Raffaello Architetto (Parte I)

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A differenza di Michelangelo, risulta difficile alla persona comune associare il nome di Raffaello all’arte dell’Architettura: cosa che di certo non avrebbe fatto piacere all’Urbinate, che vi si dedicò anima e corpo e con ottimi risultati.


Da una parte, l’artista vi si dedicò per un limitato periodo di tempo, dal marzo del 1514, quando morì Bramante e Raffaello, assieme all’attempato Fra Giocondo e a Giuliano da San Gallo, gli succedette come architetto del papa, alla sua morte, il 6 aprile 1520. Dall’altra, molte delle sue opere furono, con il tempo o distrutte o profondamente modificate.


In questo periodo di tempo, Raffaello prese in mano i lavori della basilica di San Pietro, sua fu l’idea, che alla fine l’ebbe vinta di sostituire la croce greca di Bramante con la croce latina, progettò palazzi, una chiesetta, Sant’Eligio degli Orefici e Villa Madama.


Dovette improvvisarsi urbanista, dato che, in collaborazione col Sangallo, dopo il 1517, portò a termine il tracciato di via Ripetta, compresa tra palazzo Madama e piazza del Popolo, da poco dotata di un obelisco ritrovato nei dintorni di San Rocco. Infine, da buon artista rinascimentale, dovette dedicarsi anche al teatro: nel 1519 progettò la scenografia per i Supposti di Ariosto, su commissione del cardinal Cibo, nipote di Leone X.


Il campo di maggior successo di Raffaello fu l’edilizia privata, cosa che dipese da almeno tre motivi: il primo, abbastanza banale, è che in tale ambito, per un esordiente di gran nome, era relativamente semplice, chiedendo minore competenze di statica e di ingegneria strutturale, permettendo al contempo la possibilità di una maggiore sperimentazione rispetto a quanto richiesto dalla committenza ecclesiastica e ufficiale.


Il secondo era legato all’esperienza concreta del vivere a palazzo Caprini, il prototipo del palazzetto romano concepito da Bramante, in cui Raffaello abitava e che di certo costituiva un’infinita fonte di ispirazione e di riflessione.


Il terzo era biecamente economico: Raffaello, oltre a essere un immenso artista, era un imprenditore di successo e per lui fu abbastanza immediato identificare un segmento di mercato in forte crescita, costituito dagli alti burocrati della corte pontificia, che pur non avendo le disponibilità economiche dei nobili romani, avevano necessità di mostrare pubblicamente il loro rango.


Per soddisfare tale esigenza, Raffaello standardizzò l’analogo rinascimentale dei villini liberty di inizio Novecento: un’edilizia relativamente economica, ma caratterizzata da un’eleganza formale e da una raffinatezza di dettagli, che in tempi successivi fu vittima della speculazione e dei pennivendoli al suo servizio. Insomma, ogni epoca è stata condannata ad avere il Tonelli di turno.


Il nostro viaggio nell’edilizia privata di Raffaello, comincia con Palazzo Jacopo da Brescia, commissionato dal medico personale di Leone X, tra il 1515 e il 1519. Jacopo, dopo tanto tentennare, per sfruttare le agevolazioni fiscali introdotte anni prima da papa Borgia, il 31 gennaio 1515 acquistò dalla Camera Apostolica l’isolato terminante a punta e posto all’angolo tra via Sistina e via Alessandrina.


Un lotto dalla posizione prestigiosa, dato che dirimpettaio di San Pietro; i problemi erano legati alla sue ridotte dimensioni e alla pianta irregolare, a forma di trapezio scaleno. A peggiorare il tutto, Jacopo da Brescia, nel tentativo di regolarizzare la pianta, acquistò il terreno confinante di Giuliano da Sangallo, il quale già alla fine del 1514 vi aveva cominciato a costruire una casa per sé, ma rimasta incompleta quando lasciò Roma definitivamente nel 1515.


Per cui, Raffaello dovette affrontare tre problemi che farebbero venire il mal di testa a qualsiasi architetto ossia, come sfruttare al meglio uno spazio irregolare, come integrare nel suo progetto un semilavorato e come rispettare i vincoli urbanistici, in modo che il committente potesse usufruire al meglio delle agevolazioni fiscali pontificie.


Come avevo già accennato, papa Alessandro VI aveva fatto aprire la via Alessandrina, un rettifilo che collegava piazza San Pietro a Castel Sant’Angelo, e aveva concesso l’esenzione fiscale a tutti coloro che vi avessero costruito un palazzo di almeno 70 palmi di altezza (15,64 metri).


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Per risolvere tale problemi, Raffaello dovette imporre a Jacopo una serie di compromessi: solo quattro botteghe con un corrispondente mezzanino al piano terra, quindi una ridotta rendita proveniente dagli affitti, e un cortile aveva delle dimensioni ridotte, senza loggia ed una piccola scala male illuminata, che ne riduceva parecchio la vivibilità.


In compenso, rispetto ai locali commerciali messi a disposizione dagli altri palazzi, le camere sovrastanti le botteghe erano collegate da scale proprie, ed il mezzanino era raggiungibile attraverso una scale a chiocciola. Inoltre, sui pianerottoli delle scale erano ricavate nel muro delle nicchie, utilizzate come toilettes: una serie di facility, che avrebbero permesso a Jacopo sia di chiedere un affitto più alto ai locatari, compensando in parte i minori introiti, sia di avere nel proprio palazzo botteghe di prestigio.


Altro compromesso fu legato alla scala principale, che dalla cantina portava all’attico; non era certo monumentale, essendo molto stretta, con gradini alti e poco profondi e scarsamente illuminata, ma almeno il suo lavoro lo compiva decentemente, conducendo alla Sala Grande del piano nobile, di fronte ad uno degli assi delle finestre.


Quello che si perdeva all’interno, però, si recuperava con gli interessi all’esterno, ovviamente ispirato a Palazzo Caprini, con con una forte differenziazione tra la zona delle botteghe al piano terra, trattato come un basamento bugnato di peperino a fasce orizzontali, Raffaello, memore dei problemi di casa sua, si attenne alla soluzione costruttiva tradizionale, evitando la soluzione di “getto” sperimentata da Bramante, e soprastante ammezzato e la zona di rappresentanza al piano nobile riservata al padrone.


Il piano nobile era invece decorato da paraste di ordine dorico e gli intercolumni erano riempiti da edicole con timpani rettilinei e curvilinei alternati e sorretti da volute. Mentre l’attico era scandito da lesene piatte e finestre lobate, la cui dimensione consentiva una migliore illuminazione, in modo da compensare la scarsa luce proveniente dal cortile.


Per soddisfare il requisito dei 70 palmi, Raffaello accentuò l’altezza del piano nobile rispetto all’attico; per compensare questa scelta, che avrebbe reso la facciata meno vivace e più monotona, ne accentuò la dimensione plastica, ispirato dalla rilettura che fra Bartolomeo aveva dato di Vitruvio, decorandola con paraste polistili e con una trabeazione, sostenuta solo dal loro fusto centrale, in cui il ritmo dato da metope e triglifi era interrotto da una metopa larga quanto una parasta, una soluzione ingegnosa che risolveva il problema di usare i triglifi sopra tutti e tre gli elementi.


Questa alternanza, quasi pittorica, di luci e di ombre, era accentuata con l’utilizzo, all’epoca d’avanguardia, di una cortina di laterizio a vista, accostata alle membrature di peperino, creando un’alternanza di ocra e di grigio.


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Infine, il problema dello stretto fianco su Via dell’Elefante fu risolto da Raffaello con una serliana di cui fu uno dei primi utilizzatori.


Nonostante tutti i limiti e compromessi raggiunti da Raffaello e il fatto che la rendita fondiaria fosse ridotta, il palazzetto Jacopo da Brescia fu considerato sin dall’inizio una dimora di prestigio: dal 1519, anno in cui il proprietario lo rivendette per un prezzo spropositato, conobbe molti proprietari tutti legati alla corte papale: Ridolfi, Celsi di Nepi, il medico Agostino de’ Recchi, il segretario apostolico Camillo Costa, il cardinale Michele Monelli ed in fine Paolo Ghislieri, nipote di Pio V


Nel Settecento il palazzo passò dai Colonna ai Ceva. Nel 1825 nel corso di un drammatico restauro furono rimossi lo stemma papale e la lapide sopra la porta, sulla quale apparivano gli emblemi del pontefice. Il palazzo, come tutta la spina del Borgo, fu demolito per i lavori di realizzazione di via della Conciliazione nel 1936. Nel 1940 il palazzo fu ricostruito, utilizzando per la facciata materiale originale, su Via Rusticucci in angolo con Via dei Corridori, non lontano dal sito originario.


Ovviamente, il nuovo spazio non aveva tutti i problemi di quello originale, che avevano pesantemente condizionato Raffaello: fu quindi ricostruito con una nuova disposizione interna, sicuramente più regolare, ma ben diversa da quella originaria, soprattutto nell’articolazione dell’attico.


Fortunatamente una serie di documenti, rilievi fotografici e vedute ci mostrano l’aspetto originario dell’edificio; d’aiuto sono le planimetrie dei primi due piani di Cipriani-Navone (1794), confermate anche da uno schizzo di Letarouilly (1849), e i rilievi di Hofmann (1911).

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Published on December 10, 2019 13:26
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Alessio Brugnoli
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