Raffaello Architetto (Parte V)
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Giannozzo Pandolfini, come vescovo, diciamola tutta, farebbe impallidire molti contemporanei: di fatto, era molto più abile e interessato nel seguire i proprio interessi finanziari e mercantili, che a dedicarsi alla cura delle anime.
Questo talento, però, gli era stato utile nel fare carriera nella curia pontificia, dove era una sorta di ministro delle finanze: ruolo che lo fece premiare da Sisto IV, con la sede episcopale di Troia, in Puglia, dove Giannozzo si recò ben poco. In compenso, a differenza di suoi colleghi, non sperperò le sue rendite ecclesiastiche, ma, con investimenti oculati, le moltiplicò.
Ovviamente, con l’ascesa al trono pontificio di Leone X, fiorentino come lui, il ruolo di Pandolfo si accrebbe: tra i tanti incarichi che gli furono affidati, vi era quello di gestire i conti della Fabbrica di San Pietro. In tale occasione, conobbe Raffaello, con cui strinse una forte amicizia, tanto che il pittore lo ritrasse tra i personaggi dell’Incoronazione di Carlo Magno nella Stanza dell’Incendio di Borgo.
Come tutti coloro che avevano fatto carriera nella curia, Giannozzo doveva testimoniare il suo status sociale con un’opportuna dimora, che fece erigere a Firenze. Per risparmiare, però, invece che nel centro cittadino, scelse la zona nord, oltre il convento di San Marco e l’Annunziata. considerata periferica e in parte ancora destinata all’uso agricolo, sede soprattutto di ospedali e istituzioni religiose.
In particolare, identificò un lotto lungo la via di San Gallo, il prolungamento del cardo romano lungo direttrice verso il passo della Futa e quindi Bologna e il Nord-Italia. In quest’area esisteva infatti l’antico monastero di San Silvestro, abitato da monache benedettine dette le Santucce, che nel XV secolo era così in crisi da essere arrivato a contare una sola suora, perciò i suoi beni erano stati incamerati dal vicino monastero di Sant’Agata. L’edificio era invece passato alla compagnia dell’arcangelo Raffaello e, dal 1447, ai frati di Montesenario, i quali, avevano affittato un casale e una vigna allo stesso Giannozzo.
Il vescovo tanto ruppe le scatole a Leone X che ottenne l’autorizzazione ad acquistare a prezzo scontato i beni ecclesiastici su via San Gallo (che appartenevano alla diocesi) a patto che fosse mantenuto il luogo consacrato dell’oratorio, che infatti venne inglobato nel palazzo come cappella privata, sebbene dotata anche di un ingresso esterno.
Risolte queste pratiche burocratiche, Giannozzo dovette trovare un architetto tanto prestigioso, quanto economico: per cui si rivolse a Raffaello, che si stava facendo una fama nell’edilizia privata di prestigio e che certo, per amicizia, non avrebbe preteso cifre esose.
Raffaello, dato che Giannozzo teneva i cordoni della borsa della Fabbrica di San Pietro, accettò senza troppi problemi: in più, proprio essendo l’area periferica, l’Urbinate, senza il timore di diversi confrontare con i modelli fiorentini della tradizione quattrocentesca, poteva continuare con le sue sperimentazioni derivate dal linguaggio bramantesco.
Però Raffaello, a causa di San Pietro, di Villa Madama e delle redditizie commesse romane, non poteva recarsi a Firenze: per cui, delegò la direzione dei lavori nel 1516 a un suo assistente di fiducia, Giovanfrancesco da Sangallo, nipote di Giuliano, che lavorava a San Pietro sia come soprastante e misuratore nel cantiere, dove era stato assunto anche in quanto «in geometria et aritmetica peritus», sia come fornitore di materiali edili, di macchinari e di «per certi instrumenti da misurare de architectura».
Dato quindi il suo ruolo, come dire, ingegneristico, è probabile che Gianfrancesco si sia realizzare le indicazioni di Raffaello, anche dopo il 1520, anno della morte dell’Urbinate. Nello stesso periodo, Gianfrancesco, sempre a Firenze, sposò Fioretta di Bartolomeo di Giovanni de Grasso, da cui ebbe due figli, Paolo e Lorenzo, i quali alla morte del padre ebbero per tutore lo zio Bastiano da Sangallo.
Nel frattempo Giannozzo nel 1522 rinunciò al vescovado in favore del nipote Ferrando (passaggio ufficializzato solo alla sua scomparsa), per dedicarsi ai suoi interessi a Roma, dove morì tre anni dopo.
Ferrando, ovviamente, si impegnò al completamento del palazzo di famiglia: i problemi però sorsero nel 1530, a causa dell’assedio di Firenze da parte degli imperiali. Da una parte, a causa dell’epidemia di peste, Gianfrancesco tirò le cuoia; dall’altra, essendo il palazzo in mezzo alle linee di tiro di assediati e assedianti, il cantiere subì anche notevoli danni.
I lavori ripresero con la nomina a responsabile dei lavori di Bastiano, fratello di Gianfrancesco, soprannominato Aristotile per il suo carattere serio e pensieroso. Bastiano, però, proprio architetto non era: la sua formazione era stata di pittore, era stato allievo di Perugino e di Michelangelo, aveva collaborato con il cugino Antonio nella progettazione di fortezze militari e divenne famoso come scenografo teatrale.
Per cui, il palazzo rimase incompiuto: nonostante questo, ebbe in città una sua singolare notorietà come centro di cultura, oltre che ai tempi di Ferrante, anche con Filippo (1600 circa), Roberto (1750 circa) ed altri membri della famiglia.
Nel 1620 venne risistemato e allargato il giardino dal senatore Filippo Pandolfini, acquistando alcune proprietà confinanti.
Alla fine del 1700 il cosiddetto “ramo del Palazzo” della famiglia Pandolfini si sarebbe estinto se Eleonora, figlia di Agnolo Pandolfini, non avesse adottato il nipote Alessio Hitrof. Fu lei a far sistemare il giardino secondo la moda romantica dell’epoca e a far costruire una serra per custodire in inverno le collezioni di piante ornamentali. Con lei il palazzo tornò ad ospitare artisti e letterati come nel Rinascimento.
All’interno della lunga e complessa storia dell’edificio si segnala come questo abbia ospitato, negli anni di Firenze Capitale (1865-1871) e della proprietà Nencini, l’ambasciata del Brasile in Italia.
Dal 1870 al 1885 circa fu Alessio Pandolfini a procedere alla ristrutturazione del palazzo tramite l’architetto Cesare Fortini. Venne modificata la scala e fu sostituita la porta esterna dell’antico Oratorio di San Silvestro con una finestra uguale alle altre, così che il piccolo luogo di culto divenne esclusivamente la cappella privata di famiglia. In seguito l’edificio venne sconsacrato e vi fu costruito al suo posto un ingresso collegato all’androne del grande portale monumentale alla romana; gli arredi sacri vennero trasferiti nella vicina chiesa di San Giovanni dei Cavalieri.
La moglie del Conte Alessio, Sofronia Stibbert, si dedicò all’abbellimento del giardino e divenne lei stessa un’esperta giardiniera. Sono famose le sue collezioni di camelie e cinerarie, di cui alcune rarità botaniche furono premiate alla fine dell’800 dalla Società Botanica dell’Orticultura. Il figlio Roberto per la moglie Beatrice Corsini costruì una serra per le orchidee sopra al giardino d’inverno, che fu l’ultima modifica apportata alla splendida residenza dei Pandolfini.
Come era il progetto originale di Raffaello ? Purtroppo è difficile dirsi; probabilmente, come impostazione generale, doveva somigliare a Palazzo Vidoni Caffarelli, con un impianto sviluppato orizzontalmente, articolato su due piani, scanditi ritmicamente da con alterne finestre a timpano triangolare e curvo (quelle al piano superiore a balcone e fiancheggiate da semicolonne).
A differenza del Vidoni Caffarelli, in Palazzo Pandolfini il bugnato in pietra serena e pietra bigia evidenzia gli spigoli, mentre la facciata principale, su via San Gallo, è intonacata color ocra, con i dettagli architettonici che vi “emergono” sottolineati dall’uso della pietra bigia: di fatto, Raffaello e i Sangallo utilizzano un approccio pittorico, basato sul contrasto delle superfici murarie, che scultoreo, incentrato sul rapporto tra volumi e ombre, come a Roma.
Peculiare è il cornicione, sotto il quale spicca l’iscrizione a lettere cubitali che si svolge lungo tutto il perimetro dell’edificio:
Iannoctius Pandolfinius. Eps. Troianus Leonis X et Clementis VII Pont. Max. Beneficiis Auctus a Fundamentis Erexit An. Sal. M.D.XX. Alexius Pandolfinius restauravit An. Sal. MDCCCLXXV
Alessio Brugnoli's Blog

