San Clemente a Casauria (Parte II)
Raccontata l’affascinante storia di San Clemente a Casauria, un turista, andando a visitarla, cosa dovrebbe ammirare ?
Potrei cavarmela citando D’Annunzio, che male non fa
Voglio condurti a un’abbazia abbandonata, più solitaria del nostro Eremo, piena di memorie antichissime: dov’è un gran candelabro di marmo bianco, un fiore d’arte meraviglioso, creato da un artefice senza nome…Dritta su quel candelabro, in silenzio, tu illuminerai col tuo volto le meditazioni della mia anima.
Ma sarebbe troppo comodo… Cominciamo il nostro viaggio proprio dall’esterno.
La facciata di quella chiesa che al Mabillon era apparsa come il monumento più illustre d’Italia eo nullum fere in tota Italia olim illustrius fuit fu costruita durante il periodo dell’abate Leonate, il quale sfrutto a suo vantaggio il fiume di denaro proveniente dai pellegrini diretti a San Michele Arcangelo e in Terrasanta.
Leonate
Ecclesiam opere mirifico renovare coepit (Chron. Cas. 271 v.)
aggiungendo un portico all’antica costruzione
ipsam pulcherrimam porticum quae est ante levavit…. et priori operi coniunxit (Chron. Cas. 271 v.)
L’intento riuscito fu quello di creare un’entrata trionfale, che in precedenza, come dimostrano le basi di colonne cilindriche, era preceduta da un nartece molto più grande, andato distrutto a seguito delle precedenti liti con i nuovi padroni normanni. L’entrata trionfale doveva essere una dimostrazione della storia e della potenza del monastero, in modo da convincere i pellegrini ad aprire il borsellino con maggiore entusiasmo.
Alla sua realizzazione contribuirno schiere di
muratori et magistrorum et coementariorum agminibus aggregatis (Chron. Cas. 271 v.)
provenienti da più parti: sicuramente dalla Puglia, è l’epoca dei grandi cantieri ecclesiatici, e dalla Borgogna…Gavini riconosceva nelle palme ad acroterio, nei capitelli a cesto del portico e in quelli figurati la mano di un valente maestro francese.
Il leone di S. Marco costituisce il punto di unione fra l’arcata di sinistra e quella centrale; la colonna su cui è posto aveva alla base un leone (tolto in un restauro ottocentesco) che faceva da pendant con l’altro alla destra dell’arco centrale. L’arco centrale ha un listellino intagliato a dentelli sulla cornice più esterna, quindi delle decorazioni fitomorfe e, sull’arco più interno, da sinistra verso destra: il Re David, più sopra Gioele (da identificarsi nell’abate, successore di Leonate, che fece edificare le porte in bronzo) poi un angelo, una disposizione di foglie di acanto e, di seguito, un agnello, un angelo, S. Clemente (nel martilogio di S. Clemente l’agnello è accostato a questo santo a ricordo di un miracolo che compì in Chersoneso, quando fece scaturire una fonte d’acqua per i compagni di prigionia dai piedi di un agnello) e Salomone, che, come costruttore del Tempio di Gerusalemme era l’archetipo e il modello di chiunque, nel Medioevo, si impegnasse nel restaurare o costruire una chiesa
Interessanti sono i capitelli delle colonne centrali che mostrano i dodici apostoli: opera di due diversi artisti, si raffrontino con quelli presenti circa vent’anni dopo sul portale di S. Tommaso a Caramanico.
Il bue – quel che resta – simbolo di S. Luca e l’aquila di S. Giovanni sono uniti nell’arco di destra in cui compare un motivo con bastoncelli a fisarmonica di provenienza pugliese, che si può ritrovare a S. Bartolomeo a Carpineto della Nora e nella chiesa di S. Maria Orante in Ortucchio. Mentre il portico risulta concepito secondo un disegno unitario nel prospetto sono presenti alcune irregolarità; i simboli degli evangelisti sono riconducibili, ad esempio, ad un’epoca più tarda: l’angelo di Matteo denuncia stilemi che fanno pensare alla scultura gotica; d’altra parte è ovvio pensare che, con tutti i terremoti che si sono succeduti in Abruzzo, la facciata nel tempo non sia stata soggetta a modifiche
E’ probabile anche che in origine presentasse un rosone, come risulta nelle rappresentazioni presente Chronicon Casauriense, nella lunetta e nell’architrave del portale, nell’ architrave del ciborio, successivamente sostituito dalle quattro bifore.
Il porticato, a riprova della presenza di maestranze borgognoni e dell’interesse di Leonate per la cultura francese, è uno dei primi esempi di adozione della volta a crociera con costoloni prismatici in Italia, definita dal Chronicon Casauriense con il termine “tumbam”, e richiama nell’aspetto quello presente nelle cattedrali di S. Trophine di Autun e di S. Filiberto a Digione.
Alla sinistra del portico rimangono i ruderi di una costruzione eseguita in blocchi di tufo che possedeva una volta a botte, come sembra dimostrato dagli accenni di curvatura nella parte superiore del muro. In varie raffigurazioni è possibile vedere alla sinistra della chiesa un campanile: si tratta della torre campanaria fatta edificare dall’abate Oldrio fra il 1146 e il 1152, che crollò durante il terremoto del 1349.
L’oratorio posto sul nartece, proprio delle cattedrali francesi, come ad esempio nelala cattedrale di Vezelay, è un’altra testimonianza dell’influenza borgognona in Abruzzo. In Italia è piuttosto raro; nel meridione lo vediamo poi soltanto nella chiesa del Santo Sepolcro di Barletta. Non ancora edificato alla morte di Leonate
“cui superaedificavit oratorium ad honorem sancti Michaelis Archangeli et sanctae Crucis, sanctique Thome martyris consecrandum. Sed antequam opus ipsum consummare potuisset occurrit ei finis vitae” (Chron. Cas. 271 v.)
era dunque dedicato a S. Michele Arcangelo, alla S. Croce e a S. Tommaso Becket, il protagonista di Assassinio nella cattedrale i Thomas Stearns Elliot
Scelta di puro marketing, per arruffianarsi i pellegrini e per ricordare alla nobilità normanna di non mettere bocca nelle vicende ecclesiastiche. Stessa filosofia è alla base della decorazione dei portali, a cominciare da quello centrale, che presenta tre arcate che vanno rastremandosi e in cui la lunetta è divisa in cinque scomparti. I due laterali presentano una grande rosa (in quello di sinistra la rosa è sormontata da un’aquila che stringe una lepre).
Nel pannello centrale è invece raffigurato S. Clemente assiso in trono con la mano destra in atto di benedire mentre con l’altra tiene il pastorale. Alla sua sinistra Leonate che consegna il modello della chiesa che va ricostruendo: la chiesa è rappresentata con il rosone e le quattro arcate previste forse dal progetto iniziale invece delle tre poi eseguite e raffigurate nell’architrave sottostante.Alla sua destra Cornelio, martire, con il manipolo e S. Febo con manipolo e stola; l’iscrizione incisa nel libro di Febo Homo quidam nobilis è l’incipit della parabola dei talenti rubati mentre il testo di Cornelio si riallaccia ad una epistola letta durante le festività di S. Clemente. La collocazione di S. Clemente al centro dei pannelli vuole quindi simboleggiare nella storia dell’abbazia la continuità, l’unione fra il momento delle origini e quello presente egregiamente rappresentato da Leonate. Nell’architrave viene illustrata, come in un fumetto, la leggenda della fondazione dell’abbazia: le iscrizioni (qui come nella lunetta eseguite con la tecnica del niello: le incisioni effettuate cioè sono riempite con una pasta di rame, piombo, zolfo, argento e borace rosso che, indurendosi, rende la scrittura nera e indelebile) chiariscono fatti e personaggi. La rappresentazione può essere divisa in quattro parti in ognuna delle quali è presente Ludovico II:
In una città simboleggiata da una torre (Roma) papa Adriano II consegna i resti di S. Clemente chiusi in un’urna all’imperatore Ludovico II che li accoglie chino, quasi con deferenza. L’abbazia nasce quindi con il consenso delle due massime autorità del tempo – il papa e l’imperatore – che non hanno però pari dignità: Ludovico II sembra infatti genuflettersi di fronte all’autorità del papa.
Suppone, con la spada simbolo dell’autorità politica di cui è investito, guarda Ludovico II che consegna l’urna a due monaci, Celso e Beato, perché la trasportino sul dorso di un mulo nel territorio dell’erigenda abbazia, allora circondata dalle acque. Anche queste non sono figure secondarie: Celso è il praepositus, cioè l’amministratore dei beni dell’abbazia; Beato è il secondo abate; Suppone appartiene alla potente famiglia dei Supponidi e rappresenta in assenza dell’imperatore l’autorità suprema in Casauria.
Ludovico II consegna lo scettro di primo abate a Romano.
Sisenando, miles ex genere francorum, e Grimbaldo, vescovo di Penne, cedono i diritti che avevano sul territorio di Casauria a Ludovico II mentre il conte Eribaldo (l’ultima figura) assiste alla cerimonia.
Sisenando uno dei grandi proprietari terrieri di questa parte d’Abruzzo, vende dodici moggi di terreno e viene qui rappresentato anche perché condannato nell’873 per aver sposato una monaca, non si ribella prendendo le armi, bensì si sottomette: un monito Leonate nei confronti dei feudatari normanni, ricordando come una volta la nobiltà locale fosse assai più collaborativa e meno arrogante.
Grimbaldo ha invece abbandonato i diritti religiosi che deteneva sull’isola. Nell’atto di cessione di proprietà il venditore consegnava un coltello, una festuca (paglia) e una zolla di terra dichiarandosene estraneo mentre il compratore versava la somma di denaro; dopodichè avveniva la stesura dell’atto: la pergamena veniva sollevata da terra e consegnata agli interessati per la sottoscrizione, rappresentando questa “sublevatio chartae” un vero e proprio atto giuridico della compravendita. Il territorio di Casauria – rappresentato dal cesto con fiori e frutta, fertile quindi – viene perciò acquistato in maniera legale: le rivendicazioni da chiunque avanzate (il conte Eribaldo viene chiamato a comporre le prime contestazioni) non hanno fondamento giuridico.
Fra l’equipe di maestri che dovette lavorare ai portali di S. Clemente, Gloria Fossi individua nell’autore dell’architrave l’artista di maggior talento. Negli stipiti sono raffigurati (dall’alto): a sinistra Ugo e Berengario; a destra, Lotario e Lamberto. Le quattro figure – evidente l’ispirazione dai modelli delle cattedrali francesi – reggono un rotolo spiegato, due anche lo scettro: questi potenti dovettero contribuire tutti all’accrescimento di beni dell’abbazia; le parti della chiesa sopra le loro teste sono quelle che probabilmente concorsero a restaurare.
Guardando le figure presenti sui capitelli delle colonne e dello stipite a sinistra del portale bisogna tener presente che nella simbologia medioevale la sinistra era ritenuta la regione del male; vi vengono quindi rappresentati i mostri e i vizi: la prima figura (un uomo vestito con le gambe divaricate) raffigurando lo spirito ed i peccati ad esso aderenti simboleggerebbe quindi l’avarizia; il drago con coda e testa di serpente, che sussurra parole all’orecchio di un uomo rappresenterebbe invece la calunnia. Nel capitello dello stipite di destra – la regione dei buoni auspici – sono raffigurati due animali: uno di loro (un toro?) è cavalcato da una figura che sembra congedarsi dal male passato; simboleggerebbe quindi la vittoria della virtù sul vizio.
Le porte di bronzo furono fatte collocare nel 1191 dall’abate Gioele, successore di Leonate e rappresentano una sortad compendio delle proprietà dell’abbazia, anche se il possesso di terre e castelli raffigurati era enfatizzato allo scopo di usurparne già con l’immagine i diritti, non possedendo i monaci in alcuni di questi che qualche villa o casale, non essendo altri più giurisdizione di S. Clemente – e altri ancora forse non erano mai stati .
Paragonate a quelle di Amalfi (1062), Salerno (1099), Monreale (1168), Ravello (1179) in realtà non ne raggiungono lo splendore artistico. Sono in 72 formelle (lo stesso numero che hanno le porte della cattedrale di Benevento): in 20 vi sono raffigurati i castelli proprietà dell’abbazia, in altre distinguiamo tra i vari motivi decorativi la croce di Malta e la mezza luna turca.
Interessante è la prima fila di formelle in alto: da sinistra vediamo un rosone, poi un regnante con corona e scettro (Ludovico II) quindi San Clemente in atto di benedire con mitra e pastorale (e non l’abate Gioele come si legge nella fascia superiore. Ma questa formella, come le due successive, non ha la primitiva collocazione), un altro regnante (Guglielmo II), un monaco (Gioele) e un altro rosone. Due formelle si distinguono dalle altre presentando teste di leone a tutto rilievo aventi nelle fauci anelli tortili chiamati anche delle immunità quando infatti si chiedeva protezione all’abbazia e non si riusciva per qualche motivo ad entrare si era ugualmente immuni dalle offese dei laici aggrappandosi agli anelli.
Nalla lunetta del portale sinistro è raffigurato S. Michele Arcangelo, che atterra con la lancia il drago, simbolo del male. Il propagarsi del culto di S. Michele da Monte S. Angelo, dove sarebbe apparso alla fine del V sec., si ha con i longobardi i quali ne avevano fatto il loro santo nazionale dopo una vittoria sui bizantini nel 663 a Siponto, ottenuta mercè la protezione dell’’arcangelo. Oltre al questione pellegrinaggio, la vicinanza al centro pugliese e i profondi contatti avuti tramite la pastorizia transumante ne favoriscono la diffusione anche in Abruzzo, dove numerosi sono i luoghi dedicati al santo.
Sulla lunetta del portale destro una Madonna con Bambino , rappresentata secondo l’iconografia della Hodegetria – protettrice dei viandanti – mostra evidenti reminiscenze bizantine (l’assenza di sviluppo prospettico nella posizione delle gambe, la minuziosità delle decorazioni nelle vesti della Vergine e del Bambino) e presenta ancora tracce della policromia originaria.
Alessio Brugnoli's Blog

