I primi passi di Antonio da Sangallo
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Il fragile equilibrio su cui si basava il cantiere di San Pietro si ruppe nel 1515. Il 1 Luglio di quell’anno, logorato dalla fatica e dall’età, moriva improvvisamente Fra Giocondo: un paio di giorni dopo, la sua biblioteca fu confiscata dalla Camera apostolica per recuperare un anticipo sul suo stipendio, che poi provvide a donarla a Leone X.
La salute di Giuliano da Sangallo, che non solo dopo anni aveva realizzato la sua ambizione di essere il principale architetto della Basilica, ma aveva anche ottenuto l’incarico di ultimare e di sistemare la via di Borgo Nuovo che, iniziata al tempo di Alessandro VI, collegava Castel Sant’Angelo alla piazza di San Pietro, poi peggiorò all’improvviso. L’architetto aveva persino difficoltà a camminare, per i dolori provocati dalle continue coliche renali.
Per cui, Giuliano decise di tornarsene a Firenze, per essere assistito dal resto della famiglia. Nonostante le pessime condizioni di salute, non rimase però con le mani in mano, dato che lavorò come un dannato al progetto per la facciata di San Lorenzo, che ispirerà negli anni successivi, quello di Michelangelo.
In più, Baldassare Peruzzi, nonostante lo spropositato stipendio, decise di trasferirsi a Carpi, per dirigere i lavori del Duomo. Così, Leone X, a malincuore, il 27 agosto dovette riconoscergli il titolo di architetto unico di San Pietro e la facoltà di disporre, per la costruzione della Basilica,di tutti i marmi di Roma antica, con il consiglio tuttavia di risparmiare i più pregevoli dal punto di vista archeologico. Tuttavia, per evitare che Raffaello prendesse strane iniziative, il Papa lo riempì di commissioni pittoriche, le Stanze, le Logge, i cartoni per gli arazzi per la Sistina, in modo che l’artista potesse dedicare ben poco tempo al cantiere.
Di questo giochetto se ne accorsero anche i contemporanei, tanto che un testimone oculare dell’epoca così racconta nel marzo 1517:
“… l’opera (di San Pietro) va più adagio che andassi mai”
In realtà, la situazione non era neppure così drammatica: nel cantiere si era arrivati infatti a sistemare le cornici marmoree delle nicchie e le imposte di travertino sui pilastri della cupola e del coro.
Questo grazie al nuovo direttore dei lavori, Antonio di Sangallo, l’unico assistente rimasto della squadra del 1515. Nel frattempo, Leone X, per rispetto nei confronti di Giuliano da Sangallo, cincischiava nel nominare un coadiutore, anche nella speranza che il vecchio architetto si riprendesse e tornasse Roma.
Speranza che tramontò definitivamente con la sua morte, il 20 ottobre 1516: così, il primo dicembre, Leone X dovette cedere alle richieste di Raffaello, promuovendo a secondo architetto vaticano Antonio da Sangallo. A differenza di Giuliano e Bramante, Antonio e Raffaello non passarono il tempo a litigare tra loro, ma unirono le forze, allo scopo di risolvere tutti i problemi lasciati in sospeso dalle precedenti generazioni di architetti, a cominciare da Rossellino.
Paradossalmente, se non si è conservato neppure uno schizzo di Raffaello relativo alle prime fasi di questa collaborazione, abbiano diversi progetti di Antonio da Sangallo, frutto di un’intensa riflessione sulle proposte del partner. Grazie a questi e alla loro evoluzione, abbiamo un’idea abbastanza precisa di cosa passasse nella mente dell’Urbinate
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Che Sangallo non si riallacciasse agli ultimi progetti di Bramante, lo dimostra il più antico dei suoi disegni autografi a noi pervenuti, vale a dire il progetto di facciata U 257 A. Al posto del portico aperto, sorretto da colonne, subentra qui un blocco, probabilmente semplificato nel disegno, che si apre, in corrispondenza delle tre navate, con arcate sull’atrio e sulle porte. Denunciano tuttavia l’influsso di Raffaello gli alti piedistalli di circa 38 piedi, ma soprattutto l’interdipendenza delle singole porzioni della facciata e il ritmo complessivo delle paraste.
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Nella prima pianta Sangallo trasformò i progetti dello zio Giuliano e di Raffaello rendendoli più vicini alle proprie concezioni personali. Consapevole delle perplessità di Leone X nei confronti del primo progetto dell’Urbinate, legate alla scarsa illuminazione delle navate, vi aggiunse cupole secondarie con lo scopo di dilatare lo spazio e di fornire nuove sorgenti di luce autonoma.
La facciata è fiancheggiata da torri leggermente arretrate; nel suo portico della facciata, la foresta di colonne di Bramente è sostituita da un pronao chiuso a parete, che si apre verso l’esterno per mezzo di arcate e colonnati. Un analogo pronao era stato progettato da Raffaello per la facciata di San Lorenzo a Firenze, e alcuni particolari rendono plausibile il fatto che Raffaello, anche nei progetti per San Pietro, sia passato dal portico a colonne all’atrio già nel 1515 circa.
Al contempo, i deambulatori laterali sporgono semicircolarmente dal corpo dell’edificio; il braccio del coro bramantesco viene ugualmente mantenuto, e arricchito di sacrestie ottagonali; l’intero edificio poggia su di uno zoccolo continuo a gradoni. Tutte idee che rielaborano le precedenti proposte dello zio Giuliano.
Fedele ancora a una concezione quattrocentesca, Antonio, a differenza di Raffaello, non concepisce San Pietro come un’unità spaziale e insieme fisica, ma come una coerente successione di ambienti, dotati ciascuno di una propria identità.
Effetto collaterale di questo approccio analitico, basato sull’unione di volumi differenti, fu la crescita esplosiva degli spazi, che si ripercosse sia sull’aumento dei costi, sia sulla stima della durata dei tempi di costruzione. Leone X se ne rese conto e quanto pare cazziò sia Antonio, sia Raffaello, che pare si fosse lasciato prendere la mano dall’entusiasmo, invitandoli a ridurre le prime planimetrie, assai megalomani.
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Così Antonio torno a più miti consigli, con un nuovo progetto, U 35 A, in cui ridusse le dimensioni delle navate laterali, pur mantenendo invariate sia la navata centrale, sia l’illuminazione proposta in precedenza. Inoltre assoicò pilastri delle semicolonne, e sostitui la volta a botte con volte a crociera, sistema già usato nella bottega del Bramante intorno al 1505-1506
Qui, egli si avvicina già in modo inconfondibile al progetto di Raffaello del 1514, di cui riprende il sistema della “quincunx ” e i deambulatori assimilabili a segmenti. Infine, con estremo coraggio, propose di abbandonare il vecchio coro quattrocentesco, sostituendolo con un’abside semicircolare a gradini, che probabilmente doveva essere circondata da un deambulatorio, analogamente al transetto. Ovviamente, la richiesta di abbattere quanto già costruito negli anni precedenti, fu accolta a pernacchioni da Leone X.
Alessio Brugnoli's Blog

