Atene contro Siracusa (Parte I)
 
Data l’esperienza della Prima Spedizione in Sicilia e il successivo impegno della diplomaziona ateniese, la tesi di Tucidide, della campagna contro Siracusa come atto di follia collettiva, frutto dell’ignoranza del demos, è più legata a esigenze di tipo narrativo e moralistico, la creazione di un exempla di hybris punita dal Fato, che a un’effettiva analisi strategica.
Nel 421 a.C. si era raggiunta una sorta di compromesso, la pace di Nicia, che aveva decretato, teoricamente per 50 anni, la cessazione delle ostilità tra Sparta e Atene ripristinando lo status quo ante bellum. Atene avrebbe dovuto cedere le città di Pylos e Citera in cambio della città di Amphipolis, mentre la città di Scione, che aveva rotto l’alleanza con Atene per allearsi con Sparta durante la guerra del Peloponneso, sarebbe dovuta tornare sotto il controllo ateniese.
Il problema che le due controparti non si fidavano l’una dell’altra: l’espansionismo, sia politico, sia commerciale di Atene metteva in seria difficoltà gli alleati di Sparta, come Corinto, minando le basi della lega del Peloponneso, che i lacedemoni, che ne avevano bisogno per il controllo della Messenia, non potevano permettere. Atene, invece, vedeva l’appoggio spartano alle fazioni oligarchiche delle polis, sia come un affronto ideologico, sia come un tentativo di provocare il collasso della Lega di Delo, dati i malumori dei suoi alleati, trasformati in satelliti ad autonomia limitata. Il crollo della Lega di Delo avrebbe compromesso il controllo ateniese dei mari, danneggiando sia le esportazioni della città, sia rendendo complicato l’approvviggionamento dell’Attica.
Di conseguenza, la reciproca malafede provocò sin da subito attriti a non finire. La pace di Nicia prevedeva, infatti, che una delle due fazioni, scelta a sorte, in segno di buona volontà facesse il primo passo restituendo una delle città che spettavano all’avversario. Quando tuttavia fu il turno di Sparta questa, a causa della scarsa fiducia che riponeva in Atene, si rifiutò di restituire Amphipolis e di conseguenza Atene non liberò Pylos.
Per cui, da una parte Sparta ed Atene cominciarono a combattere una guerra indiretta, ciascuna sfruttando i propri alleati per contrastare la polis nemica, dall’altra approfittarono della tregua per intraprendere una “corsa agli armamenti”. Sparta, per la sua peculiare organizzazione sociale, aveva il vantaggio di mobilitare più rapidamente le risorse, in fondo si trattava solo di fare lavorare di più gli iloti, per Atene le cose erano assai più complicate.
Non si potevano aumentare i tributi agli alleati, per evitare rivolte nella Lega di Delo. L’imposizione di una Liturgia straordinaria, la contribuzione ehm volontaria che i cittadini più ricchi fornivano alle spese di guerra, toccando le tasche delle élites ateniesi, sia conservatrici, sia progressiste, era assai poco gradita. L’eisphora, l’imposta sul capitale che colpiva tutti gli abitanti, meteci inclusi, non sarebbe mai stata approvata dall’assemblea.
Di conseguenza, il modo più semplice per pagarsi il riarmo, per Atene, era sottrarre risorse ad altri. Per le vicende del 427, la Sicilia appariva un obiettivo assai attraente. Era ricca, più della media delle città greche, gli opliti attici sembravano, dal punto di vista militare, ben superiori a quelli locali.
Sarebbe bastato, per ottenere una rapida vittoria, mandare un numero congruo di soldati, non i quattro gatti della 427 e non disperdere le forze su obiettivi secondari, come Rhegion e Locri, ma puntare subito al bersaglio grosso, Siracusa.
In caso di trionfo ateniese, Sparta, oltre a perdere un importante alleato politico, senza il grano siciliano avrebbe fatto sicuramente la fame e sarebbe stata diplomaticamente più malleabile. Il problema era la mancanza di un casus belli…
Alessio Brugnoli's Blog
 


