Raffaello e Fra Giocondo

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Nonostante le buone intenzioni di Leone X, il cantiere di San Pietro divenne una sorta di indescrivibile manicomio: vi erano i due principali architetti, Bramante e Giuliano da Sangallo, impelagati in infinite discussione, a causa dell’antica rivalità. Il terzo, Fra Giocondo, da una parte si faceva in quattro per mediare tra le due primedonne, dall’altra, osservata preoccupato i lavori, poco convinto della stabilità e robustezza delle fondazioni. A peggiorare il clima, ci si mettevano anche gli assistenti, anche loro delle personalità alquanto ingombranti. Il primo era il buon Raffaello, che stava muovendo i primi passi come architetto e fungeva da designer degli elementi decorativi della nuova basilica.


L’altro invece era Antonio Cordini, meglio conosciuto come Antonio da Sangallo il giovane, figlio di Bartolomeo di Antonio di Meo, bottaio, e di Smeralda Giamberti, la sorella minore di Giuliano da Sangallo, che prendeva il soprannome dalla contrada di Firenze in cui abitava l’architetto. Antonio nacque nella città toscana il 12 aprile 1484 e crebbe assieme ai fratelli Francesco e Giovanni Battista (Battista, detto il Gobbo), anche essi architetti, e le sorelle e i cugini Giamberti, nella casa di questi ultimi in via dei Pinti.


Secondo il Vasari, in questo caso una fonte abbastanza attendibile,


“avendo nella sua fanciullezza imparato l’arte del legnaiuolo”,


eletto papa Giulio II, Antonio si trasferì a Roma in cerca di lavoro presso lo zio architetto, come carpentiere, iscrivendosi anche alla Confraternita di S. Giuseppe dei Falegnami. Il 4 dicembre 1508 lo zio Giuliano da Sangallo sottoscrisse a suo favore una fideiussione per consentirgli di prender parte ad appalti. Dal dicembre 1508 al marzo 1509 come “faber lignarius” ricevette pagamenti per opere da fare “in arce Hostie” ossia nel Castello di Ostia Antica e, tra il 1510 ed il 1512, come “fabrilignarius” o “carpentarius”, realizzò nella nuova fabbrica di San Pietro in costruzione le grandi armature provvisorie in legno per gli arconi di collegamento dei piloni della futura cupola.


Questi lavori lo fecero notare a Bramante, che lo prese come assistente, con l’incarico di tradurre in disegni e progetti le sue idee. Cosa che, ovviamente, fu poco gradita allo zio. Però, pure tra continue e folli discussioni, i lavori proseguirono di buona lena: quando Bramante morì, nel marzo 1514, i pilastri del transetto, dai quali si dipartono i deambulatori, erano già arrivati alle monumentali nicchie di 40 piedi romani (8,93 m).


Sul letto di morte, Bramante raccomandò Raffaello come suo successore nella direzione della Fabbrica di San Pietro: Leone X non se la sentì di non rispettare queste ultime volontà, però, non confidando molto nelle capacità architettoniche dell’Urbinate, prese alcune precauzioni. Per prima cosa, gli affiancò, come architetto responsabile Fra Giocondo; Giuliano da Sangallo, invece, ottenne la carica di coadiutore o secondo architetto, una nuova istituzione che fu conservata anche nei decenni seguenti.


Antonio da Sangallo il Giovane mantenne il suo ruolo di assistente, sottoarchitetto, e fu affiancato dal Baldassare Peruzzi, che, cosa che provocò molti malumori nel collega, ottenne uno stipendio assai più elevato: sei ducati al mese. Se i Sangallo passavano il tempo a svolgere il ruolo di bastian contrari, la direzione effettiva dei lavori fu assunta da Fra Giocondo, ruolo che, nonostante la veneranda età, svolse con inaspettata energia e determinazione. Per prima cosa, si dedicò al rafforzamento delle fondamenta, assai carenti, del Bramante: secondo quanto racconta Vasari


“… furono cavate, con giusto spazio dall’ima all’altra, molte buche grandi ad uso di pozzi, ma quadre, sotto i fondamenti, e quelle ripiene di muro fatto a mano furono fra l’uno, e l’altro pilastro, ò vero ripiene di quelle, gettati archi fortissimi, sopra il terreno, in modo, che tutta la fabrica venne a esser posta, senza, che si rovinasse, sopra nuove fondamenta, e senza pericolo di fare mai piu risentimento alcuno…”


Poi, completò il collegamento tra i piloni della cupola a quelli attigui. Infine realizzò due modelli lignei alternativi della cupola e modificò la costruzione del transetto meridionale con l’aggiunta di una nicchia che prenderà poi il suo nome, propedeutica alla costruzione delle sacrestie del coro, che, per dare un contentino al collega, riprendevano la precedente proposta sangallesca.


Intanto, Raffaello non rimaneva con le mani in mano: riprendendo le idee di Giuliano da Sangallo e di Bramante, nell’estate del 1514 lavorò a un nuovo progetto per la Basilica, capace di soddisfare le manie di grandezza di Leone X.


Come i predecessori, Raffaello chiuse le navate laterali interne del progetto di Giulio II e affiancò a quelle esterne cappelle quadrate, in modo che l’ambiente longitudinale interno, pur ampliato, comprendesse solo tre navate. Per la facciata, eliminò i campanili laterali, mantenendo però il portico con i giganteschi intercolumni dei gruppi di colonne, che avrebbe posto, nella realizzazione pratica, una serie di difficoltà difficilmente superabili.


Ma gli interventi specifici di Raffaello riguardavano soprattutto il coro. Dotò di ambulacro il braccio ovest, ispirato sia da Bramante, sia da Fra Giocondo, e nel contempo ridusse i deambulatori a una pianta dalla forma simile al segmento, e li dotò di tre campate anziché di cinque, nella speranza, da un parte di mantenere il più possibile di quanto costruito del coro quattrocentesco, dall’altra di ridurre quanto possibile i costi. La modifica, inoltre, gli permise di ritirare fuori dal dimenticatoio l’idea iniziale del Bramante, il famigerato “quincux”, la tipologia ideale della cupola dominante intorno alla quale se ne raggruppavano altre quattro, minori e analoghe, cosa che ispirò il progetto di Peruzzi a Carpi.


Perché Raffaello non nutriva solo l’ambizione di realizzare le utopie del Bramante, alle quali lo stesso suo predecessore non credeva più, ma tentava soprattutto in primo luogo, di restituire armonia e perfezione a un edificio che, in seguito agli ampliamenti del 1513 e all’effetto di troppi galli a cantare, stava pericolosamente trasformandosi in un obbrobrio.


Quali problemi Raffaello dovesse risolvere prima di formulare il progetto definitivo, lo documenta il disegno autografo della primavera 1514, conservato agli Uffizi. Bramante aveva voluto restare fedele al progetto di Giulio, conservandone in particolare le navate laterali interne e facendo sormontare le loro campate da cupole con lanterne; nelle vedute di Heemskerck infatti, sono ancora visibili,sui pilastri della cupola, gli archi perimetrali al di sopra dei quali le cupole dovevano appunto elevarsi, e ancora più in alto i vani per i lucernari delle lanterne.


Raffaello, invece, cercò di trovare un sistema di volta più adeguato: sostituì con volte a crociera sia le cupole interne sia quelle che sormontano le cappelle laterali, e usò la cupola solo per contrassegnare le campate delle stesse navate laterali.


Nel disegno degli Uffizi, Raffaello studiò l’effetto di questo cambiamento. Lo schizzo sul recto mostrò che anche nella volta a botte del corpo longitudinale mancavano le finestre a lunetta progettate dal Bramante. Già in questa prima fase, dunque, egli progettò prefissandosi di concentrare le fonti luminose nella cupola maggiore e nella periferia (deambulatori del coro, navate e cappelle laterali), sostituendo l’ambiente uniformemente illuminato del Bramante con un interno misterioso e crepuscolare in cui era presente solo luce indiretta come in Sant’Andrea a Mantova, o in Santa Maria presso San Satiro a Milano, e in cui i fedeli avrebbero sollevato lo sguardo nostalgicamente verso l’alto, verso la cupola inondata di luce, metafora della Grazia Divina.


Poiché la cupola concepita da Bramante, avrebbe fatto entrare molta meno luce rispetto a quella attuale, Raffaello, per ottenere l’effetto previsto, dovette rendere ulteriormente più buio il corpo longitudinale. Di fatto, aveva in mente un effetto assai simile a quello rappresentato nell’affresco della Cacciata di Eliodoro.


Inoltre, in maniera analoga alla cappella Chigi, Raffaello immaginò altari e muri di San Pietro coperti con lastre di ricchi marmi policromi, con cupole e volte decorate con cassettoni dorati e ricchi stucchi. Nonostante tutto, Leone X cestinò la proposta di Raffaello, per due motivi: il suo scarso apprezzamento per l’oscurità delle navate e perché, nonostante gli sforzi dell’Urbinate, si sarebbe sempre dovuto demolire parte del coro del Rossellino…

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Published on May 05, 2020 12:33
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Alessio Brugnoli
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