Ippocrate di Gela





Ippocrate di Gela, anche se la sua figura è nota solo in linee generali, ma che sotto molti aspetti, è uno straordinario innovatore sia nella politica della Sicilia Greca, sia in generale, del mondo classico.





Succeduto al fratello Cleandro dopo una guerra civile contro gli oligarchi locali, che vinse grazie all’appoggio della fazione guidata da Gelone, come gli altri tiranni dell’epoca, cercò di proiettare all’esterno le tensione interne alla polis, ma con tutt’altra ambizione rispetto al rubare le terre ai vicini, come succedeva quasi sempre sino ad allora, sia in Grecia, sia in Sicilia: Ippocrate, infatti, è il primo che si pose l’obiettivo geopolitico di unificare sotto un unico dominio le polis dell’isola.





Grazie ad Erodoto, abbiamo un’idea di massima delle conquiste compiute dal tiranno di Gela





Alla morte del figlio di Pantare Cleandro, che regnò su Gela per sette anni e morì per mano di un uomo di Gela, Sabillo, prese il potere Ippocrate, fratello di Cleandro. Al tempo della tirannide di Ippocrate, Gelone, discendente del sacerdote Teline, era doriforo di Ippocrate assieme a molti altri, tra i quali Enesidemo, figlio di Pateco. In breve tempo per il suo valore fu nominato comandante di tutta la cavalleria; infatti quando Ippocrate assediò Callipoli, Nasso, Zancle, Lentini, nonché Siracusa e varie città barbare, Gelone in queste guerre si distinse in modo particolare.





La prima conquista fu Kallipolis, colonia greca mai identificata con certezza, ma che dovrebbe forse corrispondere con la nostra Giarre; poi passo a Naxos, a Messina e infine Lentini, con un disegno strategico abbastanza semplice. Ippocrate si sarebbe prima diretto contro centri minori, in modo da fare bottino e procurarsi fondi per sostenere la guerra, per poi concentarsi sulle polis più importanti. In questa campagne, che lo resero padrone della Sicilia orientale, Gelone fece carriera, diventando ipparco, comandante della cavalleria.





Per vincere le guerre, però, serve un esercito: imitando i cartaginesi, Ippocrate affiancò alla milizia della Polis, che a differenza di quelle greche, era costituita essenzialmente da cavalieri, piuttosto che da opliti, mercenari arruolati tra i profughi ionici in fuga dai persiani, per avere questa benedetta fanteria pesante e da siculi, che invece costituivano la fanteria leggera, che aumentava la flessibilità del suo esercito: un dispositivo tattico a cui, nella Grecia continentale, si arriverà solo alla fine della Guerra del Peloponneso.





Ma i mercenari, per combattere, debbono essere pagati: per far questo, Ippocrate adottò due soluzioni distinte. La prima, tradizionale, è basarsi sul saccheggio delle città conquistate gli fa ottenere ricchezze che egli può rimettere in circolazione coniando moneta ed è forse al nuovo tiranno che va attribuita la prima attività di coniazione a Gela (adottando il sistema ponderale euboico-attico e il didramma come valore nominale di base). Ma l’attività della nuova zecca di Gela va ascritta non solo all’esigenza di pagare i mercenari, ma anche ad un’intensa attività edilizia, che si sviluppa tanto a Gela, con la ristrutturazione del complesso templare di Athena Lindia, quanto nella madrepatria (lavori per il thesaurós del santuario di Olimpia). L’argento per le monete proveniva da esazioni effettuate nella madrepatria e dalla vendita dei prigionieri resi schiavi,inizialmente solo indigeni, ma ben presto anche Greci.





A questo approccio predatorio, che di fatto creava un circolo vizioso, con la guerra che continuava ad oltranza per auto alimentarsi, Ippocrate associò una straordinaria innovazione: l’istituzione di colonie militari da destinare ai soldati, i quali si assicuravano il possesso di vasti spazi di terra coltivabile. Soluzione che sarà imitata da tutti i tiranni greci successivi e probabilmente grazie alla mediazione di Dioniso di Siracusa, che aveva rapporti diplomatici più o meno conflittuali con l’Urbe, anche dai romani, e che garantiva al tiranno una serie di vantaggi: le tesaurizzazione del bottino, la trasformazione dei soldati in contribuenti, un maggior controllo del territorio.





Il rischio delle colonie militari, se costituite non da cittadini, ma mercenari è che qualche loro comandante troppo intraprendente mandi al diavolo il suo datore di lavoro, rivoltandosi e proclamando la secessione: Ippocrate, consapevole del rischi, inventò un meccanismo di bilanciamento di potere, non distruggendo le poleis conquistate, ma le affidandole a tiranni vicari, che da lui dipendono e a cui è riservata un’autonomia appena formale, come è il caso di Enesidemo di Leontini, figlio di Pateco. Questi oltre a tassare e controllare i loro concittadini, fungevano anche da cani da guardia per qualche strana iniziativa da parte delle colonie militari.





Di questi tiranni vicari abbiamo comunque pochissime informazioni. Il caso meglio documentato è anche quello più controverso e riguarda Zancle, la nostra Messina. La vicenda è documentata dalla testimonianza del solito Erodoto (6, 23):





Durante questo viaggio accaddero i seguenti avvenimenti: i Sami, navigando verso la Sicilia, giunsero a Locri Epizefiri proprio mentre gli Zanclei e il loro re, che aveva nome Scite, assediavano una città dei Siciliani per conquistarla. Saputo ciò, il tiranno di Reggio Anassilao, il quale era allora in discordia con gli Zanclei, venuto a colloquio con i Sami li persuase che conveniva dire addio a Calatte verso la quale navigavano e occupare invece Zancle, che era vuota di uomini. Poiché i Sami si lasciarono convincere e occuparono Zancle, allora gli Zanclei, appena seppero che la città era occupata, accorsero a difesa e chiamarono in aiuto Ippocrate tiranno di Gela, che era loro alleato. Ma Ippocrate quando effettivamente col suo esercito venne loro in aiuto, mise in ceppi Scite re degli Zanclei come responsabile della perdita della città e suo fratello Pitogene e li mandò nella città di Inico, e gli altri Zanclei li consegnò a tradimento ai Sami con cui si era accordato e aveva scambiato giuramenti. Gli era stato fissato questo compenso dai Sami, che essi stessi si prendessero la metà di tutti i beni mobili e degli schiavi che erano nella città e che invece tutti i beni dei campi li avesse Ippocrate.





Il passo di Erodoto può essere collegato ad un passo di Tucidide il quale riferisce:





Zancle dapprima era stata così chiamata dai Siculi, poiché il luogo ha l’aspetto di una falce (i Siculi chiamano la falce «zanclon»); poi gli abitanti furono scacciati dai Sami e da altri Ioni, che fuggendo i Medi approdarono in Sicilia.





I Sami e gli Ioni menzionati da Erodoto e da Tucidide sono con tutta probabilità da collegare alla battaglia di Lade del 494 a.C., che determina la fine della rivolta ionia contro i Persiani. Queste genti, in fuga dal disastroso risultato della guerra contro gli Achemenidi, avevano intenzione di colonizzare la nostra Caronia.





Quando giungono a Locri Epizefirii, Anassilao, il tiranno di Rhegion, i cui obiettivi di controllo dello stretto e del commercio tirrenico con i Cartaginesi lo ponevano in diretto contrasto con le ambizioni dei tiranni sicilioti, li invita a conquistare Messina, come suoi alleati.





Il tentativo fallisce per l’intervento di Ippocrate, che non fidandosi più del suo clientes, arruola i profughi mercenari, caccia a pedate Scite e trasforma Messina da polis a colonia militare. Scite riesce a scappare e a tornare a Cos, dove originariamente aveva rinunciato alla tirannide per cercare fortuna in Occidente e si era allontanato con il permesso del re persiano Dario. Il quale, al vederlo tornare e presentarsi alla sua corte, sempre secondo Erodoto





“lo giudicò il più onesto di tutti gli uomini che erano venuti a lui dalla Grecia”





Per completare il suo progetto egemonico, però, mancava un tassello: il possesso di Siracusa, per due importanti motivi. Il primo è che, essendo Siracusa posta in un punto centrale tra la costa meridionale e quella orientale gli avrebbe permesso un controllo e una vigilanza costante sui territori conquistati e sottomessi. Il secondo, ancora più importante era il controllo del suo porto, che associato a quello di Zancle, avrebbe assicurato le comunicazione e gli scambi commerciali con l’Oriente, la Madrepatria e Cartagine, e il controllo dei mari.





Il tiranno di Gela aspettava il momento opportuno per dichiarare guerra alla polis: sfruttò l’occasione dell’ennesima guerra civile tra i gamóroi “coloro che possiedono una porzione di terra” la classe di proprietari terrieri discendenti dai primi coloni corinzi e i Killichirioi, i braccianti e gli artigiani, discendenti dai siculi e dagli immigrati di seconda generazione. Nel 492 a.C. Ippocrate invase la chora di Siracusa, sconfiggendo i suoi cittadini nei pressi del fiume Eloro, in cui si distinse il cognato di Gelone, Cromio, a cui Pindaro dedicò la Prima Ode Nemea.





Ippocrate però, fu costretto a togliere l’assedio di Siracusa, per due motivi: il primo, la minaccia di intervento della flotta di Corcira e di Corinto, e il tiranno di Gela non voleva concedere a queste città una scusa per intervenire nelle vicende siciliane. Il secondo, le continue razzie che le città sicule stavano cominciando a compiere ai danni dei suoi domini, che stavano rischiando di trasformarsi in una guerra aperta.





Per cui, a malincuore, accettò un compromesso con Siracusa, rimandando a tempi migliori la conquista: la polis dovette pagargli un tributo e cedergli il possesso di Camarina. A seguito della pace, Ippocrate concentrò i suoi sforzi contro i siculi. Il suo primo obiettivo fu Ergezio, nell’area della nostra Paternò.





Secondo quanto racconta Polieno nei suoi Stratagemmi, Ippocrate mostrandosi uomo magnanimo davanti agli Ergetini li convinse ad entrare tra le file del suo esercito: dava loro la paga migliore, li lodava oltremodo, guadagnandosi sempre più la loro fiducia. Poi una notte, quando tutti gli uomini in grado di combattere lo accompagnarono, egli condusse gli Ergetini in mare, ponendoli su delle barche, tra le onde. Nel frattempo si diresse tramite la pianura della Lestrigonia nell’entroterra, in una Ergezio ormai priva di difese; la conquistò mentre gli Ergetini erano bloccati sulla costa, poi, una volta presa, diede ordine ai Geloi e ai Camarinesi di uccidere gli Ergetini.





Il passo successivo fu la conquista di Ibla; disperata ed eroica fu la difesa dei siculi, ma Ippocrate riportò la vittoria che sventuratamente pagò con la vita per le numerose ferite riportate in battaglia. Alla sua morte, però, il suo dominio si sciolse come neve al sole.





Il primo a muoversi fu Anassilao di Rhegion, che, con un colpo di mano, conquistò Zancle, scacciandone i sami e il tiranno vicario Cadmo di Cos, figlio di Scite. Lo scontro è attestato da una dedica posta su uno schiniere e su un elmo rinvenuti a Olimpia, in cui i Reggini si vantano di una vittoria sui Geloi. Da quanto racconto Tucidide, Anassilao insediò nella città “uomini di provenienza diversa” (Tucidide, 6, 4, 6), tra cui dei Messeni, probabilmente salvatisi da un moto di iloti datato 490 a.C. Fu forse in questa occasione che Anassilao, egli stesso di discendenza messena, ribattezzò la città Messana. Anassilao diviene ecista di Messana e molto probabilmente vi si trasferisce, lasciando Reghion al figlio Leofrone





Al contempo, Gelone, che fungeva da tutore dei figli minorenni di Ippocrate, dovette affrontare sia la rivolta delle vecchie famiglie oligarchiche, tanto che a sentire Erodoto, organizzò un colpo di stato





Quando anche Ippocrate, dopo aver regnato tanti anni quanti suo fratello Cleandro, morì presso la città di Ibla, in una guerra da lui intrapresa contro i Siculi, ecco allora che Gelone finse di soccorrere i figli di Ippocrate Euclide e Cleandro, giacché i cittadini non volevano più essere loro soggetti, ma in realtà, sbaragliati in battaglia i cittadini di Gela, strappò ai figli di Ippocrate il potere e lo detenne personalmente.





In realtà la situazione potrebbe essere, a sentire Aristotele, di solito assai bene informato sulle vicende siciliane, assai più complessa. Il maestro di color che sanno, in un brano della Retorica, così scrisse





Costoro commettono ingiustizie nei confronti di quelli che stanno per subirle da altri, poiché non vi è più il tempo necessario per deliberare, come si dice fosse il caso di Enesidemo, che mandò il premio del cottabo a Gelone che aveva sottomesso Gela, in quanto [Gelone] l’aveva preceduto, poiché anch’egli [Enesidemo] si apprestava a fare la stessa cosa





Di fatto, si scatenò una sorta di notte dei lunghi coltelli tra i generali di Ippocrate e Gelone fu il più lesto ad approfittarne..

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Published on December 27, 2020 10:35
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Alessio Brugnoli
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