Atene contro Siracusa (Parte VI)

Come detto, la razionalità e il buon senso di Nicia trovarono un ostacolo insormontabile in Alcibiade, personalità complessa e contraddittoria, che sia i suoi contemporanei, sia noi moderni, abbiamo difficoltà a comprendere nella sua interezza: un uomo che gli dei avevano così generosamente dotato di talenti e vizi, e su la cui vita cadde così tanta gloria e vergogna.

Una cosa però possiamo dirla. Radicalizzò, in chiave di personalismo politico, il requisito fondamentale dell’uomo libero greco della pólis, riconosciuto, tra gli altri, anche da Hannah Arendt: la capacità di parlare in pubblico e di compiere grandi gesta.

Per molti ateniesi della sua epoca, fu invece il genio malvagio della Grecia, un uomo ambizioso e capace di corrompere, pronto a vendere la sua patria e i suoi amici, per cui non c’era nulla di sacro. Un traditore e un codardo che pensava solo alla propria salvezza, portando alla distruzione la madrepatria.

Per altri, tra cui Senofonte e Diodoro Siculo, fu un generale di talento, un politico lungimirante, una persona dai molti talenti che sopportò coraggiosamente le avversità del destino. Un vero patriota il quale fu ingiustamente attaccato e vittimizzato dall’invidia e dal tradimento.

Tucidide, ossessionato dalla sua figura, oscillò, nel descriverlo, da un polo all’altro. Plutarco lo paragonò alla fertile terra egiziana, che, secondo Omero

“dà alla luce molti cereali – sia buoni, curativi e cattivi, velenosi“.

Cornelio Nepote scrisse:

“Su quest’uomo la natura ha ovviamente sperimentato tutto ciò che può fare. Tutti coloro che scrivono su di lui concordano sul fatto che nessuno lo ha superato nelle qualità migliori e in quelle peggiori. Discendente di una nobile famiglia ateniese, fece tutto con la massima abilità. Aveva un bellissimo aspetto, una mente eccezionale, comandava le truppe sia di terra che di mare. Era un abile oratore e in quest’arte non conosceva rivali, e soprattutto grazie a ciò ottenne un’enorme influenza. Era ricco e generoso, ma quando ne aveva bisogno, era laborioso e resistente, amava lo splendore della vita pubblica e della casa, sapeva adattarsi abilmente alle circostanze e non aveva nessuna cognizione nella misura delle sue azioni. Poteva essere amichevole e lusinghiero, dispettoso, dissoluto, voluttuoso. Rimane un mistero come potessero tali proprietà diverse essere state combinate in una sola persona“.

Giudizio su cui non possiamo che concordare. Alcibiade nacque nel 450 a.C. era figlio di Clinia, soldato eroico quanto il figlio, ma a differenza di questi, incorruttibile, dote assai rara nell’Atene dell’epoca, i politici sono dei dilettanti, rispetto a Pericle, nell’antica arte di vendersi al prossimo, e nemico giurato dell’evasione fiscale, cosa che lo rese alquanto odiato dai suoi concittadini. Più volte si salvò per il rotto della cuffia dall’ostracismo.

Secondo Plutarco, la dirittura morale di Clinia dalla convinzione che la sua famiglia discendesse da Eurisace, figlio di Aiace Telamonio e si dovesse essere degni, con la vita e con le opere, di tale eroe. Per sua sfortuna, Alcibiade prese dalla madre, Dinomaca, della nobile famiglia degli Alcmeonidi , che invece diceva di discendere Alcmeone, nipote di Nestore: una battuta che girava nell’Atene dell’epoca, parafrasata da Martin per i Targaryen

Ogni volta che nasce un Alcmeonide, gli dei tirano i dadi. E l’Attica trattiene il fiato

Infatti poteva saltare fuori di tutto e di più: dal genio salvatore dello Stato, al megalomane che voleva farsi re o all’indegno cialtrone. Oppure Alcibiade, che li comprendeva tutti. Dopo la morte di Clinia, avvenuta nella battaglia di Coronea (447 a.C.), in cui gli ateniesi furono sconfitti dai Tebani, perdendo la loro influenza sulla Beozia, in cui il padre di Alcibiade ebbe una morte degna di un eroe omerico, facendo strage di nemici, permettendo così la ritirata degli opliti del suo quartiere, il giovane fu affidato a Pericle e a suo fratello Arifrone, entrambi cugini della madre.

Con tutori di questo genere, il giovane non poteva crescere che appassionato di politica, ambizioso e dalla moralità alquanto lasca: fin da subito, comprese che nulla gli avrebbe procurato influenza sulla massa più del fascino della parola. A tal proposito, Demostene, nell’orazione Contro Midia, definì Alcibiade dotato di un’eccezionale eloquenza; secondo Teofrasto aveva superato chiunque altro nel trovare, nell’ideare ciò che sia più conveniente nelle varie circostanze, sforzandosi non solo di cercare ciò che occorre dire, ma anche il modo in cui bisogna dirlo, i termini e le espressioni.

Anche un apparente motivo di debolezza, come il difetto di pronuncia, ossia la elle in luogo della erre, divenne per lui un ulteriore punto di forza e di fascino. Tuttavia, come puntualizza Plutarco, oltre alle notevoli doti di politico e oratore, alla sottile intelligenza e alla singolare abilità, nell’animo di Alcibiade si annidava la dissolutezza dei costumi, che lo guidava

verso eccessi nel bere e negli amori, verso un modo di vestire effeminato, verso un’ostentazione di lusso sfrenato.

Per sua fortuna, incontrò Socrate. Che fossero amanti, cosa comune nell’Atene dell’epoca, è citato dalle fonte più tarde. Cosa paradossale, le fonti coeve sembrano ignorare il loro legame: nei testi di Tucidide non se ne accenna, mentre le orazioni Contro Alcibiade dello Pseudo-Andocide, Sulla biga di Isocrate e Contro Alcibiade per diserzione di Lisia non alludono al filosofo. Anche Aristofane, riferendosi ad Alcibiade, non lo mette mai in relazione a Socrate e secondo me è la cosa più strana: insomma, mi sarei aspettato che la sua linguaccia li prendesse in giro in ogni modo.

A meno che nelle Nuvole Prime, come ipotizzano alcuni studiosi anglosassoni, che Fidippide sia una parodia di Alcibiade e Strepsiade, del tutore Arifrone, noto per la sua tirchieria: in questo caso, la sconfitta di Aristofane alle Grandi Dionisie del 423 fu dovuta alla permalosità di Alcibiade, nonostante il fatto che Socrate si facesse grasse risate sulla sua parodia.

Riguardo al rapporto con il filosofo, Plutarco paragona Alcibiade al ferro

che, reso molle dal fuoco, di nuovo si indurisce sotto l’azione del freddo, ovvero di Socrate che, ogni volta che lo trova pieno di lussuria e di vanità, provvede subito a renderlo umile e docile

Socrate, tentò inutilmente di frenare l’ambizione dell’allievo, cercando di dimostrargli la pochezza di ciò di cui era orgoglioso. Perciò una volta lo condusse ove c’era una cartina geografica e gli chiese di indicargli ove si trovasse l’Attica. Quando il giovane Alcibiade la trovò,Socrate gli chiese di indicargli ove si trovassero i suoi beni, e alla risposta:

“Non ce ne sono affatto“,

gli disse:

“ Guarda, sei orgoglioso di possedere una parte insignificante della Terra”

Socrate pagò con gli interessi il suo fallimento nell’inculcare nella testa dura di Alcibiade il senso delle massime dei Sette Savi

Nulla di troppo, Ottima è la misura, Non desiderare l’impossibile.

Secondo il buon Senofonte, durante il processo al filosofo

E tuttavia, così diceva l’accusatore, Crizia e Alcibiade, che sono stati in familiarità con Socrate, fecero danni gravissimi alla città. Infatti Crizia fu il più avido e il più violento e il più assassino di tutti quelli che si impegnarono nell’oligarchia, mentre Alcibiade fu il più sfrenato, il più arrogante e il più violento tra quelli impegnati in democrazia.

La tradizione riporta alcuni episodi che evidenziano il peculiare carattere di Alcibiade. Plutarco, per esempio, racconta che una volta Alcibiade volle incontrarsi con Pericle ma gli fu detto che lo statista non poteva riceverlo, perché stava studiando come presentare agli Ateniesi il resoconto del suo mandato politico. Alcibiade allora rispose:

“Non sarebbe meglio che studiasse come non presentare il resoconto agli Ateniesi?”

Un’altra volta diede senza motivo un pugno a Ipponico, un ricco Ateniese, suscitando lo sdegno generale. Alcibiade si recò quindi a casa di Ipponico e gli mostrò la schiena invitandolo a frustarlo. Non solo Ipponico lo perdonò, ma gli diede in moglie la figlia Ipparete. Lasciando parlare Plutarco, il loro rapporto coniugale, fu come dire, assai burrascoso.

Poiché Ipparète, pur essendo una moglie obbediente e affezionata, aveva un matrimonio infelice a causa del marito che se la intendeva con etère, straniere e cittadine, abbandonò la casa e andò a stare dal fratello. Ma siccome Alcibiade non se ne curava, anzi, se la spassava, Ipparète fu costretta a depositare presso l’arconte la richiesta di divorzio, non tramite intermediari, ma di persona. Mentre dunque si recava a fare ciò secondo la legge, Alcibiade, sopraggiunto e afferratala, la trascinò per la piazza dirigendosi verso casa, mentre nessuno osava opporsi né strappargliela di mano. Rimase dunque presso di lui fino alla morte e morì non molto tempo dopo, mentre Alcibiade navigava verso Efeso.

Alcibiade faceva di tutto, come un moderno influencer, per costruirsi un’immagine pubblica. Sempre secondo Plutarco

Alcibiade poi, sebbene possedesse un cane incredibilmente grande e bello che aveva comprato per settanta mine, gli tagliò la coda, che pure era bellissima. E poiché i familiari lo rimproveravano e dicevano che tutti erano afflitti per il cane e lo biasimavano, scoppiato a ridere, disse: “Succede proprio quello che voglio! Voglio infatti che gli Ateniesi chiacchierino di questo, perché non dicano nulla di peggio su di me”

Sempre in quest’ottica, di pubblicizzarsi con un prodotto da piazzare all’ateniese medio, durante i Giochi olimpici del 416 a.C., partecipò alla corsa dei carri con ben sette carri, più di quanto ogni altro privato cittadino avesse mai fatto fino ad allora. Tre dei suoi carri arrivarono rispettivamente primo, secondo e quarto

Il clamore dell’impresa fu tale, che dverse città lo onorarono. Gli Efesini allestirono una tenda decorata, gli abitanti dell’isola di Chio gli donarono cavalli e animali sacrificali, gli abitanti di Lesbo vino e prodotti per le feste. Furono realizzate odi in suo onore, ma una risultò molto allarmante. Come riportato da Plutarco, Timone, il famoso misantropo ateniese, riferendosi ad Alcibiade scrisse:

“ Adoro questo ragazzo, perché prevedo quanti danni arrecherà agli ateniesi “.

che poi Timone, proprio misantropo non fosse, lo testimonia Aristofane: il coro delle vecchie afferma della Lisastrata che, sebbene Timone odiasse gli uomini, era amichevole e gentile nei confronti delle donne.

Fra il 424 e il 421 Alcibiade cominciò, benché non avesse ancora i trent’anni necessarî per rivestire magistrature a prendere iniziative politiche: v’erano in Atene gli Spartani d’importanti famiglie, catturati a Sfacteria, e il nostro eroe ne ebbe cura particolare, approfittando di antiche relazioni ospitali intercedenti fra la sua casa e gli Spartani, e sperando di prepararsi così una parte considerevole nelle prossime trattative di pace. Gli Spartani conclusero nel 421 la pace senza valersi di lui, che reputavano ancora troppo giovane e inaffidabile, scegliendo Nicia come loro interlocutore.

Per ripicca, Alcibiade si schierà con il partito democratico radicale, allo scopo proprio di sabotare quella pace. Nel 420-19, raggiunto il limite dell’età legale,si fece eleggere stratego, dando il la a un’intuizione strategia geniale, portare la guerra nel Peloponneso: se i lacedemoni fossero stati sconfitti nel cortile di casa, la simmachia su cui si basava il loro dominio internazionale si sarebbe sciolto come neve a sole. Un piano analogo a quello che seguirà Epaminonda in futuro.

Pe realizzarlo Alcibiade si impegnò in un intenso lavoro diplomatico, che portò all’alleanza con Argo e la creazione di una lega, in cui ci infilò di tutto e di più, come Mantinea, Elis e altre città del Peloponneso. Per di più, a Mantinea, Lachete, che non era certo paragonabile al tebano, aveva persino beccato un piano di battaglia sensato: dove fu applicato correttamente, sull’ala sinistra, le truppe spartane furono messe in rotta le truppe di Mantinea e di Argo saccheggiarono il loro accampamento. Il problema è che sul resto del fronte, gli ehm eroici alleati, appena videro avvicinarsi i lacedemoni, scapparono a gambe levate e gli ateniesi dovettero affrontare i nemici in forte inferiorità numerica: così furono totalmente accerchiati e corsero il rischio di essere annientati. L’appoggio della cavalleria e la necessità spartana di soccorrere l’ala sinistra, costrinse gli Spartani ad aprire il cerchio, permettendo la ritirata attica.

Nonostante la vittoria, per le perdite subite, a Sparta decisero di passare per scemi, fingendo di non avere visto a Mantinea gli opliti ateniesi: così la pace di Nicia fu salva. Però, Alcibiade sembrava politicamente bruciato, ma quell’uomo aveva più vite di un gatto. Non si diede per vinto. Mobile, ardente, immaginoso, si riservava all’avvenire, e passò destramente sulla strada che per il momento era la sola aperta: aderì alla politica di Nicia, dimostrando più vanità che orgoglio. Il suo disegno era favorito dall’indole di Nicia, serio, chiuso in sé, alieno dalla folla e dai troppo rudi contrasti. A cementare la loro alleanza fu la lotta contro il democratico radicale Iperbolo, che voleva farli esiliare tutti e due. Alla fine, dopo uno sproposito di intrighi, che all’intellettuale ateniese medio era addirittura più antipatico che Cleone, andò per menare e fu picchiato, ossia fu ostracizzato lui

Alcibiade fu di nuovo stratego nel 417-16 e nel 416-15: benché non fosse tra i generali impegnati nell’assedio di Melo, è probabile che ne condividesse l’opinione, figlia delle riflessioni dei sofisti.

Ma per quanto riguarda la pietà dei sentimenti verso la divinità, neppur noi crediamo di restare indietro, ché noi non esigiamo né facciamo alcuna cosa che devii dalle umane credenze nei confronti della divinità o dagli umani desideri nei confronti di se stessi.

Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza.

Plutarco afferma che fu uno dei sostenitori del decreto col quale a Melo furono uccisi tutti gli uomini adulti e ridotti in schiavitù le donne e i bambini. Andocide afferma che Alcibiade ebbe un figlio da una di queste schiave… Così, dinanzi all’ambasciata di Segesta, si preparò a tradire l’alleanza con Nicia

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Published on February 08, 2021 08:52
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Alessio Brugnoli
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