che ha reso grande Roma, del 2020.
Le canzoni che avete ascoltato erano, nell’ordine:
Books are burning, degli XTC, da un disco che si chiama Nonsuch del 1992, e che ormai è la nostra siglaKnow Your Rights dei Clash, da Combat Rock del 1982War on War dei (o degli) Wilco, dall’album Yankee Hotel Foxtrot del 2002Democracy, di Leonard Cohen, da The Future del 1992Caesar di Ty Segall, da un disco che si chiama Melted del 2010World Leader Pretend dei REM (o degli AR I EM, se volete) da Green del 1988la sigla finale, che state ascoltando ora, è The Book of Lies, da Shift-Work dei Fall del 1991L’accopagnamento alle letture è la Grosse Fuge, Op. 133, di Ludwig van Beethoven, eseguita dal Talich Quartet nel 1977, e noi l’abbiamo un po’ stagliuzzata e riassemblata e, insomma, speriamo che il buon Ludovico-van non se la prenda. Crediamo di no.
232 Celsious (circa), nelle persone di Sergio Pilu e Marco Manicardi, ringrazia Caterina Imbeni e Simone Marchetti per la consulenza musicale, e Andrea Bentivoglio, il peraltro direttore artistico di Radio Sverso, per l’entusiasmo.
E tornerà, molto probabilmente, la settimana prossima, stesso giorno, stessa ora, se va tutto bene.
A presto.
Ciao.
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