Claire * Capitolo 3
Accompagnata dalla cameriera, Claire si recò a piedi alla residenza dei marchesi di Ravenridge. Trovava piacevole camminare, la giornata era fredda ma il cielo sereno e la capitale rappresentava per lei ancora una novità; approfittava perciò di ogni occasione per imparare qualcosa, sia che fosse la storia di un monumento sia che fossero i dettagli del percorso per andare da un punto all’altro della città.
Il maggiordomo l’introdusse nel salotto in cui l’aspettava l’amica, un’ampia stanza in cui il caminetto di marmo bianco, sovrastato da uno specchio, fronteggiava una grande libreria che copriva tutto il muro; quadri con paesaggi erano appesi sulle altre due pareti e comode poltrone dalla tappezzeria a righe verdi intonata alla carta da parati erano dispose in gruppi di quattro intorno a due tavolini. I tappeti che coprivano il pavimento contribuivano a rendere l’ambiente caldo e accogliente.
Martha si alzò per andare incontro a Claire; le due si abbracciarono poi sedettero vicine. Era la seconda volta che si rivedevano a Londra e iniziarono subito a chiacchierare fittamente.
«Non accetterei mai una cosa del genere: legarmi a qualcuno che non conosco» concluse Claire dopo aver raccontato di Arabella e di quel suo quasi fidanzato.
«Se la famiglia ritiene che sia una persona adatta magari si troveranno bene insieme» si augurò Martha, più ottimista.
«Deve sposarlo lei, non la sua famiglia» replicò decisa l’altra.
Furono interrotte dalla cameriera che portava il vassoio con dei rinfreschi e quando rimasero di nuovo sole Martha volle sapere del nuovo abito da sera dell’amica e dei preparativi per la festa.
Claire le descrisse il vestito: «A me sembra perfetto: è un modello semplice, con rifiniture e ricami di foglie dorate che formano dei piccoli tralci poco più in alto dell’orlo.»
«E il colore?»
«Una tonalità di verde chiaro che mi ricorda l’erba dei prati intorno a Lime Hall dopo la pioggia primaverile, per questo l’ho scelto. E il tessuto è morbido e liscio, davvero piacevole da indossare.»
Martha sospirò: «Vorrei poterti vedere. Sono sicura che sarai bellissima.»
«Parlami un po’ di te, adesso. Non mi hai detto quasi niente di com’è essere una signora sposata.»
L’amica arrossì: «Non c’è molto da dire… e poi negli ultimi tempi resto spesso in casa…»
Claire non insistette, avendo notato la reticenza da parte dell’amica su ciò che riguardava i suoi rapporti con il marchese. Si corresse, non era reticenza, ma pudore, come se Martha non volesse condividere proprio tutto con lei. Sul momento ne fu dispiaciuta poi comprese che era giusto così perché quello che c’era fra lei e il marito era troppo privato anche per confidarsi con l’amica più cara. L’importante era che Ravenridge l’amasse e di questo era sicura perché aveva notato come la guardava, come le parlava e si preoccupava per lei e per il suo stato.
Approfittando del suo silenzio Martha le chiese: «Raccontami del tuo phaeton.»
Claire sorrise: «È tirato da due bai piuttosto vivaci, li hanno scelti Mark e mio padre da Tattersall.» Fece una smorfia. «Avrei desiderato molto andare con loro ma una signora non può mettere piede in quel luogo. È una delle tante cose che a noi donne sono precluse.»
«Lo hai già provato?»
«Tre volte. Mi piace quasi quanto cavalcare. La cosa più divertente sono gli sguardi delle persone che mi vedono passare. I gentiluomini sembrano incuriositi, le signore di solito scuotono appena il capo. Comunque ancora il parco non è molto frequentato.»
«Con chi sei andata?»
«Con Fisher, il cocchiere. Una volta è salita con me Sophia Glennrock, che avevo incontrato al parco, ma credo che non lo farà più. Ha passato tutto il tempo nella stessa posizione, rigida come un pezzo di legno. Secondo me tratteneva anche il respiro.»
«Paura?»
«Terrore» sogghignò Claire. «Devo ammettere che la seduta è piuttosto alta e che ho spinto i cavalli alla velocità massima consentita dalla buona creanza…»
Martha rise: «Fra qualche mese verrò volentieri a fare una passeggiata con te.»
In quel momento il marchese entrò nella stanza, seguito da sir Carlton. Claire, ancora adirata con il baronetto perché l’aveva ignorata quando si erano incontrati al parco, si impose di mostrarsi indifferente e lo salutò con un cenno del capo, riservando maggior calore per Ravenridge. Carlton, però, con l’espressione un po’ insolente sulle labbra che la ragazza ben ricordava, si inchinò e le sfiorò la mano con un bacio. Lei provò l’impulso di schiaffeggiarlo, ma si controllò e mantenne un’aria di fredda superiorità.
«Di quale passeggiata stavate parlando?» chiese il marchese alla moglie dopo i convenevoli.
«Di un giro in phaeton, naturalmente a tempo debito.»
«Non è un veicolo troppo avventuroso?» chiese lui.
«Claire è altrettanto esperta di sir Carlton nella guida» rispose Martha poi, rivolgendosi all’amica, spiegò: «Tom è stato membro del Four-Horse Club fino all’anno scorso e ha vinto alcune gare, poi però ha abbandonato il club perché detesta le regole.»
Claire dovete ammettere, controvoglia e fra sé naturalmente, che far parte del Four-Horse Club era un pregio non da poco e lo stesso vincere competizioni; Mark, anche lui ottima frusta nonché intenditore di cavalli, gliene aveva parlato più volte, indeciso se tentare di essere ammesso a quel circolo così esclusivo. Che Carlton fosse insofferente alle regole era un altro motivo per apprezzarlo, nonostante tutto. Peccato che si comportasse con lei in modo tanto indisponente e che lei lo trovasse così antipatico.
«Sono molto attenta a condurre quando non sono sola» rassicurò il marchese, cogliendo con la coda dell’occhio l’espressione divertita di Carlton, cosa che la indispettì ulteriormente. Lasciò che Martha cambiasse garbatamente argomento e appena ritenne di poterlo fare senza apparire maleducata se ne andò.
Cercò di cancellare le sensazioni provate camminando veloce verso casa, con un passo lungo e rapido, molto poco signorile, ma aveva già soffocato abbastanza la propria collera rimanendo composta nonostante l’atteggiamento di Carlton. Era doppiamente arrabbiata perché non c’era alcun motivo per cui il comportamento di quel tipo dovesse disturbarla tanto. Non era nessuno per lei. Giunta in camera gettò il mantello sul letto e chiese alla cameriera di farle preparare un bagno. Forse così sarebbe riuscita a scrollarsi di dosso l’irritazione che l’incontro le aveva causato.
Ma le occorse un po’ perché l’immagine dei due amici che entravano nel salotto svanisse dalla sua mente. Ravenridge era appena più longilineo dell’altro pur avendo la stessa altezza e vestiva in modo più elegante per quanto non propriamente come un dandy. Il fisico più muscoloso di Carlton esprimeva potenza ma le sue movenze erano aggraziate e veloci come quelle di un grosso gatto, somiglianza suggerita anche dagli occhi color ambra che ricordavano appunto quelli di un felino. E come questo sembrava tenere tutto ciò che lo circondava sotto controllo, anche quando sembrava distratto.
Finalmente Claire, immaginando il ricevimento che i genitori stavano organizzando per il suo debutto, un pensiero piacevole e divertente, riuscì a relegare in fondo alla memoria il baronetto. Sarebbe stata una festa indimenticabile, ne era sicura, sua madre era un’ospite perfetta e sapeva sempre cosa fare e come comportarsi. Nei prossimi mesi avrebbe cercato di seguire le sue orme, per ottenere la stessa considerazione di cui godeva lady Allston. Si sarebbe perciò impegnata a rispettare tutte le regole che imprigionavano le ragazze nubili anche se le trovava insopportabili. Di quel mondo femminile apprezzava i bei vestiti e i balli ma avrebbe voluto cavalcare come gli uomini, detestava le chiacchiere insulse e i pettegolezzi mentre le piaceva parlare di libri e di arte; avrebbe voluto sapere in cosa consistesse la gestione della tenuta e magari imparare dal padre come amministrarla; infine desiderava formarsi una propria idea sulla politica.
Mark era l’unico a cui potesse confidare i suoi interessi, con l’amico fraterno si sentiva libera di essere se stessa, ma lì a Londra capitava raramente che avesse modo di conversare da sola con lui e le loro conversazioni le mancavano. Nonostante i buoni propositi – che per il momento aveva rispettato – e benché fossero nella capitale solo da poche settimane, cominciava già a non sopportare più la routine cui non poteva sottrarsi e gli obblighi di cortesia e convenienza cui doveva sottostare. Ad aggravare la situazione c’era il fatto che i giovanotti che aveva conosciuto fino a quel momento sembravano tutti ritenerla poco più di un bell’ornamento, magari fragile, quasi incapace di formulare pensieri che non riguardassero solo abiti e accessori di vestiario. Non gradiva la loro compagnia nemmeno per pochi minuti, certo non avrebbe mai potuto prendere in considerazione l’idea di sposarne uno. Possibile che i gentiluomini fossero tutti così insignificanti?
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